Mystica
Mystica
Evanescens
Astrorum Iter
Heimis Cordi
A Beith
Lunae Carmen
Phantasmagoria
Odium Generis Humani
Fatua Memoria
Fatigata Spiritus
Mystica
Semper
est prima lux trans tenebras
Tibi
vita mea…
Evanescens
La scoperta dell’anima è nella notte chiara forse una cosa nuova.
Anni in cui egli venne nella nostra casa.
Usurpando la vita delle menti.
Non conta unire le gioie nell’ambiente
Anche
una sola cosa forte unisce e rafforza.
Cosa c’è in
quella mente? Membra offese di giovani avi.
I suoi tiranni colgono i frutti del male.
E
ogni donna va tra le messi di questo mondo.
I sacerdoti uccidono e le navi solcano nel
blu.
Bianche
strisce di neve sciolta.
Tu oscuro, tu immonda creatura che incatena
i figli della terra,
Mostrati
nella volta della tua dimora.
Vita
nell’oltre di una cosa sconosciuta
Chiama
da un altro mondo sperduto.
Sentinella
in una vela, scavalca le montagne
Innevate
di fiamme.
Aiuta
le tue preghiere a volare sino agli dei
Una
coltre che per nulla è indistruttibile,
da
taluni orrori, impercettibili e austeri.
Sento
in lontananza tuoni pieni di cupezza.
Nel
vento vengono portati i loro suoni
Che
indisturbati e maestosi, riempiono
Le
mie orecchie che gridano e nessuno le sente.
Ancora una sola volta voglio essere con
lei.
Quando mi svegliavo e l’abbracciavo
Mentre fluttua nelle sconfinate lande del
sonno.
Sublime e estasiante visione.
La
maschera di stoffa era dipinta con cupi toni
La
nebbia nei suoi occhi. E il sole nella sua assente mente.
Oggi
è bruciata e ho guardato mentre moriva
Il
fetido odore che emanava m’inebriava
E
mille sensazioni mi ombravano il cuore.
Ormai
non più rosso. Nero.
Striscianti
e deformi, stanno ora giungendo a me.
Non
sopporto quella visione e mi nascondo.
Ma
comincio a vederli nella mia testa.
Gli
occhi mi sanguinano. Lame di cristallo
Che
mi trafiggono. Ed emozioni che mi uccidono.
Vorticante
nell’aria, una luce divina.
Mi
scorge e mi porta nelle antiche aule degli immortali.
Ho
raggiunto la dimora dei miei padri.
Le
bianche sale dorate mi accolgono.
E
il gran consiglio mi porge la sua mano.
Non
rimangono epitaffi sulla terra.
Solo
un triste e vago ricordo evanescente.
Allora questo è il ceppo di tutta la mia vita
terrena. Quella che innanzi a me subisce sempre modifiche. Dinanzi a questa
porta dello spazio mi sento stretto in una morsa inestricabile. Ciò che ci
succede quando siamo immersi in una storia è ciò che possiamo credere di
essere.
Ogni persona di qualunque gene, è diversa dalle
altre.
Cerca
la fiala del bene e troverai solo morte.
Cerca
gli stendardi della pace e troverai solo falsità.
Sto
volando oltre la galleria dello spazio e del tempo.
E
intanto sento cani che abbaiano e corvi che divorano carcasse.
Indistinti
alle mie percezioni. Una sinestesia perfetta.
Cerco
soltanto di capire se tutto questo è sceso dalla terra.
Per tutti questi anni siete stati nascosti ai miei
occhi, e nelle amare notti d’autunno immaginavo bianche scogliere e freddi
demoni. Che ogni volta mi traevano nel regno delle ombre. Quello che sembra ora,
è di sicuro un’antica via percorsa di rado. Senti cosa succede nel resto
della dimensione viola. Si sentono belve che giocano con strenne e balocchi.
Buia
seta delicata che s’infrange oltre il tuo viso
Ogni
minuto che ascolto rimango sempre più freddo.
In
un giorno in cui quelle nuvole saranno solo neri pipistrelli
Che
succhieranno gli occhi di chi si abbandona.
Cosa
vedono i miei occhi? Un dono sadico. Una scena orrida.
Sto
andando lì a sedermi accanto a questo corpo mutilato
Ma
ancora scendo scale sempre più tetre.
Veglia
su ogni attimo che sarò.
E
il mio ringraziamento incupirà le creature del tempo.
Popoli pallidi
come la morte.
Crudo
letto di un folletto che pensa al nulla.
Scrive
per non parlare più.
infondono
vita.
Ma
le verdi storie d’estate, aggiungono
calore
nel lontano ponte per l’eternità.
Dalla gelida
foresta giunge una voce amica
La strada non
c’è e sulla neve si ghiacciano
I ricordi.
Spettatori di un’antica stirpe.
Dagli unici
passi capisco che forse non sono solo.
Miglia e miglia
divorano i miei piedi.
Stanchi e
affamati di nuova linfa.
Quale oscuro
sentimento, quale veritiero angelo.
Questo è il
richiamo del cielo.
Un unico e
gemello gioco di luce che non riesce a esplodere.
Hiems cordi
Gemma di
soffice germoglio intagliata nella roccia,
alla riva di un
fiume morente che tira a fatica le sue stanche acque.
Ecco i segni
della volta di pietra. Mistiche e sottili ci avvolgono.
Proprio lì ci
parlano e ci destano dall’oscuro sopore.
Io ero
addormentato nella gloria di quella via.
Ma ne capivo
pochi aspetti. Voglio essere vivo.
Così scappo
dalla gioia e mi detto legge.
Quando voglio
tuonare in nome degli dei, lo farò.
Cuore freddo,
folgori in distanza.
La purezza di
quest’urlo scritto col sangue,
arriva sin nel
cuore dell’inverno.
Accogliente e
dolce è la casa delle mie emozioni.
Ciò
che vedo è un’ombra invisibile.
Ciò che sento
è un suono non percettibile.
Ciò che tocco
è materia inesistente.
Gusto
l’evolversi degli elementi
e le essenze
che effondono.
Labile e
perpetuo è questo mondo.
Nella buia
dimora, riposiamo.
Oltre l’uscio
c’è una tempesta che sta purificando.
Non
disturbiamola, non parliamogli con effimere litanie.
Ce ne stiamo
ammarmottati. Io e te.
Mentre fuori il
mondo ricomincia dal freddo.
Stanche soglie
usurate dalla quotidianità, cercano di essere vive
e quella
fotografia ingiallita mi guarda, esausta di dover
simboleggiare
il mio tormentoso ricordo.
E le montagne
fremono, i sussulti della terra giacciono lì in fondo.
Tra i verdi
prati corro e scopro cosa si prova ad essere sciolto dalle briglie.
Cerco una
piccola apertura dove possa ammirare il dolce popolo.
Ma la veglia è
lunga e gli immensi giochi di piccole foglie mi
rallegrano la
mente.
A
Beith
Dolce
naiade del mare che scalda il mio sonno.
Piccolo
astro nel mio spazio senza astri.
Una
notte e una vita sono bastati per farmi
perdere
nel mondo che ora è diventato anche mio.
Questa strana avventura che mi porta distante da casa
Tra
sentieri e uomini inesplorati……che mi fanno paura.
Ma
so che nel buio c’è Luce. E di quel chiarore io vivo.
Cotale
bellezza è quello che viene chiamato amore.
La
creatura che ho vicino, è tutto ciò.
È
un coro di voci mistiche che prende la parte più rara
E
la proietta nel bello.
Nel
fuoco abita un piccolo frammento freddo.
Un
insieme di impressioni fastidiose.
Ma
quanto siamo belli quando leggiamo questa poesia.
E
ci viene in mente un labbrino.
C’è
un broncio che galleggia nel mare
e
ci sono dei piccoli baci dolci che volano a pelo d’acqua.
Afferro
per mano la mia vita e le dico che sarà
mia
e nessuno me la può portar via.
Gemo
perché non c’è. Gioisco perché è eternamente vicino a me.
L’amo
perché è lei.
Lunae
carmen
Tu
figlia della terra, che assisti da milioni di anni alle piaghe di questo mondo.
Con
i tuoi mille occhi guardi e culli ogni cosa.
Molti
poeti hanno cantato di te, nelle notti in cui rifulgi in tutta la tua
magnificenza.
Ispiratrice
di leggende, oracolo di guerrieri in cerca di gloria.
Pertanto
il poeta voglio essere io, a te dedico questi versi. Al mio angelo di sempre.
Che
mi ha visto nascere e mi vedrà morire.
Phantasmagoria
Un
tacito grido come il lamento funebre del mostro.
Una
torma di cavalieri d’argento che innalza le spade.
Quel
fiocco di neve ancora non si è sciolto e va protetto.
I
corvi stanno prillando al ponte del marciume.
Forti
corvi oscuri.
S’insinua
nella mia mente come un tarlo
e
perseguita i miei incubi più reconditi.
Assopiti
nell’oblio, incatenati nell’oltre.
L’ultima
parola è un simbolo di assoluta disgrazia.
Cosa
inevitabile se non per il puro aiuto ultraterreno.
Nell’infinità
di questa centuria, i ghiacci si sciolgono…
E
le meraviglie della terra tornano a splendere…
Montagne
e foreste… Nella miriade universale della natura,
ascoltano
ciò per cui la terra suona i suoi tamburi.
Incorporea
entità della poesia musicale.
Ci
guida attraverso voli di uccelli e bellezze uniche.
Assistiamo
ancora al dolce suono…
Nella
magica musica dei Valar…
Ciò
che avverto quando vedo la creatura più bella è proprio
siffatta
musica, tal messaggio riempie di bellezza la mia mente.
Come
si accendono tante candele quando sul mondo non c’è Luce.
Un
fluido che viaggia spensierato attraverso
canali
indicibili nell’estasi degli onnipotenti
creatori
del vivo. Traversie e incantesimi ad immolare
una
soffice piaga per il mondo perduta.
Verso
il giunger dell’ennesima traccia, sogno
una
cantilena dolorosa, che mi sconvolge il respiro,
Così
ora e mai più al volgere della sulfurea atmosfera.
Lungi
da ogni peccato sano, sono un empio
condottiero.
Per quello che ancora di giusto
abita
questo mondo. Ai primi barlumi
di
abbacinanti saette, torneranno. E io combatterò per loro.
Il
cielo si oscura e gli dei chiamano alla battaglia… Ave.
Odium generis humani
Non confidare
nello specchio. Il suo riflesso inganna
E diventa
rischioso se trascurato.
Ancora
quell’immagine vedo. E una triste casa vuota
è
rimasta la sola cosa reale.
Abbiamo
volato per i più meravigliosi mondi.
Ci
siamo uniti in un unico essere.
Siamo
stati ninnati dalle onde e dalla sabbia baciati.
Nell’infinito
poema della nostra vita,
sognami ogni
volta che chiudi gli occhi.
E io mi librerò
per l’aere più tenebroso
A dimostrazione
della tua chiamata.
Ora vedo cigni
neri che ingurgitano corpi imputriditi
Bambini che
mangiano i vermi putrefatti.
Anziani ridotti
all’osso, strisciare in terra per poi
essere
decapitati da deformi creature fameliche.
Nel tacito caos
demonizzato, erro.
Tutto è così
giunto alla fine.
Il mondo sta
mutando. E io non con lui.
Oggi un’altra
vita è passata nelle aule di Mandos.
Lì dimora
l’infinito. Ma sulla terra l’orrore è sconfinato.
Difenderò il
tuo sogno e vivrai per sempre.
Oltre
i corpi celesti. Sopra l’aria.
Saluto
i re del mondo
Saluto
i re della creazione.
Saluto
il grande spirito.
E
le porte di ognuno si chiuderanno in ogni direzione
Forgiate
da impareggiabili fabbri.
Ammaliatrici
teste di vipere.
Non
cerco la solitudine. Loro mi scacciano,
nell’antro
nero mi ripudiano.
Dalle
loro lingue biforcute esce fumo tossico.
E
io ne respiro le spore fetide.
Gettato
così fu, il seme della follia.
Che
avida, aborra la vita.
La
devia e la butta in una caverna
di
estrema depressione.
Non
sopporto più gli uomini.
Desidero
cercare i miei fratelli.
Fatua
Memoria
Sto
percorrendo questa strada. Ma gran parte del viaggio è nella mia mente.
Sento
che sta tentando di ottenebrare la mia anima.
E
il tempo passa. Il verde dei prati cresce, muore e rinasce.
Un’impercettibile
fiamma come un fuoco fatuo, esce dalle nostre memorie.
E
ci ricorda di quando eravamo in vita.
Ora
i cupi tempi son finiti per noi.
Che
abbiamo oltrepassato la via della morte.
Vacui
corpi putridi che vagano disgraziati.
Larve
di mosche carnivore escono dai buchi della loro pelle.
Non
il sogno di una madre. Vedere il figlio camminare
E
seminare dietro di se, suoi pezzi di carne nera.
Che
al seguito, cani e bestie semimorte, raccolgono
e mangiano.
Al
calare delle chiare luci, il nero esercito sale dalla terra
Si
schiera orrido e marcia. Un presagio maligno lo precede.
Gli
uccelli sulle loro teste che di tanto in tanto,
gli
staccano brandelli di pelle. Ne odo alcuni che spinti dall’istinto
si
trascinano, con le gambe maciullate o sezionate.
Se
in una notte molto malvagia ti metti lì con l’orecchio teso,
io
li ho sentiti. Suoni disumani escono dalle loro bocche colanti.
Gemiti.
Lamenti. Dannatissimi spasmi di alcuni in preda a convulsioni.
E
li vidi dibattersi a terra con la bava mista a sangue creargli un rivolo
dalla
bocca.
In
ogni attimo della passata vita, ci siamo dannati.
Abbiamo
capito che la nostra futura dannazione
Ci
avrebbe ripagato a sufficienza.
Così,
vedo le fatue reminiscenze uscire dalle tombe.
Incontrarsi
nell’aria, e svanire nel nulla.
Mentre
una gelida atmosfera ristagna maleodorante.
È
l’odore di morte, di carne in decomposizione che cerco.
Mi
carica, mi purifica.
Io
respiro.
Fatigata
spiritus
Sto
bevendo dalla fonte dell’eternità
Ruggisco
nel sentire esplodere in me quel liquido.
Ora.
Muori. Uccidi. Carne. Brucia. Vivi.
Muori
per la mia mano. Per la mia spada.
C’è
un corpo immobile sul ghiaccio. Mi affresca la mente
E
così mi rendo conto che sono rinato dal nulla.
E
dal nulla mi rinnoverò forse. Anche quando non si ama più.
Che
dire di queste vacue cose. Ho reso il ghiaccio rosso.
Ho
tolto a lui il suo candore. Sporcandolo col lurido sangue
Del
mio nemico.
Ora
ho sete di eternità e così la sua forza vitale
Fluisce
dentro me. Si affievolì quella sensazione di
Turbamento
psichico che mi gravava la mente.
Ancora
sono vivo e ancora posso combattere per la grazia
del
mio orgoglio.
In
questo io volo. Non so dove sono ma il mondo da qui
Sembra
più diretto e semplice. Ali di cera mi permettono di volare.
Ma
del ghiaccio le sta ricoprendo. E così le lacrime mi sfocano gli occhi.
Il
mio regno per un dolce letto accanto a lei.
A
cosa si rinuncia quando si è colpevoli di emarginarsi?
Questa
è una semplice domanda assurda e incomprensibile.
Ai
miei respiri stanchi si accostano le sue labbra. Dolci e pure.
Sento
una percossa incredibile che mi fa tornare alla vita.
Quella
sensazione di calore scaturire da un semplice contatto.
Aiutami
ad aspettare. Io aspetto la chiamata.
Ecco
un’ombra. E lì un’altra. Ce n’è una che mi guarda dall’alto
E
un’altra che suona un violino mentre mi rincorre.
Comincio
a sciogliermi. Sento la testa stramazzare in terra e spaccarsi.
Riversando
grumi di sangue e pezzi di cervello.
Io
guardo me stesso morire.
Sta
entrando la sera e sulle ombre delle case stanche,
Si
attenua la passione del sole.
In
un cantuccio se ne sta affaccendata una creatura
un
pò brilla e grassoccia che gioca con una trottola.
La
tira con un lungo filo e la fa roteare per tanto tempo.
Mentre
vortica freneticamente, vi osserva i sogni degli uomini.
Appassiti
e viziati gorgheggi di acque stanche.
Giù
dal dirupo azzurro,
si
guarda con stupore e si nota una favolosa via di belle speranze.
Un’ipocrita frangia mossa dal vento.
Annunci
di araldi impazziti, nella mente del macellaio pazzo.
Che
sporco di sangue se ne sta nella sua umile e sporca bottega
A
fare a pezzi giovani ragazze. Ha la risata pazza e appende
Le
sue prede a ganci d’acciaio per poi venderle come carne buona.
L’ombra
mi avvolge. Sento trilli di campanellini
che
inneggiano una festa. Stanche di stare aggrovigliati
in
un cassetto a morire su se stessi.
Dio
in terra? Per carità divina. Gli dei mi scampino da tale piaga.
Per
questo se il vero sarà, sarò dannato ma non mi redimerò.
Certo
che un abominio non va tralasciato.
E
così me ne vado a spasso. Col mio fedele.
Per
prati che lui saggia.
Mentre la pioggia rischiara la mia mente. Deturpata dall’infamia.
2003 Arlek Verdefoglia (All rights reserved)
**********A Beith Verdefoglia che nonostante la lontananza mi ama ogni giorno di più**********