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17
Maggio
2001
Facciamo finta che Silvio Berlusconi sia
ancora solo un imprenditore e che sia impegnato in una trattativa
d'affari. Facciamo finta, per esempio, che Berlusconi stia vendendo a Gianni
Agnelli una rete televisiva e che chieda di essere pagato cash
e sull'unghia.
Agnelli accetta e Berlusconi, tutto contento, commenta:
"Perfetto. Caro avvocato, ora non resta che mettere per iscritto il
contratto con tutte le garanzie necessarie per me e per lei. Chiamo
Previti".
Poniamo a questo punto che Gianni Agnelli replichi: "La mia vita
e' la garanzia che non ci saranno problemi nel pagamento. La Fiat dimostra
nei fatti cosa vuol dire un'azienda seria. Non vorrà mica dubitare
di me, caro Berlusconi".
Secondo voi cosa farebbe il neo presidente del consiglio? Ragionevolmente,
risponderebbe più o meno così: "Avvocato Agnelli, con tutto il rispetto
per la sua grande figura di imprenditore, io Previti lo chiamo lo stesso
per stendere il contratto. Mai mi permetterei di dubitare della sua parola
e tuttavia, lei me lo insegna, le regole e le forme sono la miglior
garanzia di un buon rapporto tra due partner d'affari".
Girellando in rete ci siamo imbattuti
ieri in una delle numerose dichiarazioni di Silvio Berlusconi che
hanno punteggiato la fine della campagna elettorale. L'abitudine ad essere
proiettati sul domani, soprattutto di noi giornalisti, fa sì che
quasi sempre si cancelli dall'archivio mentale ciò che e' accaduto anche
solo il giorno prima.
Anche il cervello si comporta come la pagina di un quotidiano: il giorno
dopo e' buono per farci barchette e cappelli da muratore.
L'affermazione, fatta a Porta a Porta, è questa, e riguarda,
neanche a dirlo, la potenza di fuoco mediatica di cui dispone il
prossimo presidente del consiglio: "La mia vita è la
garanzia che non ci saranno problemi, un passato di editore liberale a
garanzia del futuro. Mediaset dimostra che cosa voglia dire la presenza di
un editore liberale, è l'esempio di come si dovrebbe comportare
una tv durante la campagna elettorale".
Premesso che la maggioranza degli italiani vuole Berlusconi e non altri
come capo del governo, premesso che la medesima maggioranza se ne infischia
del suo conflitto di interessi, di cui non rimarra' tra breve che un tenue
ricordo (scommettiamo?), vorremmo sommessamente dire che la vita del neo
presidente Silvio Berlusconi come editore "liberale" ci sembra,
per la libera informazione, una garanzia ormai scaduta. Di quelle
che quando porti il videoregistratore a riparare scopri che fai prima a comprartene
uno nuovo.
La garanzia e' scaduta da un pezzo. Da quando, nel '94, Berlusconi ha
deciso di dedicarsi alla politica e di diventare capo del maggior partito
italiano e capo del governo, disegno che ora viene coronato da un grande
successo elettorale.
E' scaduta definitivamente con l'uscita di Indro Montanelli dalla
direzione del Giornale, quando le testate d'informazione
berlusconiane hanno dovuto lavorare doppio, da un lato per produrre
utili, come giustamente desidera un buon editore, dall'altra per
produrre consenso, come pretende un candidato alla leadership del
Paese.
Il collega Gad Lerner chiacchierando con
la nostra Gelsomina, ha notato giustamente che in campagna
elettorale le televisioni
diventano armi improprie nelle mani dei candidati. Le trasmissioni delle
reti Mediaset, e alcuni malaugurati exploit della Rai ne hanno dato ampia
testimonianza.
Ne' possiamo, nonostante l'affetto che ci lega a tanti colleghi di Panorama,
sorvolare sul numero pre elettorale mandato in edicola da Carlo
Rossella, che e' riuscito perfino a oscurare il successo dell'opuscolo
berlusconiano "Una storia italiana". Ci è parso, quel numero,
un insulto alla storia e alla tradizione di un grande giornale di
informazione. Lo diciamo con sincera malinconia.
In una democrazia dai giusti equilibri, la stampa (i giornalisti) e il
ceto politico, in particolare quello al governo, sono in qualche modo
partner dello stesso business. Il business consiste nel costruire
un Paese in cui tutti possano vivere sempre meglio con tutte le garanzie
di giustizia e di libertà.
E' questo il contratto che obbliga la politica e l'informazione ai
rispettivi doveri. E per far sì che il rapporto tra partner d'affari funzioni,
il contratto deve offrire a entrambi i contraenti le giuste garanzie.
Al governo, legittimato dal voto popolare, il diritto di governare.
All'informazione e ai giornalisti la tranquilla e sfrenata
libertà di raccontare il potere come meglio credono. Due mestieri davvero
diversi.
Silvio Berlusconi puo' venirci a raccontare quello che vuole sulla sua
vita (e Dio solo sa se l'ha fatto), ma oggi queste garanzie non ci
sono. Il contratto sembra davvero che glielo abbia scritto il fido e
cavilloso Cesare
Previti.
Per essere più meticolosi ricorderemo a tutti i colleghi giornalisti, e
a chi ci legge, che Silvio Berlusconi sceglie i direttori del Tg5,
del Tg4, di Studio Aperto, del Giornale, di Panorama
e di tutte le testate Mondadori, da Donna Moderna a Sale
e Pepe e giù scendendo, della produzione libraria della medesima
Mondadori, e sceglierà i direttori del Tg1, del Tg2 e del Tg3,
delle trasmissioni di approfondimento giornalistico della Rai e di Mediaset,
nonche', cosa ancor più inquietante, il direttore di Forza Milan.
Nei giornali i direttori comandano sui giornalisti e fanno la linea
politica. Vedete un po' voi…
E' del tutto evidente che nessun giornalista sano di mente (così
come nessun uomo d'affari degno di questo nome) firmerebbe un contratto
così sbilanciato a favore del partner in affari.
Silvio Berlusconi
ha promesso che nei primi mesi del suo governo affronterà e risolverà il
problema del suo conflitto di interessi, nel campo dell'informazione
come negli altri settori del suo impero industriale. D'accordo. Non
ci resta che stare a vedere.
Perché non credere alla sua buona fede? Per ora, pero', il contratto non
lo firmiamo. Quando si trattò di sganciarsi dalla proprietà del
Giornale per rientrare nei limiti della legge Mammì sulla concentrazione
delle testate, Silvio Berlusconi non trovo' nulla di meglio che passare il
quotidiano di famiglia al fratello Paolo. Una presa in giro. Ora,
però, ci aspettiamo qualcosa di meglio. Cavaliere, metta al lavoro Cesare
Previti. Con quello che lo paga saprà pure inventare qualcosa di più
credibile.
Figaro
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