Le città sottili. 3.
Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia un incantesimo o solo
un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha
nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell'acqua, che salgono
verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani:
una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo
biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti
appesi ai rami. Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano
andati prima dell'arrivo dei muratori; oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano
resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti.
Abbandonata prima o dopo esser stata abitata, Armilla non può dirsi deserta. A qualsiasi
ora, alzando gli occhi tra le tubature, non è raro scorgere una o molte giovani donne,
snelle, non alte di statura, che si crogiolano nelle vasche da bagno, che si inarcano
sotto le docce sospese nel vuoto, che fanno abluzioni, o che si pettinano i lunghi capelli
allo specchio. Nel sole brillano i fili d'acqua sventagliati dalle docce, i getti dei rubinetti, gli
zampilli, gli schizzi, la schiuma delle spugne.
La spiegazione a cui sono arrivato è questa: dei corsi d'acqua incanalati nelle tubature
d'Armilla sono rimaste padrone ninfe e naiadi. Abituate a risalire le vene sotterranee, è
stato loro facile inoltrarsi nel nuovo regno acquatico, sgorgare da fonti moltiplicate,
trovare nuovi specchi, nuovi giochi, nuovi modi di godere dell'acqua. Può darsi che la loro
invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli
uomini come un dono votivo per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle
acque. Comunque, adesso sembrano contente, queste donnine: al mattino si sentono
cantare.
Italo calvino, Le città invisibili, Mondadori
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illustrazione giapponese