Sarà un maschietto. E’ previsto per il 14 febbraio.
Lo sognavano da diversi anni. La scienza e l’amore hanno esaudito
i loro auspici, che credevano impossibili.
In esclusiva mondiale, per Paris Match, e in avant-premiere del suo eccezionale
Vivement dimanche in onda il 21 gennaio su France 2, Celine
racconta a Michel Drucker la sua lotta e la sua gioia.
A Palm Beach nella sontuosa proprietà da mille e una notte, si è lasciata
andare dolcemente alla beatitudine della gravidanza.
Per nove mesi di felicità Céline ha deciso di dimenticare 20 anni della sua vita
di star. Completamente dedicata alla sua gravidanza,
vuole essere una donna, solamente una donna. E vivere il suo sogno,
aspettare nella calma e nella solitudine il bambino che ha tanto sperato.
Prima condizione: allontanarsi dal mondo, dalla sua frenesia e dal suo chiasso,
per non ascoltare altro che la piccola musica che cresce dentro di lei.
Céline ha dovuto imparare a vivere senza stress. Dal suo annuncio della prossima nascita,
è al settimo cielo e si riposa oramai…in un Olimpo.
A Jupiter Island, a Palm Beach in Florida, Cèline vive al suo ritmo,
fuori dal tempo e dalla storia. Non ha bisogno di Giove per esserne convinta:
come in una leggenda antica, il bambino che nascerà è già per Céline e René, un semi dio.
Ci ha messo tanta energia ad avere questo bambino come 15 anni prima a conquistare il cuore di René.
Il bambino che aspetta Céline è il simbolo di ogni tipo di resurrezione.
Il 30 marzo 1999, venendo a conoscenza del cancro di suo marito, ha pensato
che il suo mondo stesse cadendo a picco. Operato immediatamente,
René ha lottato per molti mesi, sostenuto dall’intensità del loro amore.
Passata questa prova, hanno sentito più che mai il bisogno di avere un bambino.
Hanno fatto ricorso alla fecondazione in vitro che generalmente ha una riuscita
solo nel 25% dei casi. Sette mesi e mezzo più tardi, il ventre rotondo
di Céline dimostra che hanno avuto ragione di credere nella loro buona stella.
Di questa successione di drammi e del miracolo,
Céline ne ha scritto un libro “Ma vie, mon reve”.
Sarà pubblicato dalle edizioni Robert Laffont il 15 gennaio 2001.
Un regalo ideale per accogliere René Junior.
Céline Dion “Il piccolo cuore di mio figlio batte a 162 pulsazioni al minuto.
Lo abbiamo registrato e lo ascoltiamo tutte le sere prima di dormire”.
Michel Drucker: Come sta’ Mme Angelil? Céline Dion: (ride) Non mi darai del voi proprio tu che mi hai preso la mano sul palco
di "Champs-Elysées" quand’ero una ragazzina che non osava affrontare le telecamere?
Ma che mi chiami Mme Angelil mi fa un piacere immenso.
E’ la prima volta che qualcuno mi si rivolge citando colui il quale porto il cognome.
Si ha la tendenza a dimenticare che sono la donna di un uomo che è nella
mia vita da più di 15 anni e che tra qualche settimana sarà anche il padre del mio maschietto.
M.D. Ti trovo radiosa, cambiata.
Ti avevo lasciata un anno e mezzo fa nel backstage del mitico concerto allo Stade de
France, magra, con i capelli lunghi. Ti ritrovo incinta di otto mesi con un altro
sguardo, un’altra acconciatura., in una casa che assomiglia ad un palazzo da mille
e una notte. Ho l’impressione che ci siano stati più cambiamenti nella tua vita nel corso
di quest’anno sabbatico che in venti anni.. C.D. E’ vero. Non avrei mai immaginato di vivere così tanti cambiamenti in così
poco tempo. Nel primo mese di questo semi-ritiro, non ero più la stessa persona.
Ero angosciata, mi stavo disintossicando dallo stress, dalla paura;
dovevo dimenticarmi della mia voce dalla quale oramai dipendevo da anni
per più della metà della mia giovane vita. E poi mi sono lasciata andare
ad una forma di letargo. Finiti i vocalizzi, sono stata immediatamente libera,
senza planning, senza aereo, senza fuso orario, senza la folla, senza i concerti.
Io che detestavo la mattina presto e che mi svegliavo tardi, mi sono immediatamente
iniziata a svegliare presto, guardare i fiori e ascoltare il canto degli uccelli.
Passati tre mesi, quando invece mi ero ripromessa di seguire le nuove tendenze,
non ascoltavo quasi più per niente la musica, né la mia né quella degli altri.
Passavo le serate intere a guardare la televisione, cosa che non avevo mai fatto prima.
Mi sono addirittura appassionata ai match della Lega nazionale di hockey.
M.D. Avevi anche bisogno senza ombra di dubbio di dimenticare che tuo marito,
René, era stato gravemente malato.. C.D.. La grande felicità non l’avevo mai provata prima come in quest’inverno 2000.
Avevo appena vissuto i momenti più terribili della mia vita. Mi sono rivista un anno
prima nell’aereo tra Minneapolis e Dallas. Avevo appena scoperto, sfiorando
il collo di mio marito, una massa dura dalla parte destra, nell’incavo dell’orecchio;
dura e grossa.
Ho subito pensato a qualcosa di grave. Una cosa così che esce fuori in poche ore,
non mi sembrava potesse essere benigna. 24 ore più tardi, dopo una biopsia,
mi sono ritrovata in una clinica a consolare l’uomo della mia vita che,
in lacrime, aveva appena saputo che aveva un cancro. Era il 30 marzo 1999,
il giorno dei miei 31 anni. L’operazione è stata fatta il giorno dopo.
Il seguito di questa vicenda assomiglia a quello di chiunque, nel mondo,
è stato colpito da questa terribile malattia. Speranza, chemio, scoraggiamento,
chemio, speranza, fatica immensa ecc.
M.D. Volevi smettere di cantare in quel momento? C.D.. René aveva intuito che avrei voluto annullare tutti gli show che dovevo
fare ai quattro angoli del mondo. Mi ricorderò sempre che qualche minuto prima
dell’operazione prima di andare in sala operatoria e malgrado l’effetto dei sedativi,
mi ha domandato di non annullare i concerti, cosa che aveva già fatto due anni
prima al tempo della sua crisi cardiaca a Los Angeles. All’epoca mi aveva detto:
”Se smetti è come se morissi 2 volte…”. La sera dopo ho cantato a Houston come un automa.
Oggi devo ammettere che tutti i concerti che ho fatto nei due mesi seguenti,
li ho fatti in uno stato strano, pensando solamente alla guarigione di mio marito.
M.D. Prima di questa intervista, René mi ha fatto visitare la sala di proiezione
da dove ti parlava via satellite durante tutti i tuoi concerti europei. Suppongo che quel
filo magico che ti legava a lui ti abbia aiutata molto. C.D.. Mi sembrava di essere in un film di fantascienza. Durante i due concerti
allo Stadio di Francia, sai che gli facevo dei piccoli gesti dei quali solo lui sapeva il significato?
Ogni 3-4 canzoni, mi toccavo il naso con l’indice, che significava che pensavo a lui.
E lui, dalla nostra casa di Palm Beach, mi parlava negli auricolari per dirmi che
non avevo mai cantato così bene. L’intensità del nostro amore,
la misuro molto meglio con il tempo. Questo vale anche per altri episodi della mia vita.
Canto da 20 anni e ho la sensazione di aver vissuto diverse vite. Ho anche l’impressione
di aver fatto alcune cose troppo velocemente.
M.D. Cosa per esempio? C.D.. Ho attraversato il mondo senza guardarlo. Ho solcato i continenti a bordo
di aerei privati andando dall’aeroporto all’hotel, dall’hotel allo stadio o nella sala
del concerto, ripartendo in piena notte. Non ho visto niente di Tokyo, di Melbourne
di Stoccolma o di Seul. Un giorno quando il mio maschietto sarà un po’ più grande,
spero di poter rivisitare con il padre i luoghi dei miei successi per vedere i musei,
il paesaggio, lontana dai paparazzi e dalla folla.
M.D. Ascoltandoti ho l’impressione che era proprio il momento di fermarti… C.D.. Penso che, qualsiasi sia la passione che si può avere per il proprio mestiere,
c’è un momento in cui si ha il bisogno urgente di rinnovare il proprio ossigeno.
Avevo vissuto dei momenti straordinari, ero stata amata, applaudita, vezzeggiata.
Avevo visto ogni giorno folle sempre più enormi, stadi sempre più grandi, ma ero
diventata una vera e propria tossicomane dello stress. Mi ci voleva la mia dose quotidiana.
Ogni volta che mi fermavo mi mancava, mi sentivo male nella mia pelle, angosciata.
Sembra che i maratoneti ai quali una ferita impedisce di correre siano soggetti
a nausee, a delle forme di stordimento, che non abbiano lo stesso metabolismo.
A te che piace il ciclismo: si dice che un ciclista che termina il Tour de France
ha bisogno di continuare a pedalare, e pedalare ancora, sempre.
M.D. Mi hai raccontato che tra tutti gli imprevisti che sono stati duri a sopportare,
malgrado tutti i tuoi successi, il dover nascondere il tuo legame con quello che poi è diventato
tuo marito è stato uno dei più dolorosi. C.D. In effetti ho sofferto molto a non poter vivere alla grande questa passione.
Amare un uomo molto più anziano di te mostrarsi pubblicamente con lui è una prova
che molte donne hanno affrontato. E loro sapranno cosa vuol dire.
Quando si tratta di personaggi pubblici la sfida è ancora più complessa.
Avevo sentito molto presto che René Angelil era l’uomo della mia vita.
Lui l’ha scoperto molto più tardi. Ma la situazione era allo stesso tempo semplice e complessa.
Volevo amarlo alla luce del giorno, sposarlo. Ero sta quasi immediatamente affascinata
dal suo sguardo, dalla sua dolcezza molto orientale. René è di origini libanesi e siriane.
Che abbia 26 anni più di me non è mai stato un problema. Altre coppie celebri
che avevano scarti di età di 15-20 anni erano state felici. Charlie Chaplin e Onoa O’Neill
avevano conosciuto la passione per 30 anni e avevano messo su famiglia.
M.D. René ha lottato contro questa realtà? C.D.. Un giorno mi ha raccontato che, dopo essersi già innamorato di me,
tentò di scordarselo. In quel periodo partì per Las Vegas. Un giorno andò
addirittura a Parigi da Eddy Marney (l’autore delle più belle canzoni dei miei debutti).
René l’ha sempre considerato come un padre e quando gli confessò che mi amava veramente,
Eddy gli ha rispose: ”Se la ami, non hai nulla di cui aver timore, non le potrai
far del male…”. Ma René pensava molto alla mia carriera e non voleva che questa
situazione si trasformasse in un handicap. E’ per amore che ho accettato di
restare in silenzio così a lungo. Troppo a lungo.
E poi c’era anche mia madre che aveva mandato una lettera molto dura a René,
insistendo sulla nostra differenza di età, dicendogli che aveva tradito la sua fiducia
e che voleva un principe affascinante per la sua principessa e non un uomo due
volte divorziato e due volte e mezzo più vecchio di sua figlia.
Ma allo stesso tempo mamma è una donna di cuore. Mi conosceva bene e sapeva
che non avrei mai mollato. Volevo diventare una grande cantante, ma volevo anche quell’uomo
nella mia vita. Ci avrei messo altrettanta tanta forza e ostinazione che per cantare.
Mi ricorderò per sempre la felicità di mia madre il giorno del mio matrimonio il
17 dicembre del 1994, quando sono entrata nella cattedrale di Montreal con quel
vestito che mi era stato ispirato da quelli che avevo visto nei due film “Valmont”,
di Milos Forman e “L’età dell’innocenza” di Martin Scorsese. Thérèse Dion madre
di 14 figli cresciuta a Charlemagne, periferia popolare di Montreal, era quel giorno la
più felice delle madri. Mi domando se anche lei adesso è innamorata del suo manager (ride)
M.D Da bambina avevi due sogni: diventare una stella della canzone e
conoscere il grande amore. Tra due mesi aggiungerai a questi due sogni già realizzati
un terzo: un bambino…Prima di parlarmi della maternità mi devi raccontare la storia
che tu non sei stata una figlia voluta.. C.D. Il destino a volte è sconcertante. Mia madre aveva già 13 bambini. Per
più di 20 anni si era occupata della casa con dei ritmi infernali: lavava i panni,
metteva a posto, stirava, faceva da mangiare per365 giorni all’anno.
Pensava, a ragione, di aver compiuto il suo dovere. Gli ultimi piccoli due gemelli
Paul e Pauline stavano per iniziare la scuola così che lei sarebbe stata finalmente
libera di poter vivere un po’ più in pace. Avrebbe potuto viaggiare un po’ con mio
padre per rivedere sua madre in Gaspesie; ci avevano passato l’infanzia e non c’erano
tornati dal giorno del loro matrimonio.
Ed invece eccola incinta di un nuovo bambino. Fu talmente tanto abbattuta
da questa notizia che andò dal curato a chiedere, come si diceva a quei tempi,
se potesse “impedire la famiglia”, praticamente andò a chiedere una contraccezione.
A quei tempi i curati avevano un gran poter in Quebec. Le fece una
paternale dicendole che non aveva diritto a andare contro la natura.
Devo ammettere che in una certa maniera devo la vita a quel curato.
Passata la delusione mia madre non si è pianta addosso per molto per la sua sorte,
mi ha amata con passione, come si ama la più piccola. Mi chiamò Céline in omaggio a
Hughes Aufrey la cui canzone fu un’enorme successo in Quebec proprio l’anno della
sua ultima gravidanza.
Amo mia madre. Lei è per me la star della famiglia.
Non dimenticherò mai che fu proprio lei che andò a bussare alla porta di René Angelil
che ero ancora una bambina. E’ lei che mi ha scritto la mia prima canzone
“Ce n’etait qu’un reve." Le devo tutto.
M.D. Tenuto conto dei problemi di salute di tuo marito avere un bambino in
condizioni normali non era proprio così facile. C.D.. In effetti nel periodo in cui René fece la chemioterapia i medici ci parlarono
dei suoi effetti secondari. Tra questi c’era il pericolo che mio marito potesse
diventare sterile per un periodo più o meno lungo. Uno dei medici, il dottor Ronald
Ackerman, ginecologo rinomato, ci ha spiegato nei minimi particolari le tecniche di
fecondazione in vitro, confidandoci che il tasso di riuscita non era che del 25%.
Avevo risposto ironicamente al dottore che anche il vecchio metodo non era certo al 100%.
La soluzione che mi avevano proposto era infinitamente meno piacevole.
Tanto per iniziare dovevo preparare il mio corpo iniettandomi una medicina anti-estrogena
che mi avrebbe permesso di regolare e di controllare l’ovulazione. Per più di due mesi
ho assunto delle dosi di progesterone per assicurarmi che la gravidanza giungesse a termine.
Tutte cose non avevano nulla di romantico era tecnica, molto fredda. Niente a che
vedere con quell’atto così bello che è la procreazione naturale.
La visita di René, prima della chemio, alla banca dello sperma non aveva tantomeno niente di poetico.
Abbiamo seguito insieme ogni tappa dell’ovulazione e della fecondazione, era diventato
il nostro progetto più caro. Noi ne parliamo liberamente con i nostri amici.
Non abbiamo mai nascosto i nostri problemi nell’avere un bambino.
M.D. Suppongo che ti ricorderai per tutta la vita il momento in cui il medico
ti ha annunciato che eri incinta e che avresti avuto una gravidanza normale. C.D.. Ripenso a quell’istante ogni giorno quando sento muovere il mio bambino.
Era l’ 8 giugno del 2000, il dottor Ronald Ackerman è passato da me a Jupiter Island.
Mi veniva a trovare regolarmente da un mese. Quel giorno non l’aspettavo.
Era venuto la mattina presto ad auscultarmi, prendere la pressione e fare un prelievo.
Era andato via dicendomi che dopo due e tre giorni avremmo saputo se veramente ero incinta.
Poi è tornato e in ho sentito in quel momento che stava accadendo qualcosa.
René ci ha raggiunti in cucina, ho fatto finta di essere distratta, calma. René non immaginava
niente, non sapeva nemmeno che dall’altra parte della linea c’era l’ altro medico che
mi seguiva, il dottor Rosenwaks.
Hanno esclamato insieme “Felicitazioni innamorati!”. Io e René, siamo rimasti a lungo
abbracciati, con gli occhi umidi.
Due settimane più tardi abbiamo visto battere il cuore di nostro figlio:
142 battiti al minuto! Il medico era felice, facendo un rapido calcolo ci ha
detto che avrei dovuto partorire il 14 febbraio! Più tardi, dopo tre mesi di gravidanza,
il piccolo cuore batteva questa volta molto forte, 162 pulsazioni. Lo abbiamo registrato
e lo ascoltiamo tutte le sere prima di dormire. Sappiamo che qualsiasi cosa succeda
la vita ha già vinto.
M.D. Prima di ringraziarti e di ritrovarti il 21 gennaio a Vivement Dimanche,
mi rendo conto che abbiamo parlato poco della tua carriera. C.D.. Non ho più fatto i vocalizzi da 12 mesi. Tra un anno so già che ritornerò
con un nuovo disco. Con dei progetti cinematografici, ma anche un bambino
che forse chiameremo René…E niente nella vita sarà più come prima.
[Traduzione di Valentina - Articolo e foto tratte da Paris Match]