LA RADIO MILITARE NELLA

II GUERRA MONDIALE

 

 

Le grandi industrie radioelettroniche nazionali, che si erano affermate tra le due guerre, proposero agli Enti militari nuovissimi e speciali modelli di apparecchiature.  Negli anni ’40 gli Stati Uniti contavano 30 milioni circa di ricevitori, la Germania e l’Inghilterra 8 milioni, la Francia 3 milioni, l’Italia quasi un milione.

Costruzioni modernissime (inclusi anche modelli appositamente realizzati per la Marina e l’Aeronautica), circuiti sofisticati,  nuovissimi tipi di valvole, uso di frequenze elevate formarono, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale (1940-1945), un parco di apparecchiature notevole. 

Fra il 1939 e il 1944 la radio svolse un ruolo di primo piano anche come mezzo d’azione psicologica. La “guerra delle onde  veniva combattuta con i disturbi e i programmi destinati a demoralizzare l’avversario o a rincuorare la popolazione dei paesi occupati. I “messaggi speciali” collegavano i gruppi isolati di resistenza e grazie alle radioonde qualsiasi frontiera poteva essere superata.

In Italia, l’esercito adottò diversi complessi radio di origine tedesca, modelli di vera avanguardia studiati appositamente presso i laboratori di ricerca “Regio Istituto Elettrotecnico e di Comunicazioni” (RIEC) di Livorno (per quanto riguarda la Marina) e il “Laboratorio Sperimentale di Guidonia” (per quanto riguarda l’aeronautica).

Con l’armistizio del 1943 le truppe dislocate nel Sud Italia, cobelligeranti con gli Alleati, iniziarono ad utilizzare apparecchiature di provenienza americana, inglese e canadese.

Al termine del conflitto la quasi totalità delle apparecchiature del Signal Corps U.S.A. venne adottata dall’esercito nazionale, riunificato, per un periodo che va dal 1945 al 1965.

Oltre alla radio, le altre applicazioni delle onde elettromagnetiche sviluppatesi durante la guerra, consentirono un rapido progresso nei settori delle iperfrequenze e delle tecniche ad impulsi.