30-11-1999 Pensioni: la "gobba" non esiste

Secondo Lorsignori (Ragioniere generale dello Stato, Monorchio), nonostante i pesantissimi tagli già effettuati nel '92, '95 e '97, "la spesa pensionistica in rapporto al Pil salirebbe progressivamente dal 14,2% attuale fino ad un valore massimo del 15,8% nel 2031, per poi scendere fino al 13,2% nel 2050".
"L'andamento avrebbe dunque una "gobba" che nel punto massimo sarebbe pari all'1,6% del Pil.
Ma
"queste previsioni si basano sull'adozione di uno scenario ... che prevede una crescita costante del Pil dell'1,5% annuo per l'intero periodo. In uno scenario più ottimista, che prevede un aumento del Pil oscillante nel periodo tra il 3,3% e l'1,7%, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil, anziché crescere, calerebbe da subito fino ad un minimo del 13% nel 2015-20, per poi risalire fino al 13,8% nel 2035 e scendere di nuovo al 13% nel 2045" (Prof. ROBERTO PIZZUTI dell'Università La Sapienza di Roma, Affari & Finanza 29-11-1999).

"In uno studio .. effettuato dalla Commissione europea" dopo i tagli di Dini del 1995 (prima dunque degli ulteriori tagli di Prodi del 1997), "le previsioni per la spesa pensionistica italiana risultavano ... quelle con la crescita più contenuta nel continente".

E "le informazioni sull'anno in corso segnalano un andamento della spesa inferiore alle aspettative";
anche il numero dei pensionamenti d'anzianità è nel 1999 più basso di ben 37.000 unità rispetto alle previsioni.

Barano anche sul calcolo della spesa pensionistica

"Nei confronti internazionali spesso vengono citati i dati Eurostat che segnalano la cosiddetta "anomalia" italiana:

"operando il confronto con la media europea, la nostra spesa sociale complessiva in rapporto al Pil è inferiore di circa quattro punti, ma la spesa pensionistica sarebbe superiore di circa tre punti.

"Ne derivano due conseguenze:
a) "poiché nel 1998 il saldo di bilancio del sistema pensionistico è stato negativo per 29.612 miliardi, le prestazioni effettivamente erogate ai pensionati (al netto cioè delle ritenute fiscali) sono state inferiori di oltre 10.000 miliardi alle entrate contributive; dunque, il sistema pensionistico previdenziale non ha pesato sul bilancio pubblico ma lo ha migliorato.
b) "per altri paesi europei, come la Germania, il dato delle prestazioni pensionistiche è al netto delle imposte cosicché, nel confronto, il dato italiano (che è espresso al lordo) risulta sopravalutato dei due punti corrispondenti alle ritenute fiscali.

"Aggiungendo questa sopravalutazione (rispetto ai paesi per i quali esiste) a quella sopra ricordata connessa al Tfr, la "anomalia" italiana tende a scomparire; ad esempio, l'incidenza della spesa pensionistica sul Pil in Germania - che secondo l' Eurostat sarebbe inferiore di circa tre punti rispetto a quella italiana - in realtà è superiore di mezzo punto.

"Sempre in tema di confronti internazionali, va poi ricordato che essi vengono normalmente fatti tra i sistemi pensionistici pubblici. Tuttavia, dal punto di vista della rilevanza macroeconomica dei trasferimenti correnti dagli attivi ai pensionati, è indifferente che le pensioni siano erogate da sistemi pubblici o da organismi privati. Però, mentre in Italia il sistema pensionistico pubblico pressoché coincide con quello complessivo, in altri paesi le prestazioni pensionistiche private assumono dimensioni anche rilevanti. Limitare il confronto alle componenti pubbliche ancora una volta porta a sopravalutare il peso delle prestazioni pensionistiche nel nostro paese.

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"Un serio problema per il finanziamento dei sistemi pensionistici, ma di cui si parla meno, deriva dal rallentamento dei tassi di crescita (dell'economia) e dall'aumento della disoccupazione. Nel valutare l' andamento del rapporto tra spesa pensionistica e Pil si tende a concentrare l'attenzione su come contenere il numeratore, sottovalutando che le politiche economiche restrittive a quel fine adottate possono avere - e hanno avuto in Italia in questo decennio - effetti negativi anche sul denominatore, cioè sul Pil, il quale, naturalmente, sarebbe bene aumentasse per tanti altri motivi oltre che per finanziare le pensioni" (Prof. ROBERTO PIZZUTI dell'Università La Sapienza di Roma, Affari & Finanza 29-11-1999).

 

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