IlSole24ore - Venerdì 31 Dicembre 1999 finanza & mercati

La holding Agnelli ora confluita nella cassaforte di famiglia ha chiuso l’avventura Usa con un ritorno annuo del 23%

Exor, un addio d’oro all’America

Gianluigi Gabetti: «Abbiamo deciso di concentrare le nostre risorse finanziarie in Europa»

(DAL NOSTRO CORRISPONDENTE)

NEW YORKIl Kristo, un ponte parigino impacchettato in lenzuola candide, e il Rauschenberg non sono più alle pareti dell’ingresso. Arrivando al ventunesimo piano del Seagram Building, erano un riferimento familiare. Gli uffici sono stati ceduti. Il nuovo inquilino è già di fatto subentrato e con questo 1999, oltre al decennio, al secolo e al millennio, si è anche chiusa l’avventura americana di Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, un’organizzazione che ha accumulato negli anni straordinari profitti, che ha formato un’intera generazione di finanzieri italiani e che ha vissuto un’esperienza pionieristica in territorio americano, iniziando tra il 1974 e il 1975 le prime operazioni di leverage buy out, in contemporanea con Kkr.

Allora nessuno osava avventurarsi al di là della nuova frontiera dell’alta finanza, che avrebbe dominato gli anni Ottanta e una buona parte degli anni Novanta. Ma per questa piccola finanziaria, nata da una costola delle partecipazioni del gruppo, la missione era chiara: fermo restando l’impegno in prima linea in Italia, con il gruppo Fiat, negli anni di piombo, l’avvocato Gianni Agnelli e Gianluigi Gabetti, allora amministratore dell’Ifi, decisero in modo informale di diversificare almeno una piccola parte delle attività all’estero e in particolare negli Stati Uniti: «Erano anni difficili, incerti, non dimentichiamo che, oltre ad avere tensioni in Italia e attacchi contro la legittimità del profitto, ci trovavamo nel mezzo di due crisi petrolifere — ricorda Gianluigi Gabetti, durante una conversazione con «Il Sole-24 Ore» —. La decisione di fare qualcosa di strutturato all’estero è maturata nel corso di colloqui molto informali con l’avvocato Agnelli. Spesso durante dei viaggi. L’Avvocato aveva ottimi contatti in America e siamo partiti». Fu così che intorno al 1973, con l’attribuzione dell’Imo, una finanziaria immobiliare francese valutata in 40 milioni di dollari, e con un apporto di altre attività internazionali in portafoglio, nacque con circa cento milioni di dollari di capitale l’Ifint. La decisione, fin dall’inizio, fu quella di mantenere una struttura snella e molto flessibile. E alcuni di coloro che hanno lavorato con Gabetti e che oggi hanno preso altre strade, interpellati dal Sole-24 Ore, riconoscono al grande finanziere italiano il merito di avere impostato la sua gestione con uno stile molto personalizzato, senza burocrazia interna, senza comitati, con la possibilità di decidere velocemente: «L’intelligenza dell’avvocato Agnelli — afferma uno degli interpellati — è stata quella di dotare la Fiat di manager adatti a una multinazionale e la holding di famiglia di persone che erano più degli artisti. E credo che nessuno oggi possa negare che Gabetti sia un vero artista: è stato un maestro per tutti noi. La sua gestione di Ifint ed Exor non si affidava ai controlli o alla burocrazia, ma alla scelta delle persone e alla fiducia. E la fiducia non è mai stata sostituibile dai controlli».

Il primo ufficio fu aperto da Lazard Frères, guidata ancora, allora, dal leggendario André Meyer. Fra gli interlocutori "amici" c’erano David Rockefeller e Warren Buffet. Fu Meyer però a suggerire di imboccare la strada aggressiva e anticonformista del leverage buy out e a consigliare i primi acquisti, la Cpi e la Bantam Books. I giovani finanzieri italiani incaricati di gestire le operazioni del giorno per giorno a New York erano Alberto Cribiore e Mario Garraffo. Alberto Vitale fu invece incaricato di seguire l’investimento nella Bantam, rilevata dalla Bertelsmann con un capitale di 25 milioni di dollari e un leverage di 50. Presto al gruppo si sarebbero aggiunti altri, come Andrea Geisser, Claudio Elia, Andrea Botta, Galeazzo Scarampi, Enrico Benaglio, Peter Ruiss, e a Parigi, dove si aprì un altro ufficio dell’Ifint, Rui Brandolini.

L’obiettivo era quello di acquistare partecipazioni di minoranza o di controllo, a seconda dei casi, in aziende diversificate. Nel 1977, ad esempio, con un capitale di 40 milioni di dollari e circa 80 milioni di dollari di leverage, si acquistò una partecipazione nella Moog, poi venduta nel 1991. Nel 1988 si acquistò il 25% del Firemund Fund nel settore assicurativo per 300 milioni di dollari fra debito e capitale, poi rivenduto per 500 milioni di dollari nel ’91. Seguirono le operazioni della Lear Seating, componentistica per auto, il 38% per 30 milioni di dollari, rivenduta nel ’99 a 250 milioni di dollari. Nel ’93 l’Ifint viene riorganizzata in Exor dopo la lunga e difficile operazione in Francia per l’acquisto della Perrier, ceduta poi alla Nestlé. L’Exor aveva nel frattempo avvicendato alcuni dei giovani che avevano intrapreso altre carriere. Andrea Geisser andò a lavorare in un altro fondo; Alberto Cribiore andò prima alla Time Warner e poi alla Clayton Dubilier dove divenne uno dei partner anziani e oggi gestisce a New York la sua finanziaria, Brera, un fondo con una dotazione di circa 500 milioni di dollari. Garraffo è passato prima alla guida della Lazard in Italia e poi all’incarico di amministratore delegato dell’Ina. La ristrutturazione del ’93 creava tre aree operative: a New York sotto la guida di Andrea Botta, a Hong Kong sotto la guida di Galeazzo Scarampi e a Parigi sotto quella di Rui Brandolini. Le attività americane nel frattempo procedevano secondo un modello ormai consolidato.

Nel 1993, con 150 milioni di dollari di capitale, si è rilevato un pacchetto di investimenti finanziari della First Chicago, rivenduto nel ’98 per 350 milioni di dollari con un ritorno medio del 30 per cento. Nel ’95 sono stati investiti 400 milioni di dollari in Constitution Re, nel ’96 70 milioni di dollari per il 26% del complesso Rockefeller Center, una partecipazione che resta ancora attiva. Sempre nel 1996, 225 milioni di dollari sono stati impegnati nel 30% della River Wood International, specializzata nel packaging. La Constitution Re è stata rivenduta nel ’98 per 700 milioni di dollari con un ritorno medio su base annua del 23 per cento. Complessivamente, in venticinque anni il tasso di ritorno interno è stato calcolato nel 20% e tra il ’93 e il ’99 il ritorno è stato di circa il 30 per cento. «Abbiamo sempre operato con tempismo, con prudenza, senza fretta e con obiettivi, se necessario, anche di medio periodo», dichiara Andrea Botta, l’ultimo responsabile delle attività americane, che oggi lavora alla Morgan Stanley, alla guida di Princess Gate, un fondo da un miliardo di dollari, una sorta di club di grandi investitori che include oltre alla famiglia Agnelli anche Michael Dell e Bill Gates. Scarampi invece, che ha chiuso l’ufficio a Hong Kong, è rimasto in Oriente, dove si occupa ora degli interessi della famiglia Wallenberg.

Si decise di chiudere l’avventura americana e quella in Estremo Oriente nel 1998, per concentrarsi in Europa: «Abbiamo avuto la percezione che gli Usa si avvicinassero alla maturità e che buone opportunità potessero emergere in Europa — dichiara ancora Gabetti —. Nel giugno di quell’anno ci siamo resi conto che alcuni investimenti stavano arrivando a maturazione. Si trattava a quel punto di ricominciare un altro ciclo americano o di mettere i fondi a disposizione delle società europee. La scelta è stata per una riconcentrazione delle risorse in Europa».

Alcune attività restano, ad esempio la partecipazione nel Rockefeller Center, che non è stata ancora liquidata e che ha subito un forte apprezzamento. Ma si tratta ormai di una semplice partecipazione. La struttura operativa non c’è più. Nel frattempo i cento milioni di dollari iniziali, prelevati da una semplice costola, sono diventati tre miliardi di dollari (senza tener conto del pagamento dei dividendi alla famiglia ogni anno). Circa un miliardo di dollari resta investito nelle attività francesi che includono fra l’altro Château Margaux. Con il rimpatrio del resto, quasi quattromila miliardi di dollari, fatti confluire nella Giovanni Agnelli, si è raggiunto il duplice obiettivo di dotare di liquidità importante la cassaforte di famiglia, che può essere così in grado di far fronte, ad esempio, ad aumenti di capitale nel contesto Ifil e si è creata nuova liquidità per remunerare la famiglia.

La festa ufficiale d’addio è stata al ristorante Four Season, classica sede dei power lunch americani, nella tarda primavera di quest’anno. Nella Grill Room, una sala privata, c’erano l’avvocato Agnelli, Brandolini, Botta, Ruiss, Scarampi e Gabetti. Il festeggiato era Gabetti e l’atmosfera commossa, come sempre succede quando si chiude un’epoca e se ne apre un’altra. L’Avvocato ha consegnato a ciascuno dei presenti delle scatole d’argento, personalizzate, come ha sempre voluto la tradizione di gestione. E ha presieduto il consiglio per approvare la fusione che sarebbe avvenuta in giugno, lasciando un periodo di circa altri sei mesi per sbrigare le ultime faccende operative. Come, ad esempio, togliere il Kristo e il Rauschenberg dalle pareti, per imballarli e venderli al migliore offerente.

Mario Platero