Origini del Paese
Prima di
intraprendere un qualsiasi discorso, è indispensabile risalire alle origini del
sostantivo usato e alla sua comprensione etimologica. L’oggetto del presente
discorso è in primo luogo il nome del nostro paese “BANARI” e tutto ciò che a esso è connesso. Attraverso un
esame delle fonti storiche accreditate è possibile addivenire all’origine del
sostantivo Banari.
Probabilmente
il nostro paese: Banari o Banare, Vanari o Fanari (nome sardo risalente a un
documento del secolo XIII) potrebbe etimologicamente derivare da un sostantivo
di lingua greca: fanos = lucerna,
lanterna; faneion = piccola lanterna. È necessario scava re nel buio dei
secoli per avere delle prove documentate provanti l’esistenza di un centro
propulsore di luce, seppur piccolo ma sempre fautore di civiltà.
Le
nostre origini sono remotissime e vanno dal Neolitico all’età nuragica, dalla
Sardegna romano-pagana a quella paleocristiana, dalla Sardegna del basso
Medioevo a quella influenzata dall’opera dei monaci, dalla Sardegna giudicale e
feudale a quella aragonese e spagnola, dai moti antifeudali all’unificazione
nazionale fino ad arrivare ai giorni nostri. Prova della trasformazione operata
dall’uomo nel nostro territorio sono i resti di sepolture (la sepoltura è il
monumento più caratteristico di ogni cultura) scavate nella roccia e spesso
unite fra loro, chiamate Domus de
janas, che a Banari sono conosciute col nome di “Sos sette coroneddos” (1800-1500 a.C), ma è verso il 1500
che inizia l’età più circondata di fascino e di ammirazione: l’età nuragica. Queste grandi
torri circolari che caratterizzano il nostro paesaggio (se ne possono contare
7) erano molto probabilmente delle fortezze intorno alle quali si svolgeva la
vita dei popoli nuragici. La civiltà nuragica durò sino al 238 a.C., dopo aver
lasciato ai nostri occhi il fascino di un tempo di orgogliosa libertà in cui i
popoli della nostra isola seppero elaborare una propria autoctona civiltà.
Sempre all’incirca nel 238 a.C. arrivarono i Romani, la loro presenza fu più
penetrante e interessò anche il nostro paese poiché a pochi minuti dal paese si
trovò una Necropoli pagana , in essa le sepolture erano scavate nella roccia
molle e oltre a contenere scheletri, contenevano anche cranii che tenevano fra
i denti una moneta, che secondo il rito pagano doveva servire per pagare il
nolo del tragitto sul fiume Lete a Caronte. Questa necropoli è situata nel
territorio fra Tonca e Binza Idda. A poca distanza dalla necropoli e
precisamente in quella parte di Binza Idda che confina con la chiesa parrocchiale,
si trovò un grande deposito di ossa umane che presentavano dei simboli
cristiani che fanno pensare che il paese esistente fin dall’epoca del
Gentilesimo abbia continuato dopo la conversione alla fede cristiana ad abitare
la stessa località.
Quando
l’impero declinò, la Sardegna rimase quasi abbandonata a se stessa, per essere
poi occupata dai Vandali intorno al 455 che rimasero in Sardegna fino al 533
circa, ma è solo con l’imperatore Giustiniano che la Sardegna si ricolloca
nell’alveo del potere imperiale. Fra il 700 e il 1200 si possiedono scarsi
documenti, a Cagliari viene inviato un governatore dell’isola chiamato
“giudice”, in questo fatto si vede l’origine del sistema giudicale che
caratterizza la storia della nostra isola fino al 1300.
Banari
faceva parte del Giudicato di Torres, che avrebbe avuto il suo centro maggiore
in Sassari; in questo periodo Genova e Pisa si affiancarono ai Giudici, di
questo periodo storico Banari conserva ancor oggi testimonianze documentate
riguardo al Santuario di Nostra Signora di Cea, alla chiesa parrocchiale e alla
chiesetta di San Michele. Peer quanto concerne il santuario vallombrosano di
N.S. di Cea, i documenti antichi stesi in latino, usavano Seve,; anche il
Condaghe di san Pietro in Silki, scritto in logudorese, si esprimeva nello
stesso modo. Probabilmente SEVE deriva da SAEVE che significa crudeli oppure da
SEVUM che significa sego, grasso; oppure dal verbo latino SERO, SEVI cioè
camino. Con l’andar del tempo, magari per via spagnola, SEVE divenne CEA e SEA
.
Nel
villaggio di Seve, probabilmente verso la metà del secolo XII, venne aperto su
terreni donati all’Ordine di
Vallombrosa, un romitorio, dove i monaci si dedicavano allo studio, alla
preghiera e al lavoro solitario.
Il
periodo più intenso sul piano spirituale e temporale fu per Cea il secolo XIII.
Anche Cea aveva la sua Porta Santa. Verso la metà del XIV secolo, si abbattè
sul villaggio la tempesta saracena, con al seguito
devastazioni
e rovine.Fu allora che le istituzioni dell’Ordine vennero quasi tutte rase al suolo.
La
tradizione della Porta Santa non fu probabilmente interrotta dopo le incursioni
saracene ma fu ripresa e valorizzara dagli abati commendatari e dai parroci di
Banari.
Eccheggiando il passato, la consuetudine fa tornare a Cea in pellegrinaggio il 25 marzo, il lunedì di pasqua. Anche l’otto settembre i Banaresi raggiungono il santuario di Cea celebrandovi novena e festività.