P.Menegaldo

copertina dell'edizione tedesca delle citta invisibili, clicca per ingrandire l'immagine

Tentiamo una descrizione più precisa di questa struttura. Le sezioni sono nove, i cui le estreme contengono dieci “città” e le intermedie cinque, e ognuna si apre e chiude con un paragrafo di “commento”. Prescindendo da questi ultimi, e designando con le lettere dell'alfabeto le varie sezioni (A = Le città e la memoria... M = Le città nascoste) e con i numeri arabi progressivi, come nel libro, le successive occorrenze di ogni città della serie (sempre cinque), si ha questo schema:
A¹B2A3C1A4B3C2D1; A5B4C3D2E1; B5C4D3E2F1; C5D4E3F2G1; D5E4F3G2H1; E5F4G3H2I1; F5G4H3I2L1; G5H4I3L2M1; H5I4L3M2I5L4M3L5M4M5.
Conservando la metafora metrica, si potrebbe parlare di sette stanze di sestina inquadrata da due stanze di sestina doppia. E si noterà, assieme ad altro di più ovvio, che l’ultima sezione ha uno schema esattamente speculare della prima.

E come nella sestina il ritorno, stanza dopo stanza, delle stesse parole-rima interrompe continuamente il flusso discorsivo-temporale nell’identità speculare e retrospettiva delle parole-tema ripetute, così qui l’incrociarsi dei due diagrammi, sintagmatico e paradigmatico, come di un ordito e di una trama, mette in crisi la stessa nozione di successione lineare delle esperienze e di non-reversibilità dello svolgimento narrativo. Ne derivano due conseguenze importanti, entrambe di ordine “saggistico”: che lo schema compositivo si trasforma, da immanente, in trascendente e a priori; e che i “temi” o “tesi” prevalgono sui relativi svolgimenti concreti, visti come varianti esemplificatorie di quelli. La parabola de Il conte di Montecristo (in Ti con zero), in cui il calcolo probabilistico delle possibilità d’evasione dal castello d’If diviene nello stesso tempo calcolo delle modalità di composizione del libro che ha per oggetto quell’evasione, trova dunque nelle Città invisibili una sua realizzazione strutturale.

Questo rigoroso e chiuso caleidoscopio di combinazioni “finite” è di per se stesso notevolmente informativo, anche se l’informazione che ne scaturisce è di una sottile ambivalenza. Poiché tale rigore strutturale sottolinea una volontà di dominio sui dati della realtà, da parte della ragione geometrica, che si vuole così demiurgico proprio nella misura in cui quei dati si presentano di fatto come aleatorii, intercambiabili

“Nella mente del Kan l’impero si rifletteva in un deserto di dati labili e intercambiabili come grani di sabbia da cui emergevano per ogni città e provincia le figure evocate dai logogrifi del veneziano”

l’ applicazione razionalistica, come sempre avviene, diventa tanto più accanita quanto meno la realtà risulta razionalizzabile. Da questo punto di vista l’ultimo libro di Calvino, che appare e per tanti aspetti è il suo più costruito, nello stesso tempo è anche il più dissolto. Il perfetto ordinamento, lo smontaggio e rimontaggio dei materiali non riesce a celare – e probabilmente non lo vuole – il fatto che si tratta, letteralmente, di “materiali di costruzione” largamente fungibili, polivalenti, virtuali: frammenti con cui si può costruire ogni possibile edificio e dunque nessun edificio.

P. V. MENGALDO, L’arco e le pietre (Calvino,”Le città invisibili”), in La tradizione del Novecento. Da D’Annunzio a Montale, (Feltrinelli,1975, pp. 410-13.)