Lettera aperta
IL 9 NOVEMBRE SIA SCIOPERO GENERALE
E MANIFESTAZIONE NAZIONALE DI TUTTI
L'annichilimento che ha preso il
corpo sociale dopo gli attentati dell'11 settembre sta lentamente
scemando. Con molta fatica nei luoghi di lavoro la discussione si
sta facendo più attenta, meno schiacciata dalle terribili
immagini delle Twin Towers.
Cresce la consapevolezza che l'avversario di classe, sta
approfittando della guerra e dell'orrore per affondare i suoi
denti nelle carni del corpo sociale.
La finanziaria di guerra, proposta dal governo dei ricchi
rafforza certamente il legame stretto tra il no alla guerra e
l'ostinata difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori.
L'attacco, violentissimo, che il governo e i padroni stanno
portando al mondo del lavoro è null'altro che la conseguenza
delle scelte del G8, quel G8 che in centinaia di migliaia abbiamo
contestato a Genova e che ha segnato l'inizio di una fase di
repressione propedeutica alla criminalizzazione di tutti coloro
che osassero contestare ieri il G8 oggi la guerra, il WTO, la
finanziaria.
Lo scenario che si propone al mondo del lavoro è davvero
terribile. Si combatte una guerra- che sta mietendo centinaia,
forse migliaia di vittime civili in Afghanistan che si vanno a
sommare a quelle di New York - che serve agli Stati Uniti a
ridisegnare il proprio ruolo e la propria collocazione
geopolitica nell'Asia del petrolio, del gas e dei corridoi in cui
passano. Che nulla ha a che vedere con la ricerca e la punizione
dei colpevoli della strage dell'11 settembre quanto piuttosto a
provare ad utilizzare il vecchio ma collaudato metodo della
guerra e quindi dell'economia di guerra per uscire da una
recessione e una crisi economica molto simile a quella del '29.
Crolli di borsa che coinvolgono i piccoli risparmiatori,
licenziamenti di massa a partire dalle compagnie aeree di tutto
il mondo ma che stanno già aggredendo i settori del turismo e
delle assicurazioni, cassa integrazione sono solo le prime
avvisaglie del costo sociale di questa guerra. La finanziaria per
il 2002 si inserisce perfettamente in questo quadro.
Privatizzazioni ed esternalizzazioni di pezzi fondamentali delle
tutele dei cittadini, scippo dei patrimoni immobiliari degli enti
previdenziali che, con la scusa di sottrarli alla speculazione,
vera, delle cooperative, vengono regalati alla speculazione
finanziaria, definitivo smantellamento della previdenza pubblica,
della scuola, della sanità che dovranno lasciare il passo al
modernismo del privato, sgretolamento progressivo ed
inarrestabile della funzione della pubblica amministrazione
intesa come elemento di garanzia dei diritti uguali per tutti i
cittadini su tutto il territorio nazionale, blocco per l'intero
2002 di qualsiasi assunzione, che non sia flessibile, interinale,
a tempo ecc., nella pubblica amministrazione con buona pace di
centinaia di migliaia di LSU e precari a vario titolo che da anni
lavorano in nero negli uffici pubblici, attacco frontale
all'autonomia negoziale delle parti nei contratti di secondo
livello e stanziamenti da "pane e salame" per i
contratti pubblici.
Scomparse le decantate riduzioni delle aliquote IRPEF, si
riducono gli stanziamenti per gli Enti Locali che dovranno
pertanto inevitabilmente ricorrere a nuove tasse e gabelle
locali.
A questo poi si aggiunge il tentativo del governo, attraverso il
Libro bianco di Maroni, di destrutturare e deregolamentare
definitivamente il quadro delle tutele del lavoro, già
pesantemente compromesse dalla suicida riforma
"federalista" attuata dagli apprendisti stregoni del
centro sinistra.
Ci sono, ci sembra, mille buoni motivi per affrontare subito e
con un momento generale di lotta le questioni che la fase ci pone
davanti. Scegliere, di nuovo, di affrontarle separati,
categorialmente, pensando che sia giusto, nella fase mutata,
lavorare a strappare pezzettini di garanzie in più per il
proprio settore nascondendo e nascondendosi così la realtà, ci
sembra infantile, inconcludente e, ci si lasci dire, di
"segno moderato".
E' ipotizzabile che i lavoratori della sanità siano oggi da soli
in grado di respingere il Patto di stabilità del sistema
sanitario varato dal governo e che taglia 50.000 posti letto e
30.000 posti di lavoro? E' ragionevole ipotizzare per i
lavoratori del trasporto aereo una capacità categoriale di lotta
tale da impedire i licenziamenti? Qualcuno può pensare che
spetti ai lavoratori dell'INAIL o dell'ISTAT dare battaglia
contro la privatizzazione di questi enti che, si badi bene, si
occupano di tutela degli infortuni sul lavoro e di ricerca
scientifica e non di pizza e fichi?
Riteniamo che compito delle organizzazioni sindacali oggi sia
quello di costruire il più vasto e forte movimento di risposta
su questi terreni che sono strettamente intrecciati con la
critica di massa alla guerra. Vogliamo dire con franchezza che
riteniamo legittimi tutti gli scioperi che attraverseranno queste
prossime settimane, così come francamente vogliamo dire che uno
sciopero della scuola che affronti il "suo" pezzo di
finanziaria, o quello della fiom che rivendica una piattaforma
tutta interna alle compatibilità del 23 luglio, o gli appelli
all'unità con quella sinistra sindacale che ancora una volta sta
dimostrando tutta la sua subalternità alle scelte concertative,
tutt'oggi rivendicate da Cgil, Cisl e Uil, ci sembrano un po'
poca cosa di fronte alla pesantezza dell'attacco e alla
drammaticità degli scenari di guerra.
Non c'è da parte nostra, come pure qualcuno lascia affiorare tra
le righe dei tanti articoli pubblicati in questi giorni, voglia
di egemonia o di piegare altri alle nostre scelte e alle nostre
esigenze.
La scelta del 9 novembre ci sembra corretta sia rispetto
all'avvio della discussione al Senato sulla Legge finanziaria,
sia rispetto all'escalation della guerra e all'appuntamento, che
non abbiamo dimenticato, del WTO.
C'è invece sicuramente la consapevolezza della necessità di una
risposta alta e unitaria che abbiamo proposto a tutti ricevendo
in cambio la conferma degli scioperi categoriali e proposte di
nuovi scioperi generali, turandosi il naso sui compagni di
viaggio, da tenersi nella seconda metà di novembre o a dicembre.
Gli scioperi non sono come le ciliegie, una tira l'altra,
soprattutto in una fase delicata come questa. Se ce ne saranno le
condizioni politiche e la comprensione dei lavoratori non ci
tireremo certo indietro, oggi ci sentiamo però di rilanciare
l'invito a tutti perché il 9 novembre diventi una grande
giornata di lotta con lo sciopero generale e la manifestazione
nazionale a Roma - alla vigilia tra l'altro della parata
guerrafondaia indetta da Berlusconi per il 10 - che vorremmo
fosse fatta propria da tutti coloro che sono contro la guerra, la
finanziaria, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dei
cittadini.
CANAVESI
RENZO
SLAI-COBAS
LEONARDI PIERPAOLO RDB
TIBONI
PIERGIORGIO
CUB