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La critica - M. Barenghi -
(...)L'idea che la città in quanto tale sia, infine, una struttura simbolica, una forma portatrice di significati, era familiare a Calvino, scrittore della vocazione eminentemente "urbana" ( e viene spontaneo ricordare il titolo "Città aperta", la rivista alla quale aveva collaborato qualche lustro addietro, pubblicandovi La gran bonaccia delle Antille). Ma nel comporre le Città invisibili Calvino non si accontenta di sviluppare questa idea stilando un immaginoso repertorio di simboli. Il suo obiettivo è di associare alla sequenza di forme-città una rete o un sistema di percorsi possibili: la forma di una mappa non fissata una volta per tutte in uno schema statico, bensì librata (per dir così) fra l'ordine geometrizzante di una tipologia astratta e il dinamismo contingente e spurio di un libro di viaggi. Una classificazione "aperta", che implichi (o contempli) una pluralità di moti e sviluppi: un atlante, appunto -un disegno, un mosaico - che sia anche una specie di giardino (cioè una realtà viva ed evolventesi) e una specie di scacchiera (cioè un luogo di infiniti giochi possibili). Di qui l'importanza cruciale della costruzione dell'indice, alla quale Calvino si è dedicato - ne siamo persuasi - con un impegno pari a quello profuso nella stesura dei testi.
M. Barenghi, Gli abbozzi dell'indice - quattro fogli dall'archivio di Calvino, in La visione dell'invisibile, Mondadori 2002