Mystica

 

 

  1. Mystica

  2. Evanescens

  3. Astrorum Iter

  4. Heimis Cordi

  5. A Beith

  6. Lunae Carmen

  7. Phantasmagoria

  8. Odium Generis Humani

  9. Fatua Memoria

  10. Fatigata Spiritus


Mystica

 

Semper est prima lux trans tenebras

Tibi vita mea…

Evanescens

 

La scoperta dell’anima è nella notte chiara forse una cosa nuova.

Anni in cui egli venne nella nostra casa.

Usurpando la vita delle menti.

Non conta unire le gioie nell’ambiente

Anche una sola cosa forte unisce e rafforza.

Cosa c’è in quella mente? Membra offese di giovani avi.

I suoi tiranni colgono i frutti del male.

E ogni donna va tra le messi di questo mondo.

I sacerdoti uccidono e le navi solcano nel blu.

Bianche strisce di neve sciolta.

Tu oscuro, tu immonda creatura che incatena i figli della terra,

Mostrati nella volta della tua dimora.

Vita nell’oltre di una cosa sconosciuta

Chiama da un altro mondo sperduto.

Sentinella in una vela, scavalca le montagne

Innevate di fiamme.

Aiuta le tue preghiere a volare sino agli dei

Una coltre che per nulla è indistruttibile,

da taluni orrori, impercettibili e austeri.

Sento in lontananza tuoni pieni di cupezza.

Nel vento vengono portati i loro suoni

Che indisturbati e maestosi, riempiono

Le mie orecchie che gridano e nessuno le sente.

 

Ancora una sola volta voglio essere con lei.

Quando mi svegliavo e l’abbracciavo

Mentre fluttua nelle sconfinate lande del sonno.

Sublime e estasiante visione.

 

La maschera di stoffa era dipinta con cupi toni

La nebbia nei suoi occhi. E il sole nella sua assente mente.

Oggi è bruciata e ho guardato mentre moriva

Il fetido odore che emanava m’inebriava

E mille sensazioni mi ombravano il cuore.

Ormai non più rosso. Nero.

Striscianti e deformi, stanno ora giungendo a me.

Non sopporto quella visione e mi nascondo.

Ma comincio a vederli nella mia testa.

Gli occhi mi sanguinano. Lame di cristallo

Che mi trafiggono. Ed emozioni che mi uccidono.

 

Vorticante nell’aria, una luce divina.

Mi scorge e mi porta nelle antiche aule degli immortali.

Ho raggiunto la dimora dei miei padri.

Le bianche sale dorate mi accolgono.

E il gran consiglio mi porge la sua mano.

Non rimangono epitaffi sulla terra.

Solo un triste e vago ricordo evanescente.

 

 

Astrorum iter

 

Allora questo è il ceppo di tutta la mia vita terrena. Quella che innanzi a me subisce sempre modifiche. Dinanzi a questa porta dello spazio mi sento stretto in una morsa inestricabile. Ciò che ci succede quando siamo immersi in una storia è ciò che possiamo credere di essere.

Ogni persona di qualunque gene, è diversa dalle altre.

 

Cerca la fiala del bene e troverai solo morte.

Cerca gli stendardi della pace e troverai solo falsità.

Sto volando oltre la galleria dello spazio e del tempo.

E intanto sento cani che abbaiano e corvi che divorano carcasse.

Indistinti alle mie percezioni. Una sinestesia perfetta.

Cerco soltanto di capire se tutto questo è sceso dalla terra.

 

Per tutti questi anni siete stati nascosti ai miei occhi, e nelle amare notti d’autunno immaginavo bianche scogliere e freddi demoni. Che ogni volta mi traevano nel regno delle ombre. Quello che sembra ora, è di sicuro un’antica via percorsa di rado. Senti cosa succede nel resto della dimensione viola. Si sentono belve che giocano con strenne e balocchi.

 

Buia seta delicata che s’infrange oltre il tuo viso

Ogni minuto che ascolto rimango sempre più freddo.

In un giorno in cui quelle nuvole saranno solo neri pipistrelli

Che succhieranno gli occhi di chi si abbandona.

Cosa vedono i miei occhi? Un dono sadico. Una scena orrida.

Sto andando lì a sedermi accanto a questo corpo mutilato

Ma ancora scendo scale sempre più tetre.

Veglia su ogni attimo che sarò.

E il mio ringraziamento incupirà le creature del tempo.

Popoli pallidi come la morte.

 

Crudo letto di un folletto che pensa al nulla.

Scrive per non parlare più.

Non passa giorno che gli ultimi abbagli di luce

infondono vita.

Ma le verdi storie d’estate, aggiungono

calore nel lontano ponte per l’eternità.

 

Dalla gelida foresta giunge una voce amica

La strada non c’è e sulla neve si ghiacciano

I ricordi. Spettatori di un’antica stirpe.

Dagli unici passi capisco che forse non sono solo.

Miglia e miglia divorano i miei piedi.

Stanchi e affamati di nuova linfa.

Quale oscuro sentimento, quale veritiero angelo.

Questo è il richiamo del cielo.

Un unico e gemello gioco di luce che non riesce a esplodere.

 

 

Hiems cordi

 

 

Gemma di soffice germoglio intagliata nella roccia,

alla riva di un fiume morente che tira a fatica le sue stanche acque.

Ecco i segni della volta di pietra. Mistiche e sottili ci avvolgono.

Proprio lì ci parlano e ci destano dall’oscuro sopore.

Io ero addormentato nella gloria di quella via.

Ma ne capivo pochi aspetti. Voglio essere vivo.

Così scappo dalla gioia e mi detto legge.

Quando voglio tuonare in nome degli dei, lo farò.

Cuore freddo, folgori in distanza.

La purezza di quest’urlo scritto col sangue,

arriva sin nel cuore dell’inverno.

Accogliente e dolce è la casa delle mie emozioni.

 Ciò che vedo è un’ombra invisibile.

Ciò che sento è un suono non percettibile.

Ciò che tocco è materia inesistente.

Gusto l’evolversi degli elementi

e le essenze che effondono.

Labile e perpetuo è questo mondo.

Nella buia dimora, riposiamo.

Oltre l’uscio c’è una tempesta che sta purificando.

Non disturbiamola, non parliamogli con effimere litanie.

Ce ne stiamo ammarmottati. Io e te.

Mentre fuori il mondo ricomincia dal freddo.

 

Stanche soglie usurate dalla quotidianità, cercano di essere vive

e quella fotografia ingiallita mi guarda, esausta di dover

simboleggiare il mio tormentoso ricordo.

E le montagne fremono, i sussulti della terra giacciono lì in fondo.

Tra i verdi prati corro e scopro cosa si prova ad essere sciolto dalle briglie.

Cerco una piccola apertura dove possa ammirare il dolce popolo.

Ma la veglia è lunga e gli immensi giochi di piccole foglie mi

rallegrano la mente.

 

 

  A Beith

 

Dolce naiade del mare che scalda il mio sonno.

Piccolo astro nel mio spazio senza astri.

Una notte e una vita sono bastati per farmi

perdere nel mondo che ora è diventato anche mio.

 Questa strana avventura che mi porta distante da casa

Tra sentieri e uomini inesplorati……che mi fanno paura.

Ma so che nel buio c’è Luce. E di quel chiarore io vivo.

Cotale bellezza è quello che viene chiamato amore.

La creatura che ho vicino, è tutto ciò.

È un coro di voci mistiche che prende la parte più rara

E la proietta nel bello.

 

Nel fuoco abita un piccolo frammento freddo.

Un insieme di impressioni fastidiose.

Ma quanto siamo belli quando leggiamo questa poesia.

E ci viene in mente un labbrino.

C’è un broncio che galleggia nel mare

e ci sono dei piccoli baci dolci che volano a pelo d’acqua.

Afferro per mano la mia vita e le dico che sarà

mia e nessuno me la può portar via.

Gemo perché non c’è. Gioisco perché è eternamente vicino a me.

L’amo perché è lei.

 

 

 

Lunae carmen

 

  Sotto la luna, ciò che si accende di caldo è quello che si dice, unico.

Tu figlia della terra, che assisti da milioni di anni alle piaghe di questo mondo.

Con i tuoi mille occhi guardi e culli ogni cosa.

Molti poeti hanno cantato di te, nelle notti in cui rifulgi in tutta la tua magnificenza.

Ispiratrice di leggende, oracolo di guerrieri in cerca di gloria.

Pertanto il poeta voglio essere io, a te dedico questi versi. Al mio angelo di sempre.

Che mi ha visto nascere e mi vedrà morire.

 

Phantasmagoria

 

  E l’essere soprannaturale che cavalca, nella notte non ha paura.

Un tacito grido come il lamento funebre del mostro.

Una torma di cavalieri d’argento che innalza le spade.

Quel fiocco di neve ancora non si è sciolto e va protetto.

I corvi stanno prillando al ponte del marciume.

Forti corvi oscuri.

S’insinua nella mia mente come un tarlo

e perseguita i miei incubi più reconditi.

Assopiti nell’oblio, incatenati nell’oltre.

L’ultima parola è un simbolo di assoluta disgrazia.

Cosa inevitabile se non per il puro aiuto ultraterreno.

Nell’infinità di questa centuria, i ghiacci si sciolgono…

E le meraviglie della terra tornano a splendere…

Montagne e foreste… Nella miriade universale della natura,

ascoltano ciò per cui la terra suona i suoi tamburi.

Incorporea entità della poesia musicale.

Ci guida attraverso voli di uccelli e bellezze uniche.

Assistiamo ancora al dolce suono…

Nella magica musica dei Valar…

Ciò che avverto quando vedo la creatura più bella è proprio

siffatta musica, tal messaggio riempie di bellezza la mia mente.

Come si accendono tante candele quando sul mondo non c’è Luce.

Un fluido che viaggia spensierato attraverso

canali indicibili nell’estasi degli onnipotenti

creatori del vivo. Traversie e incantesimi ad immolare

una soffice piaga per il mondo perduta.

Verso il giunger dell’ennesima traccia, sogno

una cantilena dolorosa, che mi sconvolge il respiro,

Così ora e mai più al volgere della sulfurea atmosfera.

Lungi da ogni peccato sano, sono un empio

condottiero. Per quello che ancora di giusto

abita questo mondo. Ai primi barlumi

di abbacinanti saette, torneranno. E io combatterò per loro.

Il cielo si oscura e gli dei chiamano alla battaglia… Ave.

 

 

Odium generis humani

 

 

Non confidare nello specchio. Il suo riflesso inganna

E diventa rischioso se trascurato.

Ancora quell’immagine vedo. E una triste casa vuota

è rimasta la sola cosa reale.

Abbiamo volato per i più meravigliosi mondi.

Ci siamo uniti in un unico essere.

Siamo stati ninnati dalle onde e dalla sabbia baciati.

 

Nell’infinito poema della nostra vita,

sognami ogni volta che chiudi gli occhi.

E io mi librerò per l’aere più tenebroso

A dimostrazione della tua chiamata.

Ora vedo cigni neri che ingurgitano corpi imputriditi

Bambini che mangiano i vermi putrefatti.

Anziani ridotti all’osso, strisciare in terra per poi

essere decapitati da deformi creature fameliche.

Nel tacito caos demonizzato, erro.

Tutto è così giunto alla fine.

Il mondo sta mutando. E io non con lui.

Oggi un’altra vita è passata nelle aule di Mandos.

Lì dimora l’infinito. Ma sulla terra l’orrore è sconfinato.

Difenderò il tuo sogno e vivrai per sempre.

 

Oltre i corpi celesti. Sopra l’aria.

Saluto i re del mondo

Saluto i re della creazione.

Saluto il grande spirito.

E le porte di ognuno si chiuderanno in ogni direzione

Forgiate da impareggiabili fabbri.

Ammaliatrici teste di vipere.

Non cerco la solitudine. Loro mi scacciano,

nell’antro nero mi ripudiano.

Dalle loro lingue biforcute esce fumo tossico.

E io ne respiro le spore fetide.

 

Gettato così fu, il seme della follia.

Che avida, aborra la vita.

La devia e la butta in una caverna

di estrema depressione.

Non sopporto più gli uomini.

Desidero cercare i miei fratelli.

 

 

Fatua Memoria

 

Sto percorrendo questa strada. Ma gran parte del viaggio è nella mia mente.

Sento che sta tentando di ottenebrare la mia anima.

E il tempo passa. Il verde dei prati cresce, muore e rinasce.

Un’impercettibile fiamma come un fuoco fatuo, esce dalle nostre memorie.

E ci ricorda di quando eravamo in vita.

Ora i cupi tempi son finiti per noi.

Che abbiamo oltrepassato la via della morte.

Vacui corpi putridi che vagano disgraziati.

Larve di mosche carnivore escono dai buchi della loro pelle.

Non il sogno di una madre. Vedere il figlio camminare

E seminare dietro di se, suoi pezzi di carne nera.

Che al seguito, cani e bestie semimorte,  raccolgono e mangiano.

 

Al calare delle chiare luci, il nero esercito sale dalla terra

Si schiera orrido e marcia. Un presagio maligno lo precede.

Gli uccelli sulle loro teste che di tanto in tanto,

gli staccano brandelli di pelle. Ne odo alcuni che spinti dall’istinto

si trascinano, con le gambe maciullate o sezionate.

Se in una notte molto malvagia ti metti lì con l’orecchio teso,

io li ho sentiti. Suoni disumani escono dalle loro bocche colanti.

Gemiti. Lamenti. Dannatissimi spasmi di alcuni in preda a convulsioni.

E li vidi dibattersi a terra con la bava mista a sangue creargli un rivolo

dalla bocca.

 

In ogni attimo della passata vita, ci siamo dannati.

Abbiamo capito che la nostra futura dannazione

Ci avrebbe ripagato a sufficienza.

Così, vedo le fatue reminiscenze uscire dalle tombe.

Incontrarsi nell’aria, e svanire nel nulla.

Mentre una gelida atmosfera ristagna maleodorante.

È l’odore di morte, di carne in decomposizione che cerco.

Mi carica, mi purifica.

Io respiro.

 

 

Fatigata spiritus

 

Sto bevendo dalla fonte dell’eternità

Ruggisco nel sentire esplodere in me quel liquido.

Ora. Muori. Uccidi. Carne. Brucia. Vivi.

Muori per la mia mano. Per la mia spada.

C’è un corpo immobile sul ghiaccio. Mi affresca la mente

E così mi rendo conto che sono rinato dal nulla.

E dal nulla mi rinnoverò forse. Anche quando non si ama più.

Che dire di queste vacue cose. Ho reso il ghiaccio rosso.

Ho tolto a lui il suo candore. Sporcandolo col lurido sangue

Del mio nemico.

Ora ho sete di eternità e così la sua forza vitale

Fluisce dentro me. Si affievolì quella sensazione di

Turbamento psichico che mi gravava la mente.

Ancora sono vivo e ancora posso combattere per la grazia

del mio orgoglio.

 

In questo io volo. Non so dove sono ma il mondo da qui

Sembra più diretto e semplice. Ali di cera mi permettono di volare.

Ma del ghiaccio le sta ricoprendo. E così le lacrime mi sfocano gli occhi.

Il mio regno per un dolce letto accanto a lei.

A cosa si rinuncia quando si è colpevoli di emarginarsi?

Questa è una semplice domanda assurda e incomprensibile.

Ai miei respiri stanchi si accostano le sue labbra. Dolci e pure.

Sento una percossa incredibile che mi fa tornare alla vita.

Quella sensazione di calore scaturire da un semplice contatto.

Aiutami ad aspettare. Io aspetto la chiamata.

Ecco un’ombra. E lì un’altra. Ce n’è una che mi guarda dall’alto

E un’altra che suona un violino mentre mi rincorre.

Comincio a sciogliermi. Sento la testa stramazzare in terra e spaccarsi.

Riversando grumi di sangue e pezzi di cervello.

Io guardo me stesso morire.

 

Sta entrando la sera e sulle ombre delle case stanche,

Si attenua la passione del sole.

In un cantuccio se ne sta affaccendata una creatura

un pò brilla e grassoccia che gioca con una trottola.

La tira con un lungo filo e la fa roteare per tanto tempo.

Mentre vortica freneticamente, vi osserva i sogni degli uomini.

Appassiti e viziati gorgheggi di acque stanche.

Giù dal dirupo azzurro,

si guarda con stupore e si nota una favolosa via di belle speranze.

 Un’ipocrita frangia mossa dal vento.

 

Annunci di araldi impazziti, nella mente del macellaio pazzo.

Che sporco di sangue se ne sta nella sua umile e sporca bottega

A fare a pezzi giovani ragazze. Ha la risata pazza e appende

Le sue prede a ganci d’acciaio per poi venderle come carne buona.

L’ombra mi avvolge. Sento trilli di campanellini

che inneggiano una festa. Stanche di stare aggrovigliati

in un cassetto a morire su se stessi.

 

Dio in terra? Per carità divina. Gli dei mi scampino da tale piaga.

Per questo se il vero sarà, sarò dannato ma non mi redimerò.

Certo che un abominio non va tralasciato.

E così me ne vado a spasso. Col mio fedele.

Per prati che lui saggia.

Mentre la pioggia rischiara la mia mente. Deturpata dall’infamia.

 

 

                                                                                                                    2003 Arlek Verdefoglia (All rights reserved)


 

**********A Beith Verdefoglia che nonostante la lontananza mi ama ogni giorno di più**********

 

 

 

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