Sicilia Nord-est:...flora e fauna
a cura di Mario Crisafulli - legambiente del Tirreno
il webmaster ringrazia per la gentile concessione
La fascia costiera delle foci dei torrenti Muto e Niceto rappresenta oggi uno
degli ultimi esempi di area umida costiera della Sicilia, e, sicuramente,
l’unico ecosistema, nel suo genere, per tutta l’area dei Peloritani. Questo
territorio, originatosi con depositi alluvionali circa 140.000 anni fa, pur
subendo nei secoli le modificazioni dovute agli insediamenti e alle attività
dell’uomo, a differenza di numerosi luoghi dei litorali messinesi, che con la
totale urbanizzazione hanno perso le loro peculiarità, ha preservato nel tempo
il suo carattere principale: le acque risorgive che sgorgano presso il mare
copiose in estate, fenomeno noto fin dall’antichità e tipico di quest’area della
Sicilia nord-orientale. Plinio il Vecchio, infatti, nella sua opera Storia
Naturale (libro XXXI, 28), pubblicata nel ’77 d.C., segnala, a proposito della
differenza delle acque in base alle caratteristiche del terreno, che tra Messina
e Milazzo le sorgenti essudano in estate ed inaridiscono in inverno (...in
Sicilia quidam circa Messanam et Mylas hieme in totum inarescunt fontes, ipsa
aestate exudant amnemque faciunt...).
Questo argomento viene trattato anche dagli storici dei secoli successivi e nei
tempi moderni viene approfondito dagli studi dell’Ing. Domenico Ryolo,
pubblicati nelle Notizie sul territorio di Milazzo - Falda acquifera e storia
geologica del territorio (Milazzo, 1980) , che dimostrano come le acque dei
bacini imbriferi dei monti Peloritani, in base agli strati permeabili e
impermeabili del sottosuolo, per la forza cinetica che possiedono, riaffiorano
in prossimità della costa con uno sfasamento di circa 6 mesi rispetto alla
stagione delle piogge (settembre-febbraio). Ciò spiega l’esistenza di grandi
paludi perenni nei tempi antichi, una maremma estesa tra Milazzo e il Niceto,
chiamata Pantanum, in cui si riversavano le piene invernali dei fiumi Mela,
Floripòtema, Muto, Niceto e Bagheria. Da ciò derivò il toponimo “Pantano” che
ancora viene usato per i luoghi presso la foce del torrente Floripòtema (San
Filippo del Mela), a sud di Giammoro (Pace del Mela) e presso la Marina di San
Biagio (San Pier Niceto).
Oggi, l’area in cui si possono riscontrare le “sorgenti di Plinio” è molto
limitata, poichè la falda acquifera presso Milazzo è stata impoverita
dall’abnorme prelievo per scopi industriali e anche perché buona parte del
Pantanum occupata dagli insediamenti stessi. Per cui, l’area del basso corso dei
torrenti Muto e Niceto, ricadente nei comuni di Pace del Mela, San Pier Niceto,
Monforte San Giorgio e Torregrotta, costituisce, oramai, l’unico sito dove
ancora si può osservare questo “affascinante” fenomeno. Altra particolare
descrizione naturalistica, per questi luoghi, è quella relativa ai Purgamenta,
di cui Plinio, riprendendo quanto già segnalato da Seneca in Le Naturales
quaestiones , dice (Storia Naturale, libro II, 101) che tra Messina e Milazzo,
con l’influenza della luna, vengono ributtate sulla spiaggia delle “sporcizie”
simili al letame, da cui sarebbe derivata la leggenda del “pascolo dei buoi del
dio Sole”, di cui riferisce Omero nell’Odissea (...Omnia plenilunio maria
purgantur, quaedam et stato tempore. Circa Messanam ey Mulas fimo similis
expuuntur in litus purgamenta, unde fabula Solis Boves ibi tabulari...).
.
Questo fenomeno viene riscontrato ancora ai nostri giorni ma non è stato del
tutto chiarito dal punto di vista scientifico, anche se gli studiosi oggi hanno
motivo di pensare che le “sporcizie” possano essere dei frammenti di alghe
marine o di materiale organico proveniente dai pantani, che si depositano a riva
in condizioni di particolari movimenti ondosi del mare. L’area dell’antico
Pantanum , inoltre, oggetto di appassionanti studi e ricerche di archeologia che
mirano all’individuazione dei resti del tempio greco di Diana Facellina e di un
Nauloco di cui parlano numerose fonti scritte relative alla battaglia tra
Ottaviano e Pompeo del 36 a.C.. A tal proposito, in base ad alcune teorie, il
Nauloco viene ubicato proprio presso il Pantano di Giammoro e presso la foce del
Niceto, ipotesi condivise da più studiosi, i quali auspicano e invitano ad
approfondimenti con saggi di scavo e carotaggi dei terreni. Pare che il Nauloco
fosse un bacino artificiale collegato con il mare, alimentato da acque dolci
perenni, talmente ampio da potere costituire rifugio per le 300 navi di Pompeo,
dopo la prima sconfitta a Milazzo contro Ottaviano. Alla luce di questi fatti e
degli eventi dei secoli successivi, i luoghi del Pantano rivestono oggi una
grande valenza culturale, sia sul piano storico che etno-antropologico. Il
Nauloco, probabilmente, venne sepolto dai detriti delle inondazioni dei fiumi e
l’ area del Pantanum rimase abbandonata fin dal basso medio-evo, e per diversi
secoli a causa della successiva diffusione della malaria. In tempi più recenti,
però, alla fine dell’ 800, sconfitta tale malattia, la pianura costiera tornò ad
assumere centralità per le attività delle popolazioni dei paesi collinari
limitrofi, in quanto le acque risorgive vennero convogliate in appositi canali
di drenaggio, detti “ saie” , e la palude venne gradualmente trasformata in
fertili orti, vigneti e frutteti. Ne sono ancora oggi testimonianza le opere di
architettura rurale costituite da case coloniche e masserie, e gli originari
sistemi di irrigazione presso le contrade Marina di San Biagio (Pace del Mela -
San Pier Niceto) e Case Vecchie o Casino (Monforte San Giorgio – Torregrotta),
dove si può osservare come l’ acqua delle “ saie” viene utilizzata per le
coltivazioni.
fiori
locali
.
L’ agricoltura, infatti, continua ad essere una delle attività economiche
primarie, e grazie alle particolari condizioni pedo-climatiche dei terreni vanta
delle tipicità per la produzione di patate e agrumi e, soprattutto, per le
rinomate “ smergie” , una singolare varietà di pesca liscia, dolce e profumata,
che viene coltivata solo nella valle del Niceto (endemica). Le spiagge dell’
area del Pantano, inoltre, hanno rivestito, da sempre, notevole importanza tra
gli elementi della cultura popolare locale e del comprensorio. Il mare, la
chiara e finissima sabbia delle dune, i canneti con i ruscelli di acque fresche
e limpide hanno fatto di questo litorale un rinomato luogo di balneazione. E’
proprio presso le “ saie” che le genti fino a qualche decennio fa si recavano ad
eseguire il tradizionale “ lavare la lana” , momento rituale e festoso in cui le
famiglie, prima di confezionare gli artigianali materassi e cuscini per la casa,
vi trasportavano la lana di pecora, per tenerla prima a bagno nel mare in
apposite ceste (“ cufinati ´) e per poi stenderla al sole ad asciugare, dopo
averla sciacquata nell’ acqua dolce corrente. Non meno importante è l’ aspetto
botanico e zoologico di tutta la fascia costiera del Pantano, dove le condizioni
di perenne umidità del suolo, e una certa integrità di diversi tratti di duna
sabbiosa, danno luogo a ecosistemi che altrove nella Sicilia e nel resto dell’
area mediterranea sono ormai rari a causa della massiccia antropizzazione delle
aree prossime al mare; ciò fa sì che oggi il Pantano possa essere annoverato fra
i principali siti per la conservazione della bio-diversità nel distretto dei
Peloritani. Per questo luogo ancora non esiste uno studio sistematico completo
della flora e della fauna, ma da un primo lavoro di ricerca e catalogazione,
effettuato recentemente dal Dipartimento di Botanica dell’Università di Messina,
emergono dei dati molto importanti per la località “ Pantano” di Marina di San
Biagio. Presso l’ ambiente umido dei ruscelli e dello stagno che essi originano,
tra la fitta vegetazione a cannuccia palustre (Phragmites australis), giunco
pungente (Juncus acutus), sedano d'acqua (Apium nodiflorum) ed equiseto maggiore
(Equisetum Telmateja), sono state rinvenute, infatti, diverse specie rare,
alcune delle quali, addirittura, non ancora note per la flora peloritana:
Flora naturale
- Iris pseudacorus L. (giaggiolo acquatico) - specie della Lista rossa regionale
con lo status VU (vulnerabile), unica località di rinvenimento per i Peloritani
- Schoenoplectus tabaernemontani (giunco di palude) - specie rara, unica
località di rinvenimento per i Peloritani
-Sonchus maritimus L. subsp. maritumus (grespino marittimo)- specie rara, nota
per i Peloritani prima solo per Marinello
- Alisma plantago-acquiatica L. (piantaggine d’acqua) - specie rara, nota per i
Peloritani prima solo per Rifugio S. Calorio - S. Stefano Briga
- Galium palustre L. subsp. elongatum (C.Presl) - specie rara, nota per i
Peloritani prima solo per Piano Margi – Fiumedinisi
- Sparganium erectum L. s.l. (coltellaccio) - specie rara, nota per i Peloritani
prima solo per Piano Margi – Fiumedinisi
- Lytrum salicaria L. (salcerella) - specie rara, nota per i Peloritani prima
solo per Falcone
- Glyceria spicata Guss (gramignone minore) - specie rara, nota per i Peloritani
prima solo per Rifugio S. Calorio - S. Stefano Briga
.
ancora fiori e piante locali
Fauna
Per quanto riguarda gli animali osservati nell’area del Pantano, una prima fase
di ricerca effettuata principalmente sui Vertebrati, da volontari di Legambiente
esperti di fauna selvatica, ha portato a risultati molto interessanti. Per gli
ambienti naturali, quali i ruscelli, gli stagni, i greti dei torrenti e le dune
sabbiose, ma anche per quelli parzialmente antropizzati, come le aree coltivate
(mai in modo intensivo), emerge, infatti, la presenza di numerose specie. Esse,
essendo legate biologicamente a particolari e delicati ecosistemi palustri,
oramai così limitati e localizzati nel territorio, sono spesso annoverate come
rare e protette. Questi habitat, inoltre, sono preziosi per la sosta di numerose
specie di avifauna migratoria e, a tal proposito, è importante citare
l’eccezionale e spettacolare svernamento, tra febbraio e marzo 2006, di uno
stormo di Cygnus olor, durante il quale il Pantano di Marina di San Biagio,
divenne il luogo centrale, e di grande richiamo, per l’osservazione dei vistosi
volatili. Tra le specie animali del Pantano bisogna ricordare, inoltre,
l’anguilla (Anguilla anguilla), che riveste particolare importanza per l’aspetto
naturalistico e, soprattutto, etno-antropologico. Questo pesce, dal ciclo vitale
imponente e ancora in parte misterioso, è sempre stato presente nelle acque
delle “saie”, probabilmente di transito durante la fase riproduttiva, che vede
gli esemplari adulti migrare dai fiumi e dai laghi verso il mare, e i giovani
nello spostamento inverso risalire contro corrente, anche attraverso le vene di
acqua dolce sotterranee. Ricerche in corso mirano ad accertare la persistenza di
questo affascinante fenomeno, il quale ha riscontro soprattutto nelle
testimonianze orali della cultura popolare. Le anguille, infatti, fino a qualche
decennio fa, venivano pescate per fini alimentari e ,soprattutto, per uno scopo
molto particolare: venivano tenute nelle cisterne delle case di campagna, per
mantenere le acque di uso domestico, libere da larve, vermi e insetti, e nel
gergo locale sono ancora ricorrenti le citazioni delle “nhidde du ciumi i
Nucidda” (anguille del fiume Niceto).
Mammiferi
- martora (martes martes)
- donnola (mustela nivalis)
- riccio ((erinaceus europaeus)
- coniglio selvatico (oryctolagus cuniculus)
- mustiolo (suncus etruscus)
- crocidura rossiccia (crocidura russula)
- crocidura minore (crocidura suaveolens)
- topo selvatico (Apodemus sylvaticus)
- topolino delle case (Mus musculus subsp. domesticus)
Avifauna nidificante
- gallinella d’acqua ( Gallinula chloropus)
- martin pescatore (Alcedo atthis)
- ballerina gialla (Motacilla cinerea)
- gheppio ( Falcus tinnunculus)
- barbagianni (Tyto alba)
- assiolo (Otus scops)
- civetta (Athene noctua)
- upupa (Upupa epops)
- balestruccio (Delichon urbica)
- scricciolo (Troglatydes troglatudes)
- merlo (Turdus merula)
- usignolo di fiume (Cettia cetti)
- capinera (Sylvia atricapilla)
- occhiocotto (Sylvia melanocephala)
- averla capirossa (Lanius senator)
- gazza (Pica pica)
- passera sarda (Passer hispaniolensis)
- passera mattugia (Passer montanus)
- cardellino (carduelis carduelis)
- verdone (carduelis chloris)
- verzellino (serius serius)
- fringuello (fringilla coelebs)
- rondine (Hirundo rustica)
Avifauna non nidificante.
-airone cenerino (Ardea cinerea)
- garzetta (Egretta garzetta)
- tarabusino (Ixobrychus minutus)
- cigno reale (Cygnus olor)
- poiana (Buteu buteo)
- quaglia (coturnix coturmix)
- re di quaglie (Crex crex)
- pavoncella (Vanellus vanellus)
- beccaccino (Gallinago gallinago)
- beccaccia (Scolopax rusticola)
- piro-piro piccolo (Actitis hypoleucos)
- gabbiano comune (Larus ridibundus)
- gabbiano reale (/Larus cachinnas)
- tortora (Streptotelia turtur)
- allodola (Alauda arnensis)
- calandro (Anthus campestris)
- ballerina bianca (Motacilla alba)
- cutrettola (Motacilla flava)
- saltimpalo (Saxicola torquata)
- pettirosso (Erithacus rubecula)
- codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochrurus)
- beccafico (Sylvia borin)
- cinciallegra (Parus major)
- rigogolo (Oriolus oriolus)
- storno (Sturnus vulgaris)
- cornacchia grigia (Corvus corone)
- zigolo nero (Emberiza cirlus)
Rettili
- biacco (Coluber viridiflavus)
- biscia dal collare (Natrix natrix)
- ramarro (Lacerta viridis)
- lucertola campestre (Podarcis sicula)
- gongilo (Chalcides ocellatus)
- geco comune (Trentola mauritiana)
- geco verrucoso (Hemidactylus turcinus)
- luscengola (Chalcides chalcides)
Anfibi
- rana dei fossi (Rana lessonae)
- raganella (Hyla intermedia)
- discoglosso dipinto (Discoglossus pictus)
- rospo comune (Bufo bufo)
- rospo smeraldino (Bufo viridis)
Pesci
- cefalo o muggine (Mugil cephalus)
- anguilla (?) (Anguilla anguilla)
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