Armi nucleari Ordigni esplosivi progettati per liberare energia nucleare su grande scala. La prima bomba atomica (o bomba A), che fu sperimentata il 16 luglio 1945 nei pressi di Alamogordo, nel New Mexico, rappresentava un tipo completamente nuovo di esplosivo artificiale.
Prima del 1945, tutti gli esplosivi derivavano la loro potenza dal rapido processo di combustione o di decomposizione di determinati composti chimici e quindi sfruttavano l'energia che si libera per effetto delle transizioni degli elettroni orbitanti tra i livelli energetici periferici, o più esterni, dell'atomo.
Diversamente, gli esplosivi nucleari liberano l'energia contenuta nel nucleo atomico: la bomba A sviluppa la sua spaventosa potenza per la rottura, o fissione, dei nuclei contenuti in alcuni chilogrammi di plutonio. Una sfera di uranio o di plutonio dalle dimensioni simili a quelle di una palla da baseball determina un'esplosione paragonabile a quella prodotta da 20.000 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale, come ad esempio il trinitrotoluene, noto come TNT.
Nel periodo tra il 1939 e il 1945, per l’incalzare degli eventi bellici, ebbero un grande impulso le ricerche sull’energia nucleare, inaugurate a Roma negli anni ’30 da Enrico Fermi e dal suo gruppo di fisica. Fermi., emigrato negli Stati Uniti nel 1938, in seguito alle leggi razziali, perché la moglie era ebrea, aveva costruito a Chicago la prima pila atomica. In seguito, nell’agosto 1942, era stato avviato il Progetto Manhattan, un'imponente impresa scientifica, forse la maggior del mondo, che aveva base a Los Alamos, nel New Mexico: il direttore scientifico era il fisico statunitense J. Robert Oppenheimer, ma accanto a lui erano molti illustri scienziati, grazie ai quali, per contrastare il pericolo nazista, fu sviluppata, costruita e collaudata la bomba A che fu sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945 (tre giorni dopo su Nagasaki).
Dopo la guerra, gli Stati Uniti si mossero su piani diversi: da un lato lanciarono, tramite il presidente Eisenhower, il programma “Atomi per la pace” (Ginevra, 1953), per aprire una strada agli usi pacifici dell’energia nucleare (anche per dare uno sbocco produttivo alla mole di investimenti effettuati). Dall’altro lato, con la supervisione della US Atomic Energy Commission, furono studiati nuovi tipi di bombe, con lo scopo di estrarre energia da elementi più leggeri, come l'idrogeno, sfruttando il processo di fusione nucleare, nel quale nuclei di isotopi dell'idrogeno, deuterio o trizio, si uniscono per formare un più pesante nucleo di elio. Questa ricerca produsse armi di potenza variabile tra una frazione di kiloton (equivalente a 1000 tonnellate di TNT) e molti megaton (1 megaton = 1 milione di tonnellate di TNT).
Inoltre, la dimensione fisica della bomba fu drasticamente ridotta, permettendo lo sviluppo di proiettili nucleari tattici per artiglieria e di missili lanciabili dal suolo, dall'aria e utilizzabili anche sott'acqua. I grandi missili possono recare testate nucleari multiple indirizzabili su bersagli differenti. |
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IL
PROCESSO DI FISSIONE: REAZIONE A CATENA
In una reazione di fissione, un nucleo di uranio o di un altro elemento pesante si scinde, per effetto del bombardamento con neutroni, formando una coppia di frammenti di nucleo e liberando una notevole quantità di energia. Il processo è accompagnato da una rapida emissione di neutroni veloci, uguali a quelli che hanno innescato la fissione del nucleo di uranio; ciò consente l'inizio della cosiddetta reazione a catena, che consiste in una serie autoalimentata di fissioni nucleari: i neutroni che vengono emessi nel processo di fissione possono a loro volta innescare il medesimo processo, con continuo sviluppo di energia. L'isòtopo leggero dell'uranio, l'uranio 235, viene facilmente scisso per effetto dei neutroni prodotti durante la reazione di fissione e, scindendosi, emette in media 2,5 neutroni. Per sostenere la reazione a catena è necessario un neutrone per ogni generazione di fissioni nucleari; i neutroni eccedenti possono sfuggire dalla massa del materiale oppure possono essere assorbiti da impurità o dall'isotopo pesante uranio 238, nel caso in cui questo sia presente. Una sostanza capace di sostenere una reazione di fissione a catena è detta fissile.
Una piccola sfera di materiale fissile puro, come ad esempio l'uranio 235, circa delle dimensioni di una pallina da golf, non può sostenere una reazione a catena; troppi neutroni sfuggono infatti dalla superficie della sfera, che è relativamente grande rispetto al volume, e vengono in questo modo sottratti alla reazione. In una massa di uranio 235 delle dimensioni di una palla da baseball, invece, il numero di neutroni persi attraverso la superficie è compensato dai neutroni generati nelle fissioni che avvengono all'interno della sfera.
La quantità minima di materiale
fissile (di una determinata forma) necessaria per mantenere una reazione a
catena è detta massa critica. Incrementando ulteriormente la dimensione della
sfera si ottiene una massa supercritica, nella quale le generazioni successive
di fissioni aumentano molto rapidamente, conducendo a un'esplosione come
conseguenza dello sviluppo estremamente rapido di un'enorme quantità di
energia.
In una bomba atomica, pertanto, una massa di materiale fissile di dimensioni maggiori del valore critico viene divisa in due o più parti non critiche, che vengono ravvicinate e tenute insieme per circa un milionesimo di secondo, così da costituire istantaneamente la massa critica; ciò consente che la reazione a catena si propaghi prima dell'esplosione della bomba. |
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Un materiale pesante, detto tamper, circonda la massa fissile in modo da prevenirne una disintegrazione prematura e da ridurre il numero di neutroni che riescono a sfuggire.
Se in mezzo chilogrammo di uranio ogni atomo dovesse scindersi, l'energia prodotta eguaglierebbe la potenza esplosiva di 10.000 tonnellate di TNT. In questo caso ipotetico, l'efficienza del processo sarebbe del 100%; nei primi test della bomba A, questa efficienza non era neppure lontanamente raggiunta.
DETONAZIONE
DELLE BOMBE ATOMICHE
Per la detonazione delle bombe atomiche sono stati messi a punto vari sistemi, più o meno sofisticati. Nel sistema più semplice, un proiettile di materiale fissile viene sparato contro un bersaglio del medesimo materiale, in modo che le due masse si uniscano in un insieme supercritico. La bomba atomica fatta esplodere su Hiroshima il 6 agosto 1945 era un'arma di questo tipo, della potenza di circa 20 kiloton.Un metodo più complesso, detto a implosione, viene utilizzato in un'arma di conformazione sferica.
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La parte più esterna della sfera consiste di uno strato di "lenti" di esplosivo comune ad alto potenziale, disposte in modo da concentrare l'esplosione verso il centro della bomba (implosione). Al centro si trova un nocciolo di materiale fissile che viene compresso dalla potente onda di pressione diretta all'interno; la densità del metallo ne risulta aumentata, con conseguente produzione di una configurazione supercritica. La bomba del test di Alamogordo e anche quella sganciata su Nagasaki il 9 agosto 1945, entrambe con una potenza di 20 kiloton, erano del tipo a implosione. |
Indipendentemente dal metodo usato per ottenere un insieme supercritico, la reazione a catena procede per circa un milionesimo di secondo, liberando enormi quantità di energia termica. La liberazione così rapida di una tale energia in un piccolo volume fa sì che la temperatura salga istantaneamente a decine di milioni di gradi. La rapida espansione e vaporizzazione del materiale che costituisce la bomba dà origine ad u’esplosione di estrema potenza.
Dopo l'esplosione, tutto il mondo conobbe il fenomeno del cosiddetto fallout radioattivo; la ricaduta di detriti radioattivi dall'immensa nube della bomba rivelò molto sulla natura stessa dell'esplosione termonucleare. Se la bomba H fosse stata un'arma costituita semplicemente da un innesco a fissione e una massa di isotopi di idrogeno (come si. pensava prima dell'esplosione), la sola radioattività persistente dopo l'esplosione sarebbe stata quella prodotta dai detriti dell'innesco e quella indotta dai neutroni liberi a contatto con le scogliere coralline e con l'acqua di mare. Invece, la bomba termonucleare che esplose nel 1954 era in realtà un'arma a tre stadi. |
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Ciò si scoprì grazie ad alcuni detriti radioattivi che andarono a ricadere su un peschereccio giapponese che stava solcando le acque a 160 chilometri dal punto dell'esplosione: questa polvere fu analizzata dagli scienziati giapponesi e il risultato dell'analisi dimostrò che l'ordigno doveva contenere qualcosa di più, oltre all'innesco e all'idrogeno. Il primo stadio consisteva di una grande bomba A, che fungeva da innesco; il secondo stadio era la fase di bomba H, risultante dalla fusione del deuterio e del trizio contenuti nell'ordigno (nel processo di fusione si formavano elio e neutroni ad alta energia); il terzo stadio era il risultato dell'impatto di questi neutroni ad alta velocità con il rivestimento esterno della bomba, costituito da uranio naturale, uranio 238. Non si verificava una reazione a catena, ma i neutroni prodotti dalla fusione avevano energia sufficiente per provocare la fissione di nuclei di uranio e quindi un'ulteriore liberazione di energia, ma soprattutto di residui radioattivi.
Come nel caso delle esplosioni prodotte dalle armi convenzionali, gran parte del danno provocato agli edifici e alle altre strutture da un'esplosione nucleare risulta, direttamente o indirettamente, dagli effetti dello scoppio. La rapidissima espansione dei materiali che costituiscono la bomba produce un'onda d'urto, che si propaga in modo concentrico a partire dal punto in cui è avvenuta l'esplosione. In aria, questa onda d'urto è accompagnata dallo sviluppo di venti violentissimi, assai più potenti di quelli di un uragano, e il danno viene provocato sia dalla pressione dell'aria in prossimità del fronte dell'onda d'urto, sia dai venti estremamente intensi che persistono anche dopo il passaggio dell'onda.
L'entità del danno prodotto al suolo dipende dalla potenza dell'esplosione, ma anche dalla quota a cui è fatta esplodere la bomba e dalla distanza delle strutture colpite dal punto zero (situato sotto l'ordigno all'istante dell'esplosione). Le bombe A da 20 kiloton esplosero sul Giappone a una quota di circa 550 m, poiché era stato calcolato che in corrispondenza di quel valore si sarebbe ottenuto il massimo danno. Il raggio della zona interessata dall'effetto distruttivo aumenta con la potenza della bomba, approssimativamente in proporzione alla sua radice cubica. Ad esempio una bomba da 10 megaton, ovvero 1000 volte più potente di una da 10 kiloton, ha raggio di azione 10 volte maggiore di quest'ultima.
Le temperature estremamente alte raggiunte in un'esplosione nucleare risultano dalla formazione di una massa incandescente di gas compressi, detta palla di fuoco, che, per un'esplosione in quota della potenza di 10 kiloton, ha diametro di circa 300 m; per un'esplosione da 10 megaton il diametro raggiunge invece i 5 km. Dalla palla di fuoco viene emesso un lampo di radiazione termica che raggiunge una vasta area, seppure con intensità che decresce in modo costante. La quantità di energia termica ricevuta a una determinata distanza dal punto zero dipende dalla potenza della bomba e dallo stato dell'atmosfera (la presenza di nubi rappresenta un fattore attenuante).
La radiazione termica che colpisce la pelle causa gravi ustioni, in particolare un'esplosione in quota da 10 kiloton può produrre ustioni di secondo grado sulla pelle non coperta, fino a 2,4 km dal punto zero; per una bomba da 10 megaton, la distanza corrispondente è di 32 km.
La radiazione termica può provocare lo sviluppo di incendi di materiale combustibile, che possono estendersi. In Giappone, nel 1945, molti incendi furono provocati da cause secondarie, come cortocircuiti, rotture delle condutture del gas, rottura dei forni e delle caldaie di impianti industriali. L'onda d'urto produsse poi detriti che contribuirono ad alimentare le fiamme e a ostacolare il lavoro di chi tentava di domarle.
In condizioni particolari, quali si verificarono a Hiroshima e non a Nagasaki, molti singoli incendi possono combinarsi a produrre una grande tempesta di fuoco. Il calore dell'incendio causa una forte corrente d'aria ascensionale, la quale a sua volta richiama forti venti verso il centro dell'area interessata; questi venti alimentano le fiamme e nell'area tutto ciò che esiste di infiammabile viene rapidamente divorato dal fuoco.
Oltre al calore e all'onda d'urto, l'esplosione di una bomba nucleare ha un effetto del tutto particolare e assolutamente devastante: l'emissione di radiazioni nucleari penetranti che hanno caratteristiche completamente diverse dalla radiazione termica. Quando viene assorbita dai tessuti corporei, la radiazione nucleare può causare danni estremamente gravi anche se, per un'esplosione in quota, questi si manifestano all'interno di un raggio minore rispetto a quello associato a un'onda d'urto e alla radiazione termica. In Giappone, tuttavia, molti individui che non avevano riportato danni letali per l'urto e per il calore, morirono in un secondo momento a causa delle radiazioni.
La radiazione nucleare prodotta da un'esplosione atomica può essere distinta in due categorie: radiazione diretta e radiazione residua.
Quella diretta consiste di una liberazione istantanea di neutroni e raggi gamma, che sono radiazioni elettromagnetiche ad alta energia simili ai raggi X, su un'area di moltissimi chilometri quadrati. Sia i neutroni sia i raggi gamma hanno la proprietà di attraversare la materia allo stato solido, cosicché, per difendersi dalla loro azione, occorre essere schermati da spessori consistenti di materiale.
La radiazione nucleare residua, generalmente nota come fallout, può rappresentare un rischio per aree molto vaste del tutto indenni dagli altri effetti dell'esplosione. Nelle bombe che traggono energia dalla fissione di uranio 235 o di plutonio 239, per ogni atomo fissile si producono due nuclei radioattivi; questi prodotti di fissione spiegano la persistente radioattività dei detriti delle bombe, dal momento che molti degli atomi hanno tempi di dimezzamento di giorni, mesi o anche anni.
Si conoscono due diverse categorie di fallout: precoce e ritardato. Se un'esplosione nucleare si verifica vicino alla superficie, avviene il risucchio dalla superficie stessa di detriti e acqua, materiali che vanno a costituire la nube a fungo e si contaminano con i residui radioattivi della bomba stessa. Il materiale contaminato comincia a ricadere nel giro di pochi minuti e può continuare anche per 24 ore, interessando un'area di migliaia di chilometri quadrati sottovento rispetto al punto dell'esplosione: è questo il cosiddetto fallout precoce, che costituisce un rischio immediato per gli esseri umani. Le esplosioni che avvengono a quota relativamente alta non danno luogo a fallout precoce. Se una bomba nucleare esplode ben lontana dal suolo, i residui radioattivi salgono ad alta quota nella nube a fungo, e ricadono gradualmente su un'area molto vasta.
La natura della radioattività e la grande vastità delle aree che potrebbero essere contaminate da una singola esplosione rendono potenzialmente il fallout radioattivo uno degli effetti più micidiali delle esplosioni nucleari.
Oltre ai danni determinati dall'onda d'urto e dalle radiazioni associate a singole esplosioni nucleari, uno scambio di attacchi nucleari su vasta scala tra nazioni potrebbe avere un effetto globale catastrofico sul clima del nostro pianeta. Questa possibilità, ipotizzata in un articolo pubblicato da un gruppo internazionale di scienziati nel dicembre del 1983, acquisì notorietà come "teoria dell'inverno nucleare". Secondo l'opinione di questi scienziati, l'esplosione di meno della metà del numero complessivo di testate in possesso di Stati Uniti e Unione Sovietica avrebbe lanciato nell'atmosfera immense quantità di polvere e fumo, tali da schermare la luce solare per parecchi mesi (particolarmente nell'emisfero settentrionale), distruggendo la vita delle piante e instaurando un clima subglaciale, fino alla dispersione delle polveri. Secondo la teoria, anche lo strato di ozono sarebbe stato interessato dalle esplosioni, così da determinare in seguito danni ulteriori provocati dalla radiazione ultravioletta solare non schermata. Tutti questi effetti, persistendo per un tempo sufficiente, avrebbero potuto anche condurre all'estinzione della razza umana. Da allora la teoria dell'inverno nucleare è stata oggetto di enormi controversie.