BIBLIOGRAFIA
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Questa raccolta di scritti "su I Balordi" è stata aggiunta almeno sei anni dopo la realizzazione del sito.
Apre la rassegna un testo di Franco Brera, figlio di Gianni, scrittore e giornalista sportivo. Gli fui presentato da un amico comune, come "Gion de I Balordi", qualifica che nella vita quotidiana non richiama alla mente alcunché. Invece Franco Brera, dopo 35 anni, si ricordava ancora de i Balordi, davvero, e qualche giorno dopo mi fece pervenire queste (belle) righe che potete leggere.
Gli scritti successivi, ordinati cronologicamente, sono tratti da libri che si occupano degli anni '60, quando parlano de I Balordi in generale; e da libri scritti in ricordo di Lucio Battisti, quando si limitano a citare la nostra prima incisione di Non è Francesca.
In chiusura c'è un sorprendente rilancio. Quasi l'apertura di un dibattito...
Buona lettura. 1 Devo
dare qualche parametro che faciliti la comprensione di quanto segue.
Sono un semiologo della musica e un
musicista di scuola classica. Le canzoni sono per me un "fumetto
sonoro", secondo la definizione inventata da Francesco Guccini:
come i fumetti non sono né pittura né letteratura, ma una forma
d'arte nuova, così le canzoni non sono né musica né poesia,
ma comunicazione,
nuova se non altro per la inusitata vastità della sua diffusione. Per
questo parlo dell'atmosfera creata dai Balordi e non della loro
musica, come ci si potrebbe aspettare da me. Dei
Balordi ricordo Vengono a
portarci via, l'inciso
e pochi versi: abbiam
trovato un suono nuovo più forte degli altri, più grande di tutti...
e watt e watt e cento e mille watt....e quel MA!
Col punto esclamativo. Erano
anni in cui si era ossessionati dal sound:
leggendo gli articoli sui complessi, la parola ricorreva come fosse il
nucleo di tutto (ed effettivamente lo è, ma non in quel modo tutto
sommato cialtronesco).
I Balordi colpiscono il cuore del problema, con un testo
accompagnato da una versione rimodernata dell'Orchestra Intonarumori
dei Futuristi. E se Dio vuole, futuristicamente,
sfottono. E
quelli che poi sono diventati i gruppi, si chiamavano allora
complessi, cioè a voler vedere, più che
aggregazione giovanile, sintomatologia di disagio mentale: e i
giovani, oltreché smidollati, privi di
iniziativa, sporchi e deficienti - preciso come oggi - erano visti dai
media come malati di mente. Quindi,
vengono a portarci via, ah ah, ih ih,
oh oh, alla faccia vostra, a noi piace: il
matto è il simbolo del popolo, bue cieco che ci vede benissimo e si
muove veloce. Si incarna a volte nel
giullare, nel giullare di Dio San Francesco d'Assisi, nel premio Nobel
a Dario Fo - e in quel 45 giri. Ricordo
anche la disarmante semplicità di un verso di Don Chisciotte:
la ragazza che piace a me, e
lo ricordo mio malgrado: ho risentito Don Chisciotte
prima di scrivere queste righe che sento di dovere ai Balordi e ce
l'ho ritrovato senza sapere che era un verso di quella canzone, e mi
è venuta in mente la ragazza che piaceva a me in quegli anni, e
quelle che mi sono piaciute dopo e quella che mi piace adesso.
Chiedo scusa se parlo di Maria, non nel senso di un discorso, quello che
mi viene, dice Gaber qualche decennio
dopo, e con ciò vengo al punto: ricordo pochissimo dei Balordi, ma ho
presentissima la sensazione che le loro canzoni contenessero il seme
di quello che è venuto dopo. Mi
ricordo il mio compagno di banco, che mi diceva: "Forti i
Balordi! Cantano ero lì che pensavo ai cazzi miei..."
(mentre gli altri cantavano Se
verrai con me nel mio carro fra le nuvole, o Non
ho l'età per amarti). Quindi
i Balordi cantavano come noi trasgressivamente
parlavamo ai tempi in cui il preside ci aspettava sul portone per
rimandare a casa chi si presentava senza cravatta, altro che capelli
lunghi. I Balordi eravamo noi, e molto di loro ci ha accompagnato fino
a oggi. A me di sicuro. Che
altro ricordo? Domani devo fare
una cosa, devo cambiar la società, il che di lì a pochissimo si sarebbe
avverato nel velleitarismo dei gruppi dell'ultrasinistra (e
purtroppo anche dell'ultradestra), nei sogni dei Situazionisti
- da cui poi nacque Re Nudo, movimento in odore di Balordi fin
dall'inizio. Ma!
Balordo
cosa vuol dire? Nel linguaggio della mala vuol dire uno che fa
la vita, contrapposto a Renato,
un regolare. Ma
Balordo è anche chi ha accusato il colpo di quello che gli è
successo attorno, e ne esce con le idee
confuse e la coscienza traballante. Però almeno ha dimostrato che la
coscienza ce l'ha, o almeno l'aveva.
Balordo, o sbalordito, è chi guarda quello che c'è intorno e ancora
si meraviglia del male. Con la consapevolezza che se tornasse
il diluvio, poi restano a galla
una chitarra, una maglietta e un mini-pool : versi che potrebbero
aver scritto gli Skiantos, o Elio e le sue
Storie, tutti post-Balordi che non sono altro. E
se facessimo un'Associazione? Potremmo chiamarla Balordi allo Stato
Nascente - ai tramonti, ai tramonti - Stato
Nascente dei Balordi - agli orienti, agli orienti - o come si vuole -
ai tramonti dei soli nascenti. Ricky, ricordi i Balordi? Son stati gli stati nascenti dei sogni seguenti. Franco
Brera (1950)
Semiologo della musica e compositore new
age, più per affinità filosofica che
musicale. Ha svolto attività concertistica soprattutto nel campo
della musica antica, folk e rock.
Specializzato in musica per il relax, ha composto e arrangiato
brani adatti al rilassamento e alla meditazione. Ha scritto
canzoni, musiche di scena, colonne sonore. Svolge un'intensa attività
pubblicistica di divulgazione musicale.
2 MANIFESTO BEAT a
cura di Ursus Juke Box All'idrogeno – Torino, 1990
BALORDI
Mitico complesso milanese che seppe farsi notare ai tempi con un esordio ultra-dissacrante e coraggioso, quel "Vengono a portarci via ah! ah!" già celebre provocazione (in inglese) dell'americano Jerry Samuels, alias Napoleon XIV...Gianni Muratori al canto e al basso elettrico, il fratello Andrea alla chitarra, appoggiato da Bruno Pellegrini, ed il batterista Beppe Panzironi con molta ironia, unita ad una immagine ai tempi scandalosa (abiti femminili e buffe parodie militaresche) diedero spazio al loro estro balordo (per l'appunto) riuscendo ad interpretare con originalità il fenomeno giunto da oltremanica. Unico neo nella lor piccola discografia: la famigerata "Cammisella" che con "O' matusa" (tanto pulcinella ma poco beat) apparve al festival di Napoli del '67. Peccato che l'allora annunciato LP "Mondo balordo" non arrivò mai alle stampe.
45 gg: "VENGONO A PORTARCI VIA AH! AH!"/"DON CHISCIOTTE"- DURIUM lda 7494 (1966) "O' MATUSA"/"A' CAMMISELLA"- DURIUM lda 7525 (1967) "DOMANI DEVO FARE UNA COSA"/"BUONA FORTUNA"- DURIUM lda 7516 (1967) "NON è FRANCESCA"/"GUARDANDO TE"- DURIUM lda 7538 (1967) "DIAMOCI LA MANO"/"FATELI TACERE"- CAROSELLO ci 20204 (1968)
3 ENCICLOPEDIA
DEL ROCK ITALIANO a
cura di Cesare
Rizzi ARCANAeditrice
– Milano, 1993 BALORDI
Antesignani
del genere demenziale, i Balordi fanno capolino dalla porta posteriore
del beat con un esilarante capolavoro di stupid song come Vengono
a portarci via ah! ah!. Va subito detto che la canzone non è frutto dei quattro Balordi (tre milanesi e un romano, per dovere
di cronaca) ma la traduzione quasi letterale di They're Coming To
Take Me Away, un occasionale e clamoroso hit americano
(numero uno nel 1967) a firma di tal Napoleon XIV, Jerry Samuels per
l'anagrafe USA; il personaggio è però meglio noto agli
appassionati con lo pseudonimo di Dr. Demento, impagabile archivista
di nefandezze in musica, conduttore di un omonimo programma
radiofonico e curatore di numerose antologie della Rhino dedicate
alla spazzatura rock. Nella
versione dei Balordi quella sgangherata filastrocca, a tratti persino
fastidiosa, conserva tutti i pregi dell'originale e grazie al gusto
goliardico e un po' cialtrone sale col vento in poppa fino alle zone
alte della nostra hit parade. Il
caso è pressoché unico nella
scena di quegli anni, anche se per la verità la vicenda interessa
soltanto marginalmente gli ambiti rock e beat; più avanti, però, il
genere demenziale troverà una più precisa collocazione (vedi la
parte dedicata al Rock Italiano degli '80), e riscuoterà
l'interesse della critica e la grande approvazione del pubblico.
Inconsapevoli di tanta responsabilità, i Balordi proseguono con
commovente spontaneità il loro delirante lavoro di parodia rock: si
travestono da improbabili femminucce, suscitano scalpore per un certo
antimilitarismo, neppure troppo nascosto, si agitano insomma tra
Festivalbar, televisione, Lelio Luttazzi e il capillare circuito dei
juke box. I limiti del genere affiorano però quasi subito: il
pubblico italiano non pare ancora pronto ad accogliere sciocchezze
dichiarate e preferisce farsele propinare sotto altra forma. In Gran
Bretagna, per esempio, la Bonzo Band riscuote l'approvazione del
pubblico e della critica; in Italia invece i Balordi presto non sanno
più orientarsi e inciampano clamorosamente con la misera accoppiata
Q'Matusa / A 'Cammisella, vincitrice peraltro al Festival di Napoli 1967.
Poi è la volta di Non è Francesca e della sigla TV di Diamoci
la mano (1968), che precedono la separazione definitiva (Fateli
tacere è l'ultimo grido dei quattro). Agli
appassionati del demento rock spiacerà sapere che un album già
pronto per la Durium, MONDO BALORDO (1967) sia rimasto nei cassetti,
fatto questo che certamente ha influito nella decisione dei quattro
allegroni di chiudere la vicenda. Marco Ferradini, che partecipa a
una delle ultime formazioni dei Balordi, sarà poi cantautore di
piccola fama negli anni '80. DISCOGRAFIA
45
- Vengono a
portarci via ah! ah! / Don Chisciotte (Durium 1966) O'matusa
/ A 'cammisella (Durium 1967) Domani
devo fare una cosa / Buona fortuna (Durium 1967) Non è
Francesca / Guardando te (Durium 1967) Diamoci
la mano / Fateli tacere (Carosello 1968) FORMAZIONE
Andrea
Muratori: ch / Gianni Muratori: bs, v / Bruno Pellegrini: ch / Beppe
Panzironi: bt. (pagg.
35, 36)
4 Pensieri
e parole Lucio
Battisti Una
discografia commentata di Luciano
Ceri TARAB
– Firenze, 1996
…
Passò praticamente inosservata la
prima versione di Non è Francesca, quasi
un anno prima di essere reinterpretata dallo stesso Battisti e di
affermarsi come una delle punte di diamante della sua produzione. Le
ragioni di questo flop sono tutte da ricercare nello scarso seguito di
cui godevano Ma
non riuscirono a far risplendere la piccola pietra preziosa che era
loro capitata per le mani, arrangiando la canzone con un'eccessiva
presenza di basso, batteria e chitarra elettrica, senza cioè capire
la leggerezza insita nella struttura stessa della canzone, leggerezza
che invece Battisti e Gian Piero Reverberi seppero intuire quando si
trovarono a riarrangiare Non
è
Francesca. Anche
questa canzone doveva comunque girare da parecchio nel repertorio che
Battisti andava presentando ai vari artisti, perché la seguente
testimonianza di Beppe Cadetti, tastierista dei Nomadi, ce la fa
risalire alla fine dell'estate del 1966, quando il gruppo stava
lavorando al suo nuovo singolo: "Mentre registravamo a
Milano Noi non ci saremo, arrivarono
Mogol e Battisti. lo
non sapevo nemmeno chi erano, ma ricordo che Battisti ci fece sentire Non
è Francesca
e altre cose…" (pagg.
45, 46)
mi
ritorno in mente La
leggenda di Lucio Battisti di Nino
Romano EDIZIONI
CA’ BIANCA – Milano, 1998 …
Solo nel '69 Battisti si ricorda di Matano. D'accordo con Mogol lo
chiama. Forse il cantautore vuole trovare il modo di farsi
perdonare, di risarcire l'amico del tempo e del lavoro che gli ha
dedicato. Hanno pronto un
pezzo per il Disco per l'Estate, Non
è Francesca, che vorrebbero affidargli. Ma la Durium, casa
discografica a cui Matano è legato, gli preferisce un gruppo, I
Balordi. (pag.
34, 35)
I
GIARDINI DI LUCIO di Alberto
Paleari TASCABILI
SONZOGNO – Milano, 1998 …
Sembra che in occasione del Disco
per l'Estate del 1969 la vecchia amicizia possa trovare l'occasione
buona per rinnovarsi: Battisti ha un brano, Non
è Francesca, che potrebbe andare benissimo anche per
Matano, ma i dirigenti della Durium decidono di affidarsi a un
complesso, I Balordi, e la ipotizzata rimpatriata non ha luogo. (pag.
40)
LUCIO
BATTISTI di Fulvio
Fiore e Pino Bonali Editrice
NEW SOUNDS – Vimercate, 1998
Per
suggellare un anno ricco di soddisfazioni e successi, Battisti e Mogoi
affidano un'altra loro composizione a I Balordi, complesso considerato
anomalo per la scena italiana a causa delle loro canzoni surreali e
della loro immagine molto particolare (famosa, in questo senso, é
la loro partecipazione con vittoria finale al "Festival di
Napoli" con il brano "O' Matusa" in coppia con Nino
Taranto). Probabilmente
la scelta di affidare un brano così delicato come "Non é
Francesca" a un gruppo abituato a fare tutto "al di
sopra delle righe" non si dimostra del tutto azzeccata. La
versione che I Balordi ne fanno, infatti, non riesce a rendere pieno
merito alla canzone (che risulterà in seguito e con un differente
arrangiamento essere una delle più apprezzate del repertorio
battistiano) e si rivela un insuccesso commerciale. (pagg.
39, 40)
LUCIO
BATTISTI Al
di là del mito di Alfonso
Amodio e Mauro Ronconi ARCANAeditrice
– Padova, 1999 …
Per chiudere un anno ricco di successi e di soddisfazioni Battisti e
Mogol affidano una grande canzone al gruppo forse più surreale della
scena italiana, I Balordi. Il gruppo passava con facilità da brani
quasi demenziali a canzoni in linea con il rock dell'epoca. Vinsero
addirittura il Festival di Napoli del '67 in coppia con Nino Taranto,
facendo scalpore con la canzone O
matusa. Non è Francesca, che
diventerà da lì a poco uno dei brani di punta del repertorio di
Lucio, non venne resa come meritava, ma, appesantita dalla presenza
troppo marcata dei vari strumenti, perdeva la sua naturale dolcezza.
Ci volle un arrangiamento sapiente dello stesso Battisti in coppia con
Giampiero Reverberi per dare alla canzone la sua giusta dimensione. Il
brano uscito nel dicembre del 1967 si rivela un grosso insuccesso. (pagg.
22, 23)
Storia
vera di Lucio Battisti vissuta
da Mogol e dagli altri che c’erano di G.
Salvatore GIUNTI
– Firenze, 2000 …
Lucio era un po' in imbarazzo: stavano sprecando canzoni. Un'altra fu Non
è Francesca;
già rifiutata dai Nomadi, era finita ai Balordi, che ne
fecero una versione coerente con il loro nome, ignorata da tutti.
Ormai quella canzone gli era sfuggita di mano. In
realtà l'aveva portata alla Durium per cederla,
probabilmente in segno di riconoscenza, al suo amico Roby Matano
che, come Christine Leroux, cominciava a sentirsi trascurato dal
successo di Lucio, o addirittura in credito. Ma alla Durium avevano
preferito passarla a quei Balordi. (pag.
99)
100
Dischi d’oro Piccola
Storia della Musica Pop attraverso i
cento 45 giri più rari della discografia italiana di Fernando
Fratarcangeli Coniglio
Editore – Roma, 2003
Uno
degli evergreen del repertorio "battistiano" Non è
Francesca è passato,
originariamente, per le mani, o per meglio dire per la voce, di un
complesso
beat: I Balordi. È il dicembre '67 quando la Durium stampa il 45
giri del gruppo milanese. Per la verità I Balordi non era tra i
gruppi più seguiti anche se si era contraddistinto per originalità;
un beat quasi surreale, decisamente demenziale, dal momento che il
loro esordio discografico era stato battezzato da un brano in un
certo senso fuori dagli schemi beat, dal titolo Vengono a portarci
via, ah! aah! versione italiana di They're Comin' To Take Me
Away, un brano lanciato da uno stravagante personaggio della
prima ondata psichedelica inglese, Jerry Samuels, alias Napoleon XlV.
Il look variopinto de I Balordi, quasi hippies, formava poi la
cornice ideale per quel tipo di repertorio studiato, forse
appositamente,
dal loro produttore Luciano Giacotto. I componenti del gruppo: i
fratelli Gianni "Gion" e Andrea Muratori, rispettivamente
chitarra e basso; Bruno Pellegrini, chitarra, e il batterista Beppe
Panzironi.
Vengono a portarci via, ah! aah! arriva sul mercato nell'autunno ' 66 e sorprende gli appassionati del beat per la loro proposta alquanto originale. Anche la copertina del singolo rispecchia una certa linea "italian-beat", disegnata dallo stesso Gion, umorista-grafico conosciuto anche dai lettori del mensile musicale Ciao Amici per aver curato strisce all'interno della rivista. Se l'intento era quello di far parlare di sé, il gruppo centra l'obiettivo, anche se le vendite del 45 giri saranno abbastanza contenute. Eppure, la loro versione di They're Comin' To Take Me Away non fa certo rimpiangere l'originale. I Balordi seguono la scia musicale intrapresa anche con il disco successivo, Domani devo fare una cosa, più indirizzato verso la "canzone di protesta". Anche in questo caso, poche le soddisfazioni che il gruppo otterrà sotto il profilo commerciale, mentre viene scelto come supporter per la tournée italiana degli Animals. In linea con il loro stile demenziale, I Balordi accettano di partecipare, nel ’67, al Festival di Napoli, gareggiando in coppia con Nino Taranto con la canzone 'O matusa, ottenendo la vittoria ma facendo registrare ancora una volta scarse vendite del loro disco.
A questo punto, il gruppo si trova tra le mani la possibilità di incidere Non è Francesca, un nuovo pezzo depositato dal duo di autori MogolBattisti, duo compositivo che aveva già fatto la fortuna di gruppi quali Dik Dik, Ribelli ed Equipe 84. I Balordi ne incidono una versione decisamente meno marcata rispetto al loro stile precedente e più in linea con il beat tradizionale. Inutile sottolineare che Non è Francesca passa completamente sotto silenzio, dovuto anche alla scarsa promozione effettuata dalla loro casa discografica. Prima di arrivare ai Balordi, il brano di Battisti era stato proposto a vari solisti, oltre ad un altro complesso che godeva decisamente di maggiore popolarità in quel momento, I Nomadi, i quali però rifiutano per continuare il discorso già avviato con Francesco Guccini. Dietro questa ennesima delusione, il gruppo lascia la Durium, malgrado la promessa di un'imminente realizzazione per un album dall'ipotetico titolo Mondo balordo, per passare ad un'altra etichetta, la Carosello. Con essa, un solo disco inciso, il 45 giri Diamoci la mano, inserendo all'interno della formazione Marco Ferradini, futuro cantautore e corista, in sostituzione di Gion Muratori partito per il servizio militare. Preludio, comunque, allo scioglimento definitivo del gruppo.
Alla fine del '68, Lucio Battisti prepara un singolo il cui brano principale, destinato al Festival di Sanremo '69, si intitola Un' avventura e si avvale di un arrangiamento in stile rhythm'n'blues (non a caso il partner sanremese per la doppia esecuzione del pezzo sarà Wilson Pickett) creato in collaborazione di Giampiero Reverberi. Soddisfatto del risultato, Lucio chiede all'arrangiatore di rileggere alla sua maniera anche la "ripescata" Non è Francesca. Niente del massiccio uso di strumenti che offuscano il canto come utilizzato nella versione de I Balordi, ma uno spartito più lineare dove proprio la parte cantata è quella posta in maggior rilievo, con lo stesso Battisti che suona la chitarra acustica e una sezione di archi a valorizzare ancor più l'arrangiamento. Volutamente si lascia nel disco la parte finale del pezzo, una coda strumentale abbastanza lunga, frutto di una "session" quasi estemporanea diretta dallo stesso musicista reatino in fase di incisione. Con il successo di Un'avventura, finalista a Sanremo, gli acquirenti di dischi scoprono così, e solo allora, la forza dirompente di un brano straordinario quale è Non è Francesca, ripresa in seguito da vari altri interpreti; dalla Formula 3 a Mina, e più recentemente, da Mango ed Eugenio Finardi.
A I Balordi il merito di
essere stati i primi esecutori di una canzone che è considerata uno
dei classici del nostro miglior pop. Stampato all'epoca in poche
migliaia di copie, il 45 giri Non è Francesca nella versione
de I Balordi è oggi molto
ricercato dai collezionisti e in modo più specifico dagli estimatori
dello stesso Battisti, raggiungendo un'alta quotazione di mercato. (pagg.
18, 19)
11 BATTISTI Così
è nato il sogno di Roby
Matano PIEMME
– Casale Monferrato, 2003 …
Un giorno mi chiamarono alla Ricordi e mi fecero sentire un pezzo.
Si intitolava Non è Francesca. Era stato scritto alcuni mesi prima
e, in una forma ben diversa da quella poi nota, era stato inserito in
un nastro che era stato fatto ascoltare ai Nomadi nel dicembre del
1966. Ma ora che avevano scelto una forma definitiva per la canzone,
Lucio e Mogol avevano pensato che fossi io l'interprete ideale.
Volevano
che la incidessi e la portassi a Un Disco per l'Estate. Risposi che
ero un artista della Durium e che non avevo potere decisionale. Allora
Mogol si offrì di andare a parlare di persona con il presidente della
mia casa discografica per ottenere l'autorizzazione. Il presidente
accettò l'offerta di Mogol, ma il direttore artistico di allora disse
invece di no: preferiva utilizzare la canzone per valorizzare un
gruppo su cui stava spingendo. Così
non incisi Non è Francesca.
Ne fui molto deluso. La Durium fece registrare la canzone a
un gruppo che si chiamava I Balordi, praticamente degli esordienti. Da
parte di Lucio e Mogol era stato un pensiero che avevo apprezzato
molto, anche se mi rimaneva un dubbio: se la canzone era stata pensata
per me, come mai avevano accettato che la incidesse un gruppo quasi
sconosciuto? Comunque, mi è
sempre rimasta la sensazione che, offrendomi come regalo quel
pezzo, Lucio volesse a suo modo riconoscere ciò che avevo fatto per
lui. Nel 1967, però, non era probabilmente ancora abbastanza forte
per imporsi. Lucio
aveva dato ai Balordi due lacche. Una con Non
è Francesca,
l'altra con Aspettando
domani, il
secondo pezzo scritto con Mogol. Nel provino che Lucio aveva
consegnato a Gianni Muratori, il cantante dei Balordi, il vestito di
Francesca non era rosso, come nella versione che tutti conosciamo, ma
bianco, forse per un errore di Battisti nella registrazione. La
canzone fu registrata in diretta, e Gianni Muratori, per concentrarsi
maggiormente sul canto, affidò il basso a Battisti, responsabile
anche dell'arrangiamento. Il
disco fu pubblicato solo a dicembre e non ottenne nessun riscontro
di vendita. L'altro brano, Aspettando
domani, è
invece caduto nel dimenticatoio e non è mai stato
pubblicato. (pagg.
102, 103)
12 LUCIO
BATTISTI Innocenti
Evasioni Una
bio-discografia illustrata di Alfonso
Amodio, Italo Gnocchi, Mauro Ronconi Editori
Riuniti – Roma, 2003 …
Per chiudere un anno ricco di successi e di soddisfazioni Battisti e
Mogol affidano una grande canzone al gruppo forse più surreale della
scena italiana, i Balordi. Il gruppo passava con facilità da brani
quasi demenziali a canzoni in linea con il rock dell'epoca. Vinsero
addirittura il Festival di Napoli del '67 in coppia con Nino Taranto,
facendo scalpore con la canzone O matusa. Non
è Francesca, che
diventerà da lì a poco uno dei brani di punta del repertorio di
Lucio, non viene resa come merita, ma, appesantita dalla presenza
troppo marcata dei vari strumenti, perde la sua naturale dolcezza. Ci
volle un arrangiamento sapiente dello stesso Battisti in coppia con
Giampiero Reverberi per dare alla canzone la giusta dimensione. Il
brano, uscito nel dicembre del 1967, si rivela un grosso insuccesso. (pag.
19)
13 il
Dizionario della musica leggera italiana da
Volare ai giorni nostri di Pino
Casamassima, Stefano Fares, Luca Pollini Le
Lettere – Firenze, 2005 BALORDI
Gruppo
degli anni Sessanta antesignano del genere demenziale, i
Balordi ottengono il successo con Vengono
a portarci via ah! Ah! Ah!,
da una
cover americana (They're coming to take me away).
I Balordi proseguiranno poi su questa scia demenziale di
parodia del rock: si travestono anche da femminucce e propugnano un
antimilitarismo militante. La loro carriera comunque finirà presto
a causa di un pubblico ancora lontano dal recepire certe demenzialità,
preferendo farsele propinare in altra forma. Del gruppo faceva parte
anche Marco Ferradini, che poi proseguirà come solista. (pag.
47)
14 beat
italiano dai
capelloni a Bandiera Gialla di tiziano
tarli CASTELVECCHI
– Roma, 2005
...
Il grande beat show Ciao amici-Lancia presentato
da Pippo Baudo, aveva una scaletta che proponeva i migliori
complessi beat italiani: Equipe 84, New Dada, Dik Dik, Nomadi,
Fuggiaschi, Pooh, Pops, Longobardi, Da Polenta, Trolls, Boa Boa,
Balordi, Semplici, Gianni Pettenati, Apaches, Cocks, Guitarmen,
Miseri, Raf e i Copertoni, Stormy Six. (pag.
53)
15 Il
Beat... cos'è? di Roberto
Iurza Puleio
Press – Milano, 2006
Balordi Certamente
il più "zappiano" nel panorama dei gruppi beat. Di Frank
Zappa, a quei tempi, ancora non
si era sentito parlare ma il loro abbigliamento stravagante e "scandaloso"
per il periodo ricorda la copertina di un album del grande
compositore americano che ancora doveva apparire sulle scene: "We're
only in it for the money". La loro storia inizia a Milano, nel
1964. Due fratelli, Gion e Andrea Muratori, musicisti in erba,
decidono di formare un gruppo. Lo chiamano i Pazzi, ma di fatto non
esiste ancora una formazione, provano nella cantina di un loro amico,
Mauro, che suona il basso in un altro gruppo: i Tipi. Nella primavera
del 1965 con l'aggiunta di altri due elementi, Beppe e Gianni, nasce
il nucleo originale de I Balordi. Dopo la defezione di un paio di
componenti subito sostituiti la band ha una formazione stabile e
inizia a suonare nei locali di Milano e dell'hinterland eseguendo
pezzi tratti dal repertorio dei maggiori gruppi beat inglesi (Beatles,
Rolling Stones, Animals,) ottenendo un notevole successo. Come spesso
accade è il caso a portarli sulla strada della fama. Nel 1966 fanno da
supporto a Kings, un gruppo di Verona già affermato, il cui produttore
Luciano Giacotto, è anche
capo ufficio stampa della casa discografica Durium. Dopo la prima
incisione la loro vita cambia, sono dei professionisti, fanno concerti
in giro per l'Italia, partecipano a trasmissioni televisive, la loro
musica viene trasmessa alla radio, hanno anche l'onore di aprire le
serate dei concerti italiani degli Animals e partecipano al Festival
della canzone napoletana (cosa atipica per un gruppo beat) riuscendo a
vincerlo in coppia con Nino Taranto con la canzone "’O matusa".
Incidono anche la prima versione di "Non è
Francesca" di Lucio Battisti con la collaborazione e gli
arrangiamenti dello stesso autore, ma la casa discografica ne
distribuirà soltanto pochissime copie. Anche se l'esperienza de I
Balordi terminò con la fine del periodo beat, il gruppo merita un
posto di rilievo nel "gotha" delle band che imperversarono
in quegli anni, per le genialità innovative portate nel look e per un
certo modo tutto personale nell'arrangiamento delle canzoni. Se
solo fossero nati in California ... forse i
componenti delle "Mothers" di Zappa avrebbero potuto
essere proprio loro! Gion
Muratori - basso e voce Andrea
Muratori - chitarra e voce Beppe
Panzironi - batteria Bruno
Pellegrini - chitarra Discografia:
45
giri Vengono
a portarci via ah ah! / Don Chisciotte - Durium 1966 Domani
devo fare una cosa / Buona fortuna - Durium 1967 'O
matusa / 'A cammesella - Durium 1967 Non
è Francesca / Guardando te -
Durium 1967 Diamoci
la mano / Fateli tacere - Carosello 1968 (pagg.
115, 116)
16 Una
Generazione Piena di Complessi Miti
e meteore del beat italiano di Claudio
Pescetelli ZONA
– Arezzo, 2006 BALORDI
Milanesi,
nascono nella primavera del 1965. Dopo vari cambi di formazione,
questa si stabilizza nei fratelli Gianni (voce e basso) ed Andrea
Muratori (chitarra), Bruno Pellegrini (chitarra) e Beppe Panzironi
(batteria). Cominciano a suonare nei locali di Milano più frequentati
dai giovanissimi (il Paip's, il Copacabana, il Tricheco) e, in una
serata in cui suonano di supporto ai Kings a Lodi, vengono notati da
Luciano Giacotto (che in quel periodo scriveva su Ciao Amici dove
Gianni, ottimo fumettista, pubblicava le strisce a fumetti di
"Gion") che propone loro di incidere per la Durium. Così, a
fine 1966, salgono alla ribalta con la cover della demenziale Vengono
a portarci via, ah! ah! (
They're coming to take me away, hit di Jerry Samuels, alias
Napoleon XIV). Complesso anticonvenzionale, con abbigliamento e
comportamenti eccentrici, i Balordi colpiscono pubblico e stampa
musicale con la loro immagine. Nel 1967, anno di massimo fulgore del
gruppo, aprono per la tournee italiana degli Animals e partecipano al
FestivaI della Canzone Napoletana (vincendo, accoppiati a Nino Taranto,
con la famigerata O matusa) e all'Oscar della Canzone.
All'apice della carriera incidono una versione di Non è Francesca (un
anno prima di quella dell'autore Lucio Battisti, che nel disco suona
il basso) ma il disco si rivela un insuccesso commerciale: questa
situazione, più la partenza di Gianni per il militare, sfalda la
prima formazione dei Balordi. Andrea e Beppe ne mettono su una nuova,
con Pino Matteucci alla chitarra solista e Marco Ferradini, basso e
voce, che incide un 45 per la Carosello, oltre a suonare nella
commedia Il salto morale, con Sandro Massimini. (pag.
14)
17 il
grande dizionario della canzone italiana di Dario
Salvatori Rizzoli – Milano, 2006
Fateli
tacere 1968
- AUTORI: Ricci, Torossi. INTERPRETI:
Balordi. Pacifismo e velleità protestatarie sono le
caratteristiche principali di questo brano dalle sonorità
psichedeliche. I Balordi furono un gruppo all'epoca sottovalutato e
oggi divenuto di culto. Destarono scandalo soprattutto per una cover
piuttosto stravagante a partire dal titolo Vengono a portarci
via ah! Ah!, rifacimento
di una canzone americana in cui si parlava degli ospedali
psichiatrici. Loro era anche la sigla del programma televisivo "Cinquecerchi»,
Diamoci la mano, incisa sul lato A
del 45 giri che
contiene Fateli tacere. Em.Mo. (pag.
340) Non
è Francesca 1967
- AUTORI: Battisti, Mogol. INTERPRETI: Balordi. ALTRE
INCISIONI: Antonio & Marcello,
Lucio Aracri, Avanzi di Balera, Skip Battin, Lucio Battisti, Di. Di.
Sound, Anthony Donadio, Umberto Donati, Eugenio Finardi, Formula 3,
Lavenia, Lega Vocale, Magnum, Mango e
Big Band, Mina, Bob Mitchell, Pandemonium, Profeti, Santino
Rocchetti, Marco Sanchioni &
Damien, Vento e Luce.
Proposta
alla fine del 1966 ai Nomadi (che la rifiutarono) Non è
Francesca fu offerta
da Mogol e da Battisti ai Balordi, un gruppo beat milanese che oltre
alla vena rock del momento aveva nel suo repertorio brani surreali,
curiosi e decisamente insoliti. Il gruppo non riuscì a far brillare
le pietre preziose che la canzone conteneva al suo interno e che
vennero messe in mostra con il rilievo dovuto, soltanto molti mesi
dopo, quando la canzone fu scelta da Battisti come retro di Un'avventura,
la canzone che aveva portato a
Sanremo nel 1969. L'intelligenza di Battisti e il gusto di Gian Piero
Reverberi eliminarono le componenti rock (basso, chitarre elettriche e
batteria) con le quali i Balordi avevano caratterizzato il loro
arrangiamento e puntarono tutto sulla leggerezza che la melodia della
canzone suggeriva intrinsecamente, utilizzando soltanto una chitarra
acustica e una sezione d'archi… (pag.
577)
0 Probabilmente non era solo una questione di posto.
Un saggio (molto stolto) sulla musica degli anni Sessanta. Considero in media la produzione musicale degli anni Sessanta (sto parlando di canzoni s'intende) artisticamente più valida della media della produzione attuale. Basta ascoltare, per esempio, gran parte del repertorio dei Beatles e sarà subito evidente che è capace di trasmettere, ancora intatte, profonde emozioni. Lo stesso può dirsi di molti album dei Rolling Stones. Va chiarito che per produzione degli anni Sessanta intendo sostanzialmente i dischi dei complessi inglesi. Mi piacerebbe sapere che cosa determina il gusto, e ancor più in cosa essenzialmente esso consiste. E invece so soltanto dire quale musica mi piace o non mi piace, perché anch'io, come molti probabilmente, sono sempre stato guidato dal gusto in modo inconsapevole. Nel lungo elenco della musica leggera che ascolto, la produzione degli anni Sessanta ha una posizione di predominio. Non contano ragioni sentimentali o generazionali: moltissima musica di quegli anni mi sembrava insignificante allora, né riesco ad apprezzarla oggi rivalutandola con gli occhiali (con le cuffie?) del ricordo o della nostalgia. Il problema è un altro. E' che dentro alcune musiche, c'è come una qualità che consente di apprezzarle al di là del momento in cui sono state prodotte. Questo vale per tutte le espressioni più originali e genuine come il rock & roll, il blues (che però a volte mi sembra monotono), il country (anche qui, senza esagerare), le ballate, il beat, il soul, il reggae, ecc. Nella musica, come in tutte le manifestazioni artistiche, dieci anni sono il limite già estremamente lungo di una generazione: la nuova generazione incalza la precedente e i suoi impulsi di novità e d'affermazione individuale sono sempre diversi. I gruppi musicali, inglesi all'inizio degli anni Sessanta, si trovarono immersi nel rock & roll, musica di carattere tipicamente nero, la cui evoluzione si era compiuta negli Stati Uniti durante gli anni Cinquanta. Il rock, come ogni arte, comunica e ad esalta la vita attraverso gli elementi che si rivolgono direttamente ai sensi o che direttamente suscitano sensazioni immaginative. Le impressioni musicali dipendono da molti fattori, ma il loro nucleo è connesso essenzialmente all'azione sul sistema vaso-motore. Il rock ci fa realizzare appieno il ritmo e il movimento con una chiarezza e una molteplicità d'informazioni grazie alle quali la trasmissione degli impulsi è istantanea, e il senso di vitalità che ne deriva (intenso al massimo grado) si traduce in vive impressioni nella nostra persona. Non poteva essere però, da parte dei giovani gruppi inglesi, l'imitazione arcaistica dei brani di rock & roll a realizzare una nuova stagione creativa. L'originalità deve rifarsi dal principio, cercando di penetrare, a passo a passo, i segreti costruttivi e a ogni nuovo passo scoprire negli esempi precedenti un'indicazione di come fare il passo seguente. E' significativo che brani di Chuck Berry compaiano nei primi dischi di molti gruppi: Beatles, Rolling Stones, Animals e Kinks; a essi va il merito di aver assimilato con indipendenza questi piccoli capolavori e di non essersi fermati all'imitazione. I complessi inglesi degli anni Sessanta furono arcaici per proprio conto; in Italia, dove imperava la sciagurata mania delle cover (versione italiana di successi esteri) il discorso era diverso. E' arcaica una musica, quando impara a costruire in modo originale le forme sonore e a scoprire gli atteggiamenti necessari alla realizzazione del ritmo, del movimento e dell'espressione. La musica genuinamente arcaica ha una grande importanza, è il prodotto di una vigorosa ricerca. Esaurito questo processo è classica. Tutto il periodo beat fu uno straordinario laboratorio nel quale ogni gruppo musicale, spinto dagli entusiasmi della propria generazione, diede canzoni così perfettamente intonate allo spirito del suo tempo da ottenere il successo riservato solo alle produzioni che chiariscono in noi il senso di un bisogno e lo soddisfano. Quando le idee sono forti e originali quasi certamente trovano espressione estetica. Nella fase arcaica, inoltre, un autore d'ingegno non può smarrirsi tanto lontano; perché la musica arcaica è tutta impegnata a realizzare i propri caratteri più intrinseci: ritmo, movimento e espressione. Beatles, Them, Troggs, Animals, Who, Rolling Stones, Small Faces, Manfred Mann, Yarbirds, Hollies, ecc. non riuscirono forse a realizzarli in tutto e per tutto, non avranno trovato sempre la fusione più appropriata, diversamente sarebbero stati già classici (come lo sono alcune loro canzoni: My generation, For your love, Wild thing, You really got me, Satisfaction, Gloria ecc.) avranno esagerato una data tendenza fino alla caricatura, ma la loro musica produsse (e produce) infallibilmente un effetto di cresciuta capacità vitale, perché gli elementi che costituiscono la necessaria preoccupazione dell'artista arcaico, sono appunto essenziali ad esaltare questa capacità. La musica degli anni Sessanta, musica di grandi personalità (su tutte: i Beatles, Bob Dylan, i Rolling Stones e Jimi Hendrix), presenta soluzioni che non perderanno mai valore nel tempo. Se un artista infatti riesce a impadronirsi dello spirito vitale e a imprigionarlo nella propria opera, essa vivrà sempre, poiché rivelandoci tale spirito accrescerà la forza di vita che portiamo in noi, esaltando ad insolita attività i comuni processi psichici, da cui derivano tutti, o quasi, i nostri piaceri. La ricerca dei valori espressivi, del ritmo e del movimento, tenacemente perseguita, e non frastornata da esigenze descrittive, tende a quelle forme, che si dicono classiche. Nessuna arte può sperare di diventare classica, se prima non è stata arcaica. Classica è stata (è) gran parte della produzione dei Beatles. Dotati di una rara facilità d'invenzione e d'esecuzione, con spontaneità e freschezza, senza la minima traccia di incertezza e faticosità coltivarono le qualità che in musica comunicano direttamente la vita e l'esaltano. Si direbbe che non esista aspetto della musica "leggera" che non abbiano previsto o nettamente anticipato, essendone stati essi stessi precursori. Ci sono, è vero, nei primi album dei Beatles, alcuni brani in cui viene ripetuto lo stesso schema semplice e primitivo, ma via via che affinarono i propri mezzi tecnici, i quattro di Liverpool cominciarono a fare un uso proprio della musica e le canzoni risultarono essere il prodotto della spontanea maturazione dei loro interessi e della gioia di vivere. Accadde, come accade agli individui dotati, che si risvegliò in essi il senso della personalità e i Beatles cercarono di conoscere quanto più si poteva del mondo e della natura umana: lo spirito di scoperta e la curiosità inesauribile evitarono così il rischio che il gusto, formatosi sulla musica rock, finisse col rendere di "genere" la loro produzione. C'erano canzoni banali anche negli anni Sessanta e sono quelle che oggi appaiono più datate. Esse erano e restano mediocri. Nate su modelli bell'e fatti, sono la produzione di chi non aveva ancora piena padronanza dei propri mezzi. Succede infatti che un autore minore, quando viene a contatto con un musicista che ha già risolto i problemi del proprio mestiere, accantoni i propri problemi e imiti ciò che può, vale a dire la parte più ovvia ed esteriore. Allorché un genere musicale tocca il proprio vertice, e una compiuta bellezza è raggiunta, nascono le imitazioni delle forme, che della perfezione sono le ragioni apparenti. Vale a dire, che l'effetto è scambiato per la causa; le forme gli atteggiamenti, i moduli compositivi (che risultano dalla conquista dell'espressione, del ritmo e del movimento), sono considerati come unici possibili prototipi di bellezza musicale, e canonizzati. E' questo il momento della decadenza artistica. A questo punto va chiarito che quanto ho scritto finora non ha alcun senso. Ho cercato solo di rendere verosimile un discorso che avrei voluto saper scrivere vero. Mi spiego meglio. I concetti esposti non sono miei. E' che mi è capitato di leggere recentemente il saggio di Bernard Berenson su "I pittori italiani del Rinascimento" e di aver preso da lui, stravolgendole, le frasi più significative del "mio" scritto. A Berenson, vissuto dal 1865 al 1959, non possono essere attribuiti giudizi sugli anni Sessanta, tanto meno sulla musica beat, ma la sua visione dell'arte è così chiara e rivelatrice, da sopportare perfino questa ignobile truffa. Peccato, perché il gioco avrebbe potuto portarci ancora lontano. Non ho accennato ai condizionamenti del mercato, al potere delle case discografiche e degli editori musicali, alla forza persuasiva dei mezzi di comunicazione, ecc. Sono elementi che consentono o negano le condizioni in cui la creatività può esprimersi, ma non modificano il valore intrinseco di una musica. Diverso è il discorso sul ruolo e sull'importanza del testo nelle canzoni. Ci vorrebbe un Berenson della musica. Saprebbe offrirci una bussola sicura per orientarci. Sapremmo perché una canzone ci attrae, mentre altre ci lasciano indifferenti. Saprei spiegarmi perché, dopo i Beatles, ricordo soltanto Bob Marley, i Police, i Rem, i Red Hot Chili Pepper's, Lenny Kravitz, i Blur, gli Oasis, e pochi altri, U2, Cranberries, Alanis Morisette o i Verve. (L'elenco potrebbe continuare, ma era incompleto anche quello degli anni Sessanta). Il saggio (lo stolto) naufraga ignominiosamente, lasciando più interrogativi che risposte. Cosa successe dopo i Beatles? Ecco una estrapolazione di frasi di Berenson. .....trovarono imitatori, non successori.....Le prime imitazioni ritennero qualcosa dell'originale, ma l'ostinato copiare e ricopiare produsse i soliti effetti di decadenza e inedia.....E' questo il momento nel quale nasce il "grazioso" che è necessariamente inferiore, ma al medesimo tempo popolare, perché facilmente intelligibile, fino alla lusinga, all'allettamento.....L'applauso si deve al fatto che ogni alterazione d'un'arte classica, attraverso schematizzazioni e addolcimenti, porta alla banalità. Una volta che si sia scambiato l'effetto con i mezzi necessari a ottenerlo, ogni ragazzo con un po' di fiuto, esagerandone l'espressione, si renderà conto di come render più interessante e grazioso un modello.....oltre a toccare il cuore della folla e celebrarne gli impulsi, le procurano una delle sue gioie predilette: l'emozione più intensa col minimo dispendio di facoltà razionale...... Si direbbe un discorso sulle canzonette, sull'abilità del "mestiere", sulla produzione commerciale...o addirittura la chiave per un severo giudizio sugli Oasis. Torniamo ancora al Rinascimento, con la mente rivolta agli anni Settanta... I nuovi venuti, esaminando freddamente la produzione dei predecessori, senza saper bene perché ne sentono estremo disgusto.....Il talento è sospinto dall'istintivo desiderio dell'affermazione egoistica, non importa contro cosa, e per effettuare quale cambiamento; ma altresì lo sospinge lusingatore il vento della popolarità.....non riusciamo mai a stare fermi.....e fra i meglio dotati l'attività quasi mai si esplica attorno alle cose già acquisite, ma in una follia di novità. L'affermazione della nostra individualità c'importa infinitamente più della perfezione. Nel cuore segreto, preferiamo ciò che è nostro ed è nuovo, a ciò che è buono e perfetto.....la qualità del genio è distruttiva non meno spesso che costruttiva...... A me viene da pensare al punk o ai Sex Pistols, (ma ormai il gioco è svelato e sta per concludersi).
Spero di non invischiarmi in uno scandalo peggiore. La lettura del libro "Lavoro e tecnica nel Medioevo" di Marc Bloch, sembra offrire un autorevole alibi al mio "saggio". Bloch, vissuto dal 1886 al 1944, sostiene l'utilità del metodo comparativo nelle ricerche storiche e scrive: "Paragonare" significa scegliere, in uno o più ambienti sociali differenti, due o più fenomeni che sembrino, a prima vista, presentare tra di loro certe analogie, descrivere le curve della loro evoluzione, constatare le rassomiglianze e le differenze e, nella misura del possibile, spiegare gli uni e gli altri. Accennando ai benefici del metodo indica, tra gli altri: l'apertura di nuove direzioni nella ricerca, suggerite dal confronto. C'entra?
Cerco una conclusione per il saggio (stolto), ma non c'è. Bernard Berenson ne "I pittori italiani del Rinascimento" fornisce una serie di straordinarie e illuminanti risposte ai molteplici interrogativi che riguardano la pittura. Io so soltanto dire quali canzoni mi piacciono o non mi piacciono, e resto ancora qui, qui con le mie domande...
Gianantonio Muratori Milano, 2001.
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