Spazi e Maschere a cura di Umberto Cao e Stefano Catucci
Questo libro è uno spunto di riflessione sull’innovazione che ha trasformato il rapporto tra ideazione e rappresentazione dello spazio urbano e quello tra materialità e immaterialità dei fenomeni sociali e culturali. Riflessioni di vari architetti e professori universitari.
L’intento della raccolta di scritti è quello di porre la questione del rapporto tra la “costruzione di un idea e la sua rappresentazione negli aspetti più generali, mettendo a confronto attorno ad alcuni problemi posti dall’architettura saperi e pensieri diversi, ma accomunati alle problematiche del mondo contemporaneo.
Si fa strada un nuovo concetto di rappresentazione molto più consono alle effettive esigenze produttive e tecnico-pratiche, che si libera, per quanto lentamente, dalla “messa in scena” alla quale l’architettura monumentale ci aveva abituato. A questi nuovi edifici della monumentalità architettonica contemporanea risulta meglio la definizione di involucri, di contenitori; definizione che ha aperto la strada, a ben guardare, a un diverso concetto di architettura che si presenta, nella sua evoluzione, rinnovata sia nel linguaggio con cui comunica, sia nelle tecniche scelte per metterlo in atto.
Con la rivoluzione informatica si scopre una dimensione virtuale e una conseguente nuova visibilità. Come un fluido incontrollabile, il “virtuale” dalla sua dimensione tecnologica investe l’architettura e la città trasformandole da “corpo tettonico” a “corpo immateriale”, ovvero in pura immagine. Immagine di città neutra e cupa, immersa in una notte senza fine, parlante attraverso i pannelli elettronici che le danno luce e colore.Sia all’interno che all’esterno l’edificio mostra trasparenze, sovrapposizioni e cromatismi, cosi da una parte perde la sua materialità dall’altra esprime energia immateriale.
Dentro pero implode la nature introversa dell’opera. Le capsule chiuse verso la città, sono ariose e luminose e all’interno svelano il loro mistero. Una parte è destinata ad essere nascosta dal rivestimento. Similmente a ciò che avviene per il corpo umano, tutto ciò che è interno ad esso, come le ossa, i muscolo, gli organi ed è percepibile soltanto in quanto viene riflesso dal rivestimento cutaneo, che si fa contorno mutevole dell’organismo, manto plastico impegnato in una narrazione fatta di luce e di movimento.
La perdita di materialità dell’architettura contemporanea coincide con la scomparsa definitiva del concetto di facciata e di prospetto perché l’immagine dell’edificio non si ancora più ad una visione urbana fondata su isolati, allineamenti, quinte, orientamenti geografici, ma disperde immaterialmente attraverso i canali fluidi della comunicazione, oppure si colloca fisicamente nella dispersione della città contemporanea. Il vuoto diventa non solo il legante dell’architettura, ma anche la prospettiva di percezione della sua forma.
Il terreno viene rimodellato e come scompaiono i quattro prospetti scompare anche la pianta, perché diventa il quinto prospetto. Una maschera sovrapposto al suolo, che trasforma direttamente in architettura quello che tradizionalmente e tettonicamente era il suo punto di avvio. Si lavora per vuoti più che per pieni, scavando, piegando, slittando, coprendo; l’architettura non inizia e non finisce, non si appoggia né si conclude, si fa tutt’uno con il paesaggio.
Costruire un edificio non significa più realizzare un’architettura che sarà destinata a un uso particolare, ma questa stessa costruzione genera un immagine da inviare nel circuito dell’informazione, un circuito ormai divenuto planetario caratterizzato da un sempre più rapido avvicendamento di notizie, di dati, di resoconti, di eventi, di narrazioni sul mitizzato funzionamento degli stessi network.Tale macchina, il cui movimento non subisce diminuzioni ma solo costanti accelerazioni, si alimenta di infinite figure più che di parole.
C’è anche il caso invece in cui esterno ed interno partecipano in modo quasi equivalente alla definizione di paesaggio urbano si verifica quando la pelle dell’edificio è trasparente. La struttura interna, velata dalle vetrate inquadrate dalle sue partizioni può cercare allora l’esterno. Si cerca di trasmettere all’esterno i moti interni e di coinvolgere all’interno del corpo le stimolazioni provenienti dall’esterno, e in questo caso si rifugge ogni fissità dell’immagine in favore di una materializzazione e visualizzazione della realtà quotidiana. In questo caso l’architettura cerca di mimetizzarsi alla natura usando materiali molto semplici come il legno e il vetro. Si gioca alla Matriosca, l’edificio è dentro il bosco ed esso diventa bosco, l’edificio è nella città ed esso diventa città.
Ormai credo che non esistono più maschere, la loro caduta si esprime in tante opere comprese tra architettura e arte, dove tutto è aperto, esposto, dichiarato, visibile, vetrato e liquido. E’ una metafora rappresentata dal trionfo della trasparenza high-tech.