VI Commissione - Resoconto di mercoledì 26 gennaio 2000


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ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 26 gennaio 2000. - Presidenza del Presidente Giorgio BENVENUTO. - Interviene il Sottosegretario di Stato per le finanze Natale D'Amico.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Convocato per l'audizione informale dei rappresentanti della Confindustria; delle Associazioni degli artigiani (Casa, Claai, Cna, Confartigianato); delle Associazioni degli agricoltori (Coldiretti, Confagricol- tura, Confederazione italiana agricoltori); della Conf-commercio e della Confesercenti sullo schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».

L'Ufficio di Presidenza si è riunito dalle 14.30 alle 16.30.

 

 

VI Commissione - Resoconto di giovedì 27 gennaio 2000


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ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 27 gennaio 2000. - Presidenza del Presidente Giorgio BENVENUTO. - Interviene il Sottosegretario di Stato per le finanze Natale D'Amico.

 

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare» - Audizione informale dei rappresentanti della Cigl, Cisl Uil, Ugl; della Associazione bancaria italiana; della Associazione nazionale imprese assicuratrici; della Lega nazionale delle cooperative e mutue; della Confcooperative; della Associazione generale delle cooperative italiane; della Unione nazionale cooperative italiane e della Confederazione italiana dirigenti d'azienda.

L'Ufficio di Presidenza si è riunito dalle 14 alle 16.15.

 

 

AUDIZIONE

Martedì 1o febbraio 2000. - Presidenza del Presidente Giorgio BENVENUTO.

Audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, della Commissione di vigilanza sui fondi pensione sulle questioni connesse allo schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
(Svolgimento e conclusione).

La seduta comincia alle 10.10.

Giorgio BENVENUTO, presidente, propone che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante la trasmissione audiovisiva a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Svolge quindi un intervento introduttivo.

Il professor Mario BESSONE, presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, svolge una relazione sui temi oggetto dell'audizione.

Intervengono il presidente Giorgio BENVENUTO ed i deputati Carlo PACE (AN), Roberto PINZA (PD-U) e Salvatore BIASCO (DS-U).

Replicano il professor Mario BESSONE, nonché il dottor Massimo ANTICHI,


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il dottor Ambrogio RINALDI, ed il dottor Ferdinando MONTALDI, funzionari della Commissione di vigilanza sui fondi pensione.

Giorgio BENVENUTO, presidente, dichiara conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11.15.

N.B.: Il resoconto stenografico dell'audizione sarà pubblicato in un fascicolo a parte.

 

VI COMMISSIONE
FINANZE

AUDIZIONE


Seduta di martedì 1° febbraio 2000


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La seduta comincia alle 10.10.

Sulla pubblicità del lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che la pubblicità dei lavori venga assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione della Commissione di vigilanza sui fondi pensione sulle questioni connesse allo schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, nell'ambito dell'esame del decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
Ringrazio per la sua disponibilità il presidente Mario Bessone, che è venuto accompagnato dall'avvocato Gennaro Cimmino, direttore generale della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, dal dottor Ambrogio Rinaldi, responsabile della direzione di vigilanza e attività ispettive, dal dottor Massimo Antichi, responsabile del servizio studi, e dal dottor Ferdinando Montaldi, dirigente della direzione autorizzazioni della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Devo dire che su questo argomento le audizioni si svolgeranno «a tamburo battente»; sicuramente voi siete già a conoscenza del parere che abbiamo raccolto ascoltando gli altri soggetti interessati, in particolare la rappresentanza delle forze sociali. Siamo pertanto in attesa di conoscere la vostra opinione sulla delega attuata dal Governo in materia di riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare.

MARIO BESSONE, Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Signor presidente, per mio tramite la Commissione di vigilanza sui fondi pensione ringrazia vivamente la Commissione finanze per questa audizione che ci consente di offrire un contributo di riflessione su un intervento legislativo che, come lei ha autorevolmente ricordato, è uno degli eventi di maggior rilievo dell'attuale legislatura.
Usando per intero e in coerenza con la normativa di delega i poteri normativi che gli sono stati conferiti, con questo provvedimento il Governo apporta innovazioni molto significative alla disciplina complessiva del sistema della previdenza complementare, e non soltanto per quanto riguarda il regime fiscale della previdenza complementare. Certo, le norme che concernono la materia fiscale meritano una particolare attenzione per una serie convergente di motivi: la nuova disciplina delle contribuzioni della gestione patrimoniale dei fondi e delle prestazioni previdenziali assicurate agli aderenti ai fondi pensione segna comunque una inversione di tendenza che forse non è esagerato definire storica, se si considera che le norme del decreto legislativo n. 124 del 1993, ma anche i provvedimenti successivi, al di là delle intenzioni del legislatore,


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hanno operato come un fattore di difficoltà per la crescita del sistema della previdenza complementare.
In secondo luogo, mi sembra sia il caso di rilevare che i contenuti di questo schema di decreto, tanto più se sarà possibile apportare qualche correttivo che ne incrementi l'incidenza, costituiscono, per così dire, un atto costituzionalmente dovuto, nel senso che il comma 4 dell'articolo 38 della Costituzione mi sembra prefiguri, oltre che legittimi, un trattamento di privilegio per quanto riguarda le forme di investimento del risparmio delle famiglie con finalità previdenziali.
La Commissione di vigilanza rileva, inoltre, che esigenze di equità impegnano ad una dura riforma di regime, essendo l'investimento di risparmio con finalità previdenziale e i fondi pensione l'unica forma di investimento finanziario che differisce a lungo periodo la disponibilità delle risorse investite; e questa indisponibilità di lungo periodo, per opinione generale, merita una compensazione costituita da un regime fiscale di incentivazione. In ogni caso, più ancora dei riferimenti di ordine formale e degli stessi riferimenti di equità sociale, sono rilevanti i dati di esperienza; e l'esperienza degli altri paesi, nei quali esiste, come fenomeno di grande consistenza, la previdenza complementare ed esistono fondi pensione, insegna che la variabile decisiva è per l'appunto una disciplina fiscale di incentivazione.
Qualche volta si teorizza una preferenza astratta di altri regimi giuridici della previdenza complementare, ma chi conosce la materia sa che l'elemento che fa davvero la differenza e che consente alla previdenza complementare uno sviluppo significativo è innanzitutto una disciplina fiscale di sostegno. La Commissione di vigilanza, facendo queste valutazioni di ordine generale, ha naturalmente una precisa consapevolezza del costo non trascurabile che l'incentivazione fiscale della previdenza complementare comporta per il sistema della previdenza pubblica, ma è ancora il presidente Benvenuto a ricordare che quel costo è più che compensato dal valore che la previdenza complementare aggiunge ad un sistema-paese innanzitutto sul lato del contenimento, per così dire, degli effetti della crisi del sistema pensionistico pubblico; al tempo stesso ciò significa per i mercati finanziari uno strumento forte di incentivazione e di crescita.
Pertanto, esprimo un apprezzamento complessivo per le norme dello schema di decreto legislativo che riguardano la materia fiscale, essendo semmai da valutare in che misura la delega conferita al Governo e la sua attuazione nelle norme del decreto risultino capaci di realizzare un'incentivazione fiscale sufficientemente forte.
Guardando in questa prospettiva, la Commissione di vigilanza, più che non aggiungere suoi particolari rilievi a quelli già formulati in punto di tecnica normativa o per quanto riguarda singoli profili della disciplina, anche per osservare il limite delle sue competenze istituzionali che non comportano alcuna legittimazione ad avanzare proposte di politica economica, ritiene di offrire un contributo, documentando lo stato del sistema della previdenza complementare al dicembre del 1999, per verificare quali possano essere le incidenze dei provvedimenti fiscali su questo quadro complessivo di sistemi.
Dirò, in via più che breve, che l'avvio di un sistema di previdenza complementare comportava la realizzazione di una disciplina regolamentare del settore al punto di equilibrio tra efficienza e garanzie; la disciplina è ormai completata e la Commissione la ritiene un sufficiente punto di equilibrio tra efficienza e garanzie. L'efficienza riguarda i tempi di operatività della Commissione di vigilanza, i quali sono sicuramente in linea con i tempi impiegati, attraverso i loro provvedimenti, dalle altre autorità di vigilanza, con possibili funzioni di regolazione del mercato finanziario. Per quanto riguarda le garanzie, occorre rilevare che quelle di trasparenza del sistema dei fondi pensione complessivamente considerati e le garanzie di informazione del singolo aderente a


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tali fondi sono ormai nel nostro paese ad una soglia sicuramente competitiva rispetto alle garanzie offerte sullo stesso piano dalla disciplina regolamentare di altri paesi.
Si è avviata l'attività di vigilanza; la cooperazione con le altre autorità di vigilanza ha conseguito risultati utili; la Commissione di vigilanza - e questo mi sembra rilevante - ha osservato costantemente il limite della sua competenza istituzionale, lasciando lontana da sé qualsiasi forma o qualsiasi possibile tentazione di dirigismo nella sfera dei rapporti che competono all'autonomia privata dei gestori dei fondi pensione.
I provvedimenti fiscali, a questo punto, hanno una loro ricaduta sul sistema della previdenza complementare inadeguata in termini di operatività. Naturalmente, di più contano i numeri. A dicembre del 1999 i fondi pensione operanti nel nostro paese sono 895; 774 sono i fondi preesistenti alla disciplina del decreto legislativo n. 124; 121 sono i fondi pensione di nuova generazione, di cui 33 i fondi pensione chiusi; 88 i fondi pensione aperti a contribuzione definita. Pertanto, se il sistema richiede completamenti del pubblico impiego per quanto riguarda la previdenza complementare e, sul lato dei fondi pensione aperti, il completamento della disciplina dei fondi pensione aperti a prestazione definita (cosa che questa Commissione ha ripetutamente domandato all'autorità di Governo), ebbene, se occorrono questi completamenti, tuttavia i provvedimenti fiscali possono adesso misurare la loro incidenza su un settore entrato in una fase di operosità e di operatività che si constata in modo ancora più puntuale se si guarda al sistema dei fondi pensione chiusi operanti nei settori del lavoro privato, del lavoro dipendente, del comparto del lavoro autonomo, dell'attività di professionisti liberi e di soci di società cooperative. L'insieme dei fondi pensione chiusi, di cui dicevo, interessa ormai operativamente qualcosa come 12 milioni di lavoratori; va poi rimarcato che l'articolazione del settore comprende fondi pensione di settori decisivi della grande industria, ma anche fondi pensione che interessano la media e piccola impresa. Tale articolazione riguarda la dimensione nazionale della previdenza complementare, ma anche episodi significativi di previdenza complementare pensata a misura di territorio: non soltanto i fondi pensione di regioni a statuto speciale, ma qualche esperienza di fondo pensione a base territoriale è stata già fatta per regioni a statuto ordinario.
Se si guarda al numero delle adesioni si constata che per i fondi pensione per i quali questa valutazione è significativa - cioè i fondi pensione negoziali che, oltre ad operare la raccolta delle adesioni già operano anche la raccolta dei contributi previdenziali - la soglia delle adesioni è attorno al 27 per cento della complessiva popolazione dei destinatari del fondo pensione. Da ciò deriva un indicatore di segno positivo e un indicatore che invece legittima una qualche preoccupazione.
Per quanto riguarda l'indicatore di segno positivo, se si considera che l'esperienza di previdenza complementare di nuova generazione è fenomeno recente, se si considera che il peso della contribuzione obbligatoria a regime pensionistico è di primo pilastro, una soglia di adesione attorno al 27 per cento va considerata positivamente. Tuttavia la Commissione riscontra che, a fronte di questi risultati di segno positivo, esistono anche indicatori che suscitano perplessità, perché esistono fondi pensione chiusi che incontrano difficoltà notevoli nel raccogliere le adesioni e questo è il segno, per l'appunto, della necessità di una incentivazione di carattere forte.
D'altra parte, l'indicazione di segno congiuntamente positivo e negativo riguarda anche il comparto dei fondi pensione aperti, il cui numero è assolutamente elevato (88 fondi pensione aperti entrati in operatività) a fronte di un'offerta di mercato molto varia dei fondi pensione policomparto, dei fondi pensione attivati da imprese assicurative, da enti creditizi, da società di gestione del risparmio. Ebbene, a questa offerta di mercato, che dovrebbe risultare notevolmente competitiva


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rispetto alle alternative date ai risparmiatori interessati a perseguire finalità previdenziali, fa riscontro un flusso di risorse finanziarie ancora contenuto e un limitato numero di adesioni.
Sono dati che tanto più devono far riflettere quanto più si considera che il risultato della gestione finanziaria dei fondi pensione chiusi e dei fondi pensione aperti nella fase storica recente è stato di segno decisamente positivo.
Questo scenario complessivo indica con chiarezza la necessità di una strategia di intervento di sostegno della previdenza complementare che ha appunto nella disciplina fiscale il suo primo referente fondamentale e che avrà il suo secondo punto di riferimento nella disciplina attesa sulla possibilità di acquisizione del TFR alle risorse finanziarie dei fondi pensione. Se dallo sguardo di sistema si passa ad una valutazione della posizione dei singoli aderenti ai fondi pensione, occorre dire che l'entità della contribuzione, notevolmente limitata, in assenza di un regime fiscale di incentivazione non riesce a prefigurare, per l'aderente potenziale ai fondi pensione, un risultato davvero compensativo di quanto di meno si può temere di attendere dal sistema pensionistico pubblico. Questo conferma la centralità dei provvedimenti che si vanno assumendo in materia fiscale, per i quali la Commissione esprime un motivato apprezzamento invitando tuttavia a considerare se, in una prospettiva più lontana di quanto sia l'imminente riforma del regime fiscale, ma non così lontana da pregiudicare l'andamento complessivo del sistema, non sia possibile pensare ad una ulteriore serie di misure di incentivazione fiscale riferite ai lavoratori di giovane generazione, che sono la fascia di appartenenti al mondo del lavoro che comprensibilmente incontra maggiori difficoltà nell'accesso alla previdenza complementare, essendo la contribuzione tanto più onerosa quanto più si tratti di lavoratori di giovane generazione, che possono riservare al loro futuro pensionistico una quota di reddito contenuta.
In tale quadro, la Commissione esprime un apprezzamento convinto per i contenuti dell'articolo di apertura dello schema di decreto legislativo, in cui si opera un'incentivazione significativa delle adesioni, essendo la soglia delle riduzioni fiscali relative alla contribuzione a fondi pensione notevolmente elevata. La Commissione rileva che occorre tuttavia verificare, con riferimento ad ogni singola fattispecie, i risultati conseguenti al rapporto che la norma istituisce tra deducibilità fiscale e vincolo di destinazione di quote del TFR alla forma pensionistica complementare. Mi sembra che questo profilo sia già fortemente all'attenzione della Commissione finanze, come è emerso anche dall'intervento introduttivo del presidente.
La Commissione esprime un apprezzamento senza riserve nei confronti della disposizione dell'articolo 5 del decreto, che opera una motivata estensione ai fondi pensione del regime fiscale già operante per gli organismi di investimento collettivo del risparmio. In questo senso, va considerato il particolare valore della finalità previdenziale e sono perciò da condividere le valutazioni di quanti ritengono che occorra stabilire, per il fondo pensione, una consistente riduzione dell'aliquota delle imposte, in quanto non è sufficiente un'equiparazione del trattamento fiscale del fondo pensione alle forme di gestione collettiva del risparmio ma è necessario un intervento sull'aliquota che consenta davvero al fondo pensione di ricevere quel trattamento privilegiato in senso tecnico di cui parlavo all'inizio.
Esprimiamo consenso anche con riferimento alla disciplina contenuta negli articoli 10 ed 11 del decreto. In un sistema perfettamente a regime occorrerebbe ancora più, ma è già molto importante che con la nuova disciplina si escluda che l'imposizione fiscale possa gravare sul percettore delle prestazioni per la parte già incisa in sede di tassazione dei rendimenti conseguiti nella fase di gestione del patrimonio del fondo pensione. La rimozione di questa forma di


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doppia imposizione costituisce un progresso significativo e, per la verità, esclude anche obiezioni altrimenti motivate alla coerenza di una disciplina fiscale che risulterebbe penalizzante. Con riguardo invece alla parte fiscalmente incisa, bisogna domandarsi se, nella prospettiva di ulteriori riforme, non possa prospettarsi un regime fiscale di ancor maggiore favore per talune categorie di lavoratori potenzialmente aderenti ai fondi pensione che siano particolarmente meritevoli di protezione sociale, e comunque per la categoria indistinta dei lavoratori di nuova generazione, che per definizione sono una categoria sociale meritevole di un'accentuata protezione. Tutto questo, naturalmente, si pone sul piano della politica legislativa, e perciò di valutazioni che non competono più di tanto alla Commissione di vigilanza.
A tale Commissione compete invece una valutazione sulle integrazioni che si apportano al decreto legislativo n. 124 con l'introduzione di un articolo 9-bis e di un articolo 9-ter. L'apertura del sistema a forme pensionistiche individuali è una grande riforma di sistema, forse anche maggiore di quanto una prima analisi abbia consentito di valutare in linea generale, tanto più se si considera la possibilità di ricorso a questa forma pensionistica individuale anche per i soggetti non titolari di reddito di lavoro o di impresa. Ciò pone la forma pensionistica individuale al punto di confine della previdenza complementare nell'accezione tradizionale del termine.
Posto che questa fosse la linea di politica del diritto prefigurata dalla normativa di delega e concretata dal decreto governativo, alla Commissione sembra che questa nuova forma pensionistica sia strumentata in modo adeguato, anche per quanto riguarda alcuni particolari della disciplina, per esempio la facoltà del contraente di proseguire volontariamente nella partecipazione al fondo, considerato che questa prestazione potrebbe essere anche l'unica alla quale il contraente stesso accede. Così come sembra persuasiva l'articolazione del regime nel piano pensionistico individuale nella forma dell'adesione al fondo pensione aperto e nel piano pensionistico individuale nella forma della sottoscrizione di contratti di assicurazione sulla vita. Entrambe le ipotesi impegnano la Commissione di vigilanza ad un supplemento di attività e ad un'ulteriore integrazione della disciplina regolamentare del settore, che rinvia alla necessità di un incremento delle risorse della Commissione di vigilanza per far fronte a responsabilità istituzionali progressivamente crescenti.
Al di là di questo, il risultato prefigurato dal decreto riscuote il convinto apprezzamento della Commissione di vigilanza anche per quanto riguarda l'articolazione delle sfere di competenza. Posto che la forma pensionistica individuale, con tutte le sue significative atipicità, rientra pur sempre nel sistema della previdenza complementare, si spiega che non soltanto l'articolo 9-bis, ma anche l'articolo 9-ter prevede una competenza congiunta, che riguarda la Commissione di vigilanza e l'ISVAP e, nello stesso tempo, la Commissione di vigilanza, la Consob e l'ISVAP laddove si tratti di garantire un'adeguata informazione dei potenziali aderenti. La Commissione non ritiene che la previsione di una concertazione tra Commissione di vigilanza e ISVAP - quanto al rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita - costituisca un intersecarsi di competenze amministrative tale da pregiudicare il buon andamento del settore, perché tra Commissione di vigilanza ed ISVAP già su altri terreni si sono attuate forme di cooperazione che hanno consentito di realizzare il risultato di un regime utile in tempi dell'agire amministrativo considerevolmente brevi.
In ogni caso, è importante la previsione del terzo comma del nuovo articolo 9-ter, laddove si richiede all'ISVAP un'intesa non soltanto con la Commissione di vigilanza (il che è tecnicamente dovuto, data l'appartenenza delle forme pensionistiche individuali al comparto della previdenza complementare), ma anche con la CONSOB,


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in modo da garantire che la soglia di trasparenza per il potenziale aderente a contratti di questa natura sia la più elevata possibile. Mi sono interrogato a lungo sul secondo comma dell'articolo 9-ter, laddove si prevede che competa alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione l'individuazione dei criteri di attuazione e di regolamentazione di quanto previsto dall'articolo 9-ter del decreto legislativo n. 124. La Commissione, naturalmente con il contributo dei suoi funzionari, ha provveduto a compiere una riflessione particolare su questo tema. L'esito di questa riflessione è che anche la previsione del secondo comma dell'articolo 9-ter sia opportuna, perché la competenza normativa della Commissione di vigilanza si giustifica nella misura in cui anche questa particolare forma pensionistica mediante contratti di assicurazione sulla vita appartiene al sistema della previdenza complementare, in modo che la coerenza d'insieme del sistema vuole che la Commissione di vigilanza non sia esclusa dalla fattispecie e dalla disciplina della stessa in via regolamentare. Questo naturalmente comporterà un ulteriore gravoso impegno per la Commissione ed ancora una volta rinvia al tema della forza operativa della stessa: ma questo tema non è oggetto dell'audizione odierna e, d'altra parte, la Commissione di vigilanza ha ricevuto segni importanti della sensibilità di questa Commissione parlamentare su di esso.

PRESIDENTE. Vorrei sapere se esistono dati più specifici sulle adesioni ai fondi pensione dei giovani e se vi è un comportamento omogeneo tra fondi aperti, fondi chiusi, fondi di categoria e fondi regionali. Vorrei inoltre sapere qual è la partecipazione dei giovani, anche tenendo conto dell'età media dei lavoratori occupati, che nell'industria metalmeccanica, per esempio, è più alta rispetto ad altre industrie.

MARIO BESSONE, Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Farò solo qualche considerazione molto breve e non perfettamente tecnica; invito i funzionari ad essere più precisi.
La mia opinione personale è che in sede di attuazione della delega difficilmente si possano trovare spazi per un provvedimento finalizzato all'incentivazione delle adesioni dei lavoratori di giovane generazione. Ritengo peraltro significativo che questo tema sia già emerso in alcune delle audizioni che questa Commissione ha svolto e che l'indicazione sia venuta da soggetti che hanno sicuramente un'elevata sensibilità sociale, peraltro non maggiore di quella della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Penso che sia difficile offrire precisazioni sulle adesioni ai fondi pensione aperti, non essendovi ancora una quantificazione di dati rappresentativi. È invece possibile dare un'indicazione per quanto riguarda i fondi pensione chiusi, che tra l'altro, da questo angolo di osservazione, costituiscono il tema di maggiore rilievo.
Quando ho parlato del particolare rilievo delle incentivazioni fiscali intendevo dire (vorrei ripeterlo in termini meno formali) che per il lavoratore di giovane generazione si combinano tre elementi, che vanno nella medesima direzione. Anzitutto, una minore capacità di attrazione da parte delle fonti istitutive, cioè delle organizzazioni sindacali, che riescono a conseguire un ascolto maggiore presso i lavoratori appartenenti a generazioni anziane, che hanno un grado di sindacalizzazione più elevato; nello stesso tempo, è comprensibile che i lavoratori giovani abbiano una percezione meno viva dei problemi della terza età. Sicuramente in questa materia pesa molto il fatto che, nonostante le insistenze della Commissione di vigilanza (ma non soltanto di essa), non sia stato possibile attivare una campagna di informazione su scala di massa per i temi della previdenza complementare, come invece si è potuto fare per altri temi, anch'essi molto importanti ma, se non ho un'ottica deformata di settore, di rilievo comparativamente inferiore rispetto al tema della previdenza complementare.


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Infine, occorre considerare che le esigenze di vita dei lavoratori giovani sono maggiori di quelle delle generazioni di altra classe di età, per cui la tendenza a non sottrarre un'ulteriore quota di reddito ai consumi della famiglia è più che comprensibile. Da ciò la rilevanza di misure fiscali che riguardino in modo particolare le generazioni giovani.

MASSIMO ANTICHI, Funzionario della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. La Commissione sta seguendo questo problema. Dall'ultima rilevazione, che data 30 settembre 1999, risulta che, se in media, come osservava il presidente, l'adesione ai fondi negoziali si può ritenere soddisfacente, i comportamenti sono tuttavia differenziati.
Rispetto sia all'età che all'anzianità contributiva noi rileviamo la seguente contraddizione. Vi è sicuramente un'attenzione da parte dei soggetti la cui anzianità contributiva, all'epoca della riforma del 1995, era inferiore ai 18 anni (che sono poi i beneficiari del sistema contributivo pro rata), nel senso che, rispetto all'universo dei lavoratori dipendenti, registriamo una maggiore propensione all'adesione ai fondi negoziali. I soggetti con meno di 18 anni di anzianità contributiva rappresentano sostanzialmente il 70 per cento del totale degli iscritti, mentre nell'universo dei lavoratori dipendenti rappresentano circa la metà. Tuttavia, i più giovani, in particolare quelli con meno di 30 anni, sono scarsamente rappresentati; ulteriormente sottorappresentato rispetto all'universo in questione è il sesso femminile. Non dobbiamo naturalmente dimenticare che i giovani, rispetto al totale degli occupati, sono una minoranza e che, tra l'altro, hanno contratti part time o forme contrattuali atipiche. Questo, pertanto, non deve sorprendere; tuttavia, si registra questa diversità di comportamenti, in alcuni casi giustificata da previsioni contrattuali (per esempio, il contratto dei metalmeccanici) che escludono la possibilità da parte dei titolari di contratti a tempo determinato di aderire ai fondi pensione.
Personalmente ritengo che il problema sia legato all'onerosità del TFR, in quanto la vecchia disciplina prevedeva che dovesse essere trasferito integralmente ai fondi pensione. Questo probabilmente opera come disincentivo all'adesione dei giovani ai fondi pensione. Sappiamo che è in preparazione un provvedimento del Governo, riguardante la devoluzione semiautomatica del TFR ai fondi pensione, che dovrebbe risolvere questo problema; tuttavia, la vostra impressione è corretta. Non è vero, quindi, che rispetto al problema della «miopia» previdenziale non vi sia attenzione da parte dei soggetti interessati; si riscontra peraltro una contraddizione con riferimento ai lavoratori più giovani ed in particolare a quelli di sesso femminile.

PRESIDENTE. Vorrei rivolgere anch'io una domanda: c'è una differenza di comportamenti tra i fondi di categoria ed i fondi territoriali, come quello della regione Veneto?

MASSIMO ANTICHI, Funzionario della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Quello di cui ho parlato è un fenomeno generale; si registra poi una maggiore difficoltà per i fondi che si dedicano agli addetti ai settori del lavoro autonomo o dell'artigianato, difficoltà dovuta alla frammentazione degli stessi addetti al settore. Vi è cioè una minore aggregazione rispetto a fenomeni industriali, anche microdiffusi, e quindi una scarsa capacità da parte dei promotori del fondo di cooptare i soggetti.

CARLO PACE. Mi rendo conto che l'esperienza fatta finora del lavoro «in affitto» è molto breve e quindi non so se sarà possibile rispondere alla domanda che intendo porre; tuttavia, mi interesserebbe sapere, ove fosse possibile reperire i dati, quali adesioni si riscontrano - in relazione all'universo del lavoro «in affitto» - rispetto agli altri comparti. Vorrei sapere se, nel caso specifico, vi è un qualche elemento di differenza oppure se


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sostanzialmente le differenze sono riconducibili a fatti meramente casuali e non sistematici.

PRESIDENTE. È possibile avere una stima dell'entità dei fondi raccolti? Personalmente, ne conosco qualcuna, come quella relativa ai metalmeccanici; tuttavia, vorrei conoscere altri dati. Quanti sono i soggetti rispetto al potenziale dei 12 milioni?

ROBERTO PINZA. Presidente Bessone, in termini percentuali, quando voi fate le vostre valutazioni, riveste un'importanza particolare la dimensione aziendale? Se vi è un'adesione del 50 per cento, tale percentuale si registra identica sia nelle aziende composte da 20-30-40 dipendenti sia nelle aziende composte da 2-3-4 mila dipendenti? Gioca la dimensione aziendale?

MARIO BESSONE, Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. In verità, non esistono ancora dati significativi, sia perché si tratta di un fenomeno recente, sia perché la previdenza complementare talvolta non è presente nel comparto del lavoro al quale la domanda dell'onorevole Pace faceva riferimento. Sicuramente il dottor Rinaldi potrà essere più preciso.

AMBROGIO RINALDI, Funzionario della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Come già diceva il collega Antichi, la partecipazione ai fondi pensione di soggetti con forme di rapporti di lavoro atipico, non a tempo indeterminato, quali anche l'interinale, è un fenomeno ancora marginale che non è rilevato e soprattutto in molti casi è escluso dal fatto che le fonti istitutive dei fondi pensione non prevedono queste forme di lavoro atipico o interinale.

CARLO PACE. Il che può porre un problema. Se volessero cominciare dall'inizio incontrerebbero ostacoli.

AMBROGIO RINALDI, Funzionario della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Non c'è dubbio.
Per quanto riguarda, invece, l'ammontare delle risorse affluite ai fondi pensione, per i fondi negoziali la stima (sono dati di fine settembre 1999) è dell'ordine di 800 miliardi, mentre per i fondi aperti (quelli, cioè, istituiti da banche, assicurazioni e così via) la stima è dell'ordine di 200 miliardi. Ci aspettiamo che questa seconda cifra sia nel frattempo cresciuta, perché di solito nell'ultimo periodo dell'anno si concentra la maggior parte delle adesioni.

MARIO BESSONE, Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. È comunque indicativo il dato che riguarda i fondi pensione aperti. Infatti, mentre per il fondo pensione chiuso entrano in gioco fattori di natura più complessa (appartenenza di categoria, solidarietà collettiva, capacità di impulso laddove ci sono fonti istitutive, come imprese e sindacati), il fondo pensione aperto offre sul mercato una pura e semplice forma di investimento finanziario che deve competere con le altre possibili forme di investimento finanziario con finalità previdenziale che ci sono e che sono numerose.
Allora la competizione può essere soltanto in una valutazione sul punto di equilibrio fra rischio di investimento e rendimento della gestione. Posto che non ci sono motivi teorici per ritenere che la gestione del fondo pensione aperto sia supercompetitiva rispetto alla gestione del fondo comune di investimento o altro, tanto più se si intende incrementare la previdenza complementare, occorre assicurare il beneficio supplementare dell'incentivazione fiscale, costituito da un regime fiscale di sostegno e in qualche misura di privilegio.
Questa è la realtà delle cose. Il dato, relativamente contenuto, della crescita del settore dei fondi pensione aperti deve far riflettere: non si tratta di una scadente offerta di mercato, bensì di un'offerta di mercato molto articolata (i fondi pensione aperti monocomparto sono in numero


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esiguo) e a misura dell'esigenza di possibili classi di investitore-famiglia interessate all'utilizzo dello strumento. Pertanto, la cifra di 200 miliardi, citata dal dottor Rinaldi, è solo un indicatore di segno negativo che deve far riflettere; è la riprova della necessità di una politica fiscale di incentivazione forte.

FERDINANDO MONTALDI, Funzionario della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Premetto che le nostre rilevazioni sui tassi di adesione sono in parte limitate, in quanto si focalizzano soprattutto su sei fondi negoziali che a tutt'oggi raccolgono adesioni e contribuzioni.
Per quanto riguarda il rapporto tra dimensione aziendale e tassi di adesione registrati, possiamo rilevare che all'interno dello stesso fondo di riferimento (il fondo del settore chimico o quello del settore metalmeccanico) vi è una tendenziale differenza tra il tasso di adesione nelle aziende medio-grandi e quello nelle piccole e medie imprese. Nel primo caso i tassi di adesione sono in media più elevati. Credo che questo sia dovuto soprattutto al fenomeno che ricordava precedentemente il professor Bessone, ossia alla difficoltà di veicolare le informazioni e di sensibilizzare i lavoratori laddove il tessuto produttivo è più frammentato. Valutazioni e dati più precisi sull'adesione ai fondi che si rivolgono esclusivamente a settori della piccola e media impresa si potranno avere da qui ad un periodo successivo, quando alcuni dei fondi rilevanti (mi riferisco al fondo che si rivolge essenzialmente alla piccola e media impresa, che è stato recentemente autorizzato e che riguarda i dipendenti del settore dell'artigianato) potranno dare i primi risultati in termini di tassi di adesione. Ripeto che all'interno degli stessi fondi di riferimento si riscontra una differenziazione, che si ritiene sia dovuta principalmente alla difficoltà di veicolare le informazioni e di sensibilizzare i lavoratori.

ROBERTO PINZA. Da questa audizione è emersa la necessità di creare un «tappeto» di comunicazione: più la situazione è piccola e lontana, meno arriva l'esigenza. Dico questo perché, quando formuleremo il parere finale, nulla vieterà di prevedere un capoverso che impegni ad usare gli strumenti di comunicazione pubblica per dare la sensazione che questo è un passo decisivo.
Il professor Bessone è uomo di grande esperienza ed ha gestito con notevoli capacità un settore molto difficile; credo quindi che si sarà fatto un'idea ben precisa. Siamo di fronte ad una scelta di politica legislativa: un'operazione crash o un'operazione di accompagnamento. Le operazioni di accompagnamento si realizzano a forza di meno uno; le operazioni crash distinguendo nettamente quello che si sta facendo ed intervenendo robustamente. Allo stato attuale, lei ritiene che occorra un'accelerazione brusca attraverso misure significative oppure che bisogna rassegnarsi ad una progressione graduale e un po' lenta nel tempo attraverso misure di accompagnamento?

MARIO BESSONE, Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. A titolo personale ho delle idee molto precise al riguardo.
Una politica che complessivamente operi in sostegno della previdenza complementare, ma con misura, è una politica che rinuncia a pensare alla previdenza complementare in termini di grande risposta ad un grande problema del paese. Naturalmente, questa è una valutazione politica legittima, perché i problemi del paese sono complessivi e non esiste solo la questione previdenziale.
Se davvero si pensa che la previdenza complementare sia la risposta politicamente giusta alla crisi del sistema pensionistico pubblico e che il fondo pensione, l'investitore istituzionale, sia la risposta ai problemi di spessore e di stabilità dei mercati finanziari, allora occorre (per adoperare il suo modo diretto di rappresentare il problema) una politica di incentivazione che sia la più forte. Al momento, infatti, la mia convinzione personale è la seguente. Per il risparmiatore-famiglia


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l'esigenza di un investimento con finalità previdenziali che contenga gli effetti negativi della crisi del sistema pensionistico pubblico esiste e sarà comunque soddisfatta; naturalmente, il mercato finanziario offrirà ed offre già oggi un numero elevato di strumenti per realizzare quella finalità. Se si ritiene che tale finalità debba essere attuata attraverso la previdenza complementare, allora occorre una politica di impulso molto forte su tutti i lati: sul lato del trattamento fiscale, sul lato dell'acquisizione delle risorse del TFR, sul lato delle riforme di sistema dell'organizzazione pubblica di vigilanza sulla previdenza complementare. Una politica di passo lento verosimilmente, nel medio periodo, avrebbe come risultato l'espansione non della previdenza complementare ma di forme alternative di tutela pensionistica complementare degli italiani. Infatti, non devo essere io a dire a lei, perché lei lo insegna a me, che il mercato finanziario, in Italia ed in Europa, è perfettamente attrezzato, già oggi, per offrire alternative di portafoglio, che sono legittime e sono precisamente ciò che ci si attende da un mercato finanziario.
Il problema politico è se si ritiene che la direzione debba essere quella oppure un'altra. La forma pensionistica individuale, in questo senso, è al punto di confine tra le due azioni di politica legislativa, perché configura una forma pensionistica complementare e, tuttavia, la configura già con gli strumenti più congeniali al mercato finanziario (adesione individuale al fondo pensione aperto e contratto assicurativo con finalità previdenziali). La decisione è puramente politica: se la decisione politica è che la previdenza complementare sia la soluzione di un problema del paese, allora queste norme di riforma di regime sono soltanto il primo passo.

SALVATORE BIASCO. Ho ascoltato con interesse l'audizione e vorrei un chiarimento su un problema che in qualche modo mi tormenta, perché l'inquadramento dei fondi pensione varia a seconda della risposta.
Secondo la valutazione della Commissione di vigilanza, l'adesione al fondo pensione aumenta la propensione al risparmio degli aderenti oppure è soltanto una ricollocazione di portafoglio? Se la risposta è negativa, la retorica sull'ispessimento dei mercati finanziari non ha senso e l'urgenza delle agevolazioni si pone in modo diverso da come viene posta nella pubblicistica, perché si tratta soltanto di una ricollocazione. Certo, i fondi pensione danno più stabilità e sicurezza, sono più finalizzati allo scopo; però si tratta semplicemente di una distrazione di un impiego di portafoglio da una forma finanziaria ad un'altra, da un «fai da te» ad un modo più organizzato. Se invece aumenta la propensione al risparmio, quindi il risparmio complessivo, il discorso è completamente diverso. Non so se potete darmi una risposta su questo punto; quello che ho trovato in letteratura non è convincente, né in una direzione né nell'altra.

MARIO BESSONE, Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Il presidente Benvenuto mi invita alla brevità e quindi lei mi perdonerà se la risposta sarà molto concisa e schematica.
A fronte del reddito della famiglia, una quota non può che essere spesa, mentre l'altra quota è comunque investimento di risparmio. Aderire al fondo pensione significa scegliere che l'investimento di risparmio - e cioè l'acquisto di un portafoglio finanziario - accetti il vincolo della indisponibilità di lungo periodo, che è una passività, per conseguire un risultato pensionistico e perciò un impiego di portafoglio di carattere assolutamente particolare.
Se è così, l'adesione al fondo pensione non incrementa, a mio avviso, la quantità del risparmio investito dagli italiani, ma ne modifica la qualità, perché una parte di questo risparmio, quello che va ai fondi pensione, è ricchezza finanziaria sottratta alla disponibilità del titolare della ricchezza stessa per un periodo di tempo molto lungo. Questa è una modificazione


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strutturale dell'economia finanziaria del paese: di segno positivo oppure negativo? Di segno positivo nella misura in cui si pensa - ed io lo penso - che una stabilità delle politiche di portafoglio costituisca un valore positivo per l'economia finanziaria del paese. Se l'adesione ai fondi pensione risolve il problema pensionistico di un certo numero di milioni di italiani, il paese, complessivamente considerato, si trova davanti ad una questione pensionistica che continua ad essere molto grave ma non così grave per l'effetto di contenimento della crisi che un sistema di previdenza complementare sicuramente può garantire.

PRESIDENTE. Ringraziando il presidente Bessone, anche a nome di tutta la Commissione, per i dati che ci ha forniti e per le valutazioni integrative che vorrà farci pervenire in seguito, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11.10.

 

 

La seduta comincia alle 11.15

Audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, dell'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP), sulle questioni connesse allo schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
(Svolgimento e conclusione).

Giorgio BENVENUTO, presidente, propone che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante la trasmissione audiovisiva a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Svolge quindi un intervento introduttivo.

Il professor Giovanni MANGHETTI, presidente dell'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP), svolge una relazione sui temi oggetto dell'audizione.

Intervengono il presidente Giorgio BENVENUTO, e i deputati Carlo PACE (AN) e Salvatore BIASCO (DS-U).

Replica il professor Giovanni MANGHETTI e la dottoressa Giuliana GAMBI, funzionario dell'istituto.

Giorgio BENVENUTO, presidente, dichiara conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11.35.

N.B.: Il resoconto stenografico dell'audizione sarà pubblicato in un fascicolo a parte.

 

AUDIZIONE


Seduta di martedì 1° febbraio 2000


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La seduta comincia alle 11.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni rimane stabilito che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dell'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP), sulle questioni connesse allo schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione dell'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP), sulle questioni connesse allo schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
Ringrazio il presidente, professor Giovanni Manghetti, ed i funzionari dell'ISVAP qui presenti per aver aderito al nostro invito. Conoscete la situazione ed i pareri che abbiamo raccolto finora nel corso delle audizioni informali. Il dibattito in Commissione sul decreto legislativo si è finora limitato alla relazione introduttiva; desideriamo ora conoscere le vostre valutazioni critiche ed anche i vostri suggerimenti sulla proposta del Governo.
Do quindi la parola al presidente dell'ISVAP.

GIOVANNI MANGHETTI, Presidente dell'ISVAP. È con molto piacere che torno in quest'aula dopo l'audizione sulle assicurazioni RC auto. Sono oggi qui con me il dirigente responsabile del servizio persone, dottor Torri, e due funzionari esperti in materia fiscale e pensionistica, la dottoressa Gambi e il dottor Mattei.
Devo innanzitutto osservare che il numero degli aderenti ai fondi pensione e la conseguente raccolta dei contributi, come immagino risulti anche alla Commissione, per quanto riguarda sia i lavoratori dipendenti sia quelli autonomi, è al momento del tutto demoralizzante. I dati sono talmente esigui da far rabbrividire. La cifra degli iscritti al fondo pensione ammontava, al 30 settembre 1999, a circa 84 mila unità per un attivo netto gestito che non raggiungeva i 200 miliardi di lire. Con riferimento ai fondi negoziali, alla stessa data il rapporto tra numero degli iscritti e potenziali aderenti era del 27,1 per cento, con un incremento di solo due punti rispetto al 31 dicembre 1998 e per un ammontare di contributi raccolti di 508 miliardi di lire. Tanto i fondi pensione quanto i fondi negoziali non sono decollati. Il decreto legislativo va dunque esaminato in relazione agli effetti che potrà produrre per un loro sostanziale incentivo. La riforma del sistema fiscale potrebbe costituire un incentivo allo sviluppo della previdenza complementare. Non essendo compito istituzionale dell'autorità di controllo del settore assicurativo sollevare altre problematiche e spunti di riflessione contenuti nel decreto legislativo n. 124 del 1993, mi limiterò ad una riflessione di carattere generale e ad un breve riferimento ad uno specifico fondo a prestazione definita.


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Il mio intervento toccherà due aree specifiche: le problematiche autorizzatorie e di trasparenza; il regime fiscale dei fondi pensione a prestazione definita. Per quanto riguarda il primo aspetto, l'articolo 2, che inserisce nel decreto legislativo n. 124 l'articolo 9-ter, disciplina, nell'ambito delle forme pensionistiche individuali, il ricorso a contratti di assicurazione sulla vita. È stato previsto il rilascio di una autorizzazione all'esercizio delle forme pensionistiche individuali da attuarsi mediante ricorso a contratti di assicurazione rilasciati dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione d'intesa con l'ISVAP. La soluzione adottata non è condivisibile per una serie di motivi ed appare debole sotto tutti i punti di vista. Innanzitutto l'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa, se intesa come disciplina delle condizioni di accesso, è già regolamentata dalla normativa assicurativa, la quale peraltro attribuisce la relativa competenza all'ISVAP. Se invece l'espressione «autorizzazione all'esercizio» intende fare riferimento ad un obbligo di preventiva autorizzazione dei relativi prodotti, tale disposizione è in contrasto con i principi giuridici di derivazione comunitaria, che non consentono di imporre la preventiva approvazione. Tenete presente che neppure l'ISVAP autorizza gli attuali contratti di assicurazione, i prodotti assicurativi da immettere sul mercato. Ove invece con l'espressione «preventiva autorizzazione» si sia inteso richiamare per le polizze di assicurazione sulla vita le stesse caratteristiche fissate per i fondi pensione aperti sarebbe sufficiente il semplice rinvio all'articolo 9-bis.
In merito all'obbligo previsto dal comma 3 dell'articolo 9-ter di comunicare al contraente le informazioni che saranno stabilite dall'ISVAP d'intesa con la Commissione di vigilanza sui fondi pensione e con la CONSOB, anche in questo caso esiste già un obbligo di comunicazione attraverso una nota informativa. Basterebbe incrementare la disciplina esistente con quanto contenuto nel decreto legislativo senza prefigurare la diffusione di due note informative. Si tratterebbe di un intervento di buonsenso perché l'utente potrebbe ricevere una sola nota informativa. Infine, il comma 2 dell'articolo 9-ter fa riferimento a criteri di attuazione e regolamentazione; non si comprendono scopi e finalità dell'emanazione da parte della Commissione di vigilanza sui fondi pensione di criteri di attuazione e di regolamentazione «di quanto previsto all'articolo 9-ter». Trattandosi di un'attività svolta da imprese di assicurazione, sarebbe stato opportuno prevedere che provvedesse l'ISVAP, eventualmente d'intesa con la Commissione di vigilanza.
Per quanto riguarda il regime fiscale dei fondi pensione a prestazione definita, come ho già detto l'avvio è stato demoralizzante per numero e per raccolta. Devo aggiungere che i fondi a prestazione definita non sono stati neppure «battezzati»: non sappiamo ancora quale natura abbiano. Si tratta di contratti di assicurazione ove la società assume il rischio finanziario e demografico di pagare una rendita ai lavoratori autonomi (notai, dentisti, ragionieri e così via). Interessando una fascia di lavoratori a reddito medio-alto, se tali fondi fossero partiti in tempo avrebbero potuto costituire un punto di riferimento per il mercato. Ai fondi a prestazione definita si riconosce lo stesso regime fiscale di quelli a contribuzione definita, introducendo così una differenziazione rispetto ai contratti di assicurazione. Si tratta pertanto di stabilire come considerarli. L'ISVAP sostiene che si tratti di contratti di assicurazione che, come tali, sotto il profilo fiscale devono seguire la stessa sorte di questi ultimi. Il decreto li assimila invece ai fondi a contribuzione definita, come se fossero a pura gestione finanziaria. Abbiamo compiuto una simulazione applicando ai fondi le due tassazioni, quella riferita ai contratti di assicurazione e quella legata alla contribuzione definita; dall'esperimento emerge che il bilancio pubblico si assicurerebbe un maggiore gettito se si applicasse ai fondi la fiscalità dei contratti assicurativi (le assicurazioni potrebbero a questo punto eccepire di essere tassate maggiormente),


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anche se ci rendiamo conto che ciò potrebbe comportare un problema di armonizzazione.
Vi è infine un'ultima questione piuttosto rilevante. Ci siamo chiesti quali siano le possibilità per il lavoratore dipendente di versare autonomamente i propri contributi ad un fondo aperto ove il TFR versato fosse inferiore ai limiti di deducibilità. È un problema al quale non abbiamo voluto dare risposta ma che emerge dal decreto legislativo.

PRESIDENTE. Sarebbe utile conoscere la vostra opinione in merito alla scarsa propensione dei giovani ad essere parte attiva in questo campo. Si tratta di un interrogativo che abbiamo posto anche nel corso della precedente audizione e sappiamo che esistono ragioni obiettive; anche se la delega non lo prevede, è stata indicata la possibilità di introdurre misure particolari che possano favorire i giovani ed indurli ad utilizzare questi strumenti.

GIOVANNI MANGHETTI, Presidente dell'ISVAP. Avete colto uno dei motivi del mancato avvio dei fondi pensione aperti e dei fondi negoziali. La scarsa attitudine dei giovani a dirottare proprie risorse verso forme di risparmio previdenziale rappresenta una giusta preoccupazione della Commissione. La situazione va affrontata anche con incentivi particolari. Non abbiamo svolto in proposito riflessioni specifiche, ma non vi è dubbio che cogliamo il distacco dei giovani anche nell'attività assicurativa legata al cosiddetto terzo pilastro. Registriamo sì una crescita del ramo vita in generale, ma non delle sottoscrizioni di contratti di assicurazione da parte dei giovani. Qualsiasi incentivo che possa spingere i giovani ad avvicinarsi al mondo delle assicurazioni non può quindi che essere considerato utile al fine dell'avvio dei fondi pensione.

GIULIANA GAMBI, Funzionario dell'ISVAP. Vorrei aggiungere che forse uno dei motivi per cui i giovani sono poco propensi ad accedere a questi fondi può essere l'eccessiva ingessatura della prestazione, cioè il regime fiscale previsto per capitali percepiti in misura superiore ad un terzo della prestazione complessiva, ovvero una restrizione delle ipotesi in cui sia possibile chiedere un'anticipazione o un riscatto parziale per iniziative diverse da quelle già previste dalla legge. Anche l'impegno a scadenza eccessivamente lunga all'erogazione di una prestazione per la quale è troppo preponderante l'aspetto della rendita può bloccare le adesioni, soprattutto rispetto ad altre forme di previdenza collettiva che attualmente esistono sul mercato (mi riferisco alle assicurazioni previdenziali collettive) per le quali non sono stabiliti limiti così rigidi della prestazione.

SALVATORE BIASCO. Vorrei un chiarimento su un passaggio dell'intervento del professor Manghetti. Mi riferisco al punto in cui egli lamentava che il regime fiscale dei fondi a contribuzione definita fosse identico a quello dei fondi a prestazione definita, come se questi ultimi fossero di natura finanziaria. Non ho capito perché non debbono essere considerati come fondi di natura finanziaria.

GIOVANNI MANGHETTI, Presidente dell'ISVAP. Ho voluto sottolineare che, mentre i fondi a contribuzione definita sono dei fondi ad accumulo, gli altri sono fondi all'interno dei quali c'è, sin dall'inizio, un impegno ad erogare una rendita in rapporto predefinito con il reddito del lavoratore autonomo; vi è cioè all'interno sia una componente assicurativa, legata al rischio demografico, che si assume la compagnia di assicurazione, sia al rischio di carattere finanziario, che fa anch'esso capo alla compagnia di assicurazione. Mentre nella gestione dei fondi a contribuzione definita il capitale che matura alla scadenza, se avrà reso molto, consentirà di pagare una rendita più elevata, ed in questo caso il rischio è a carico della lavoratore, per i fondi a prestazione definita il rischio è tutto a carico della compagnia di assicurazione, la quale perciò si deve tutelare utilizzando tutte le tecniche di «immunizzazione» sia assicurative


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sia di tipo finanziario, di asset liability management.

SALVATORE BIASCO. Anche di questo si terrà conto nella fissazione del premio, nel senso che la compagnia di assicurazione non assume tutto il rischio su se stessa.

GIOVANNI MANGHETTI, Presidente dell'ISVAP. Certamente, il premio sarà di equilibrio rispetto ai rischi che l'impresa assume, ma la tassazione dei contratti di assicurazione che si riconducono alle stesse fattispecie deve essere autonoma e differenziata rispetto alla tassazione dei fondi a contribuzione definita. Forse (se una riflessione va fatta), occorrerebbe armonizzare il tutto. In questo caso si tratterebbe di una scelta, cioè di individuare come ipotesi fiscale quella dei fondi a contribuzione definita; rimarrebbe allora separata la tassazione sui contratti assicurativi, all'interno dei quali, a parere dell'Istituto, si collocano anche i fondi a prestazione definita.

CARLO PACE. Che verrebbero perciò penalizzati.

GIOVANNI MANGHETTI, Presidente dell'ISVAP. Sì, verrebbero penalizzati come aspetto residuale. Ho detto all'inizio che questi fondi non sono «battezzati». Non vorremmo che lo fossero secondo il rito dei testimoni di Geova, con immersione totale nell'acqua! Vorremmo che fossero considerati con un nome ed un cognome, che per noi è di tipo assicurativo.

CARLO PACE. Se fosse possibile, sarebbe utile ricevere dai rappresentanti dell'ISVAP un suggerimento, una proposta per assicurare equilibrio ed armonizzazione.

GIOVANNI MANGHETTI, Presidente dell'ISVAP. Faremo volentieri pervenire alla Commissione un documento in proposito.

PRESIDENTE. Ringraziando i nostri ospiti, con i quali ci manterremo ancora in contatto, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11.35.

 

 

 

 

 

Giovedì 3 febbraio 2000. - Presidenza del Presidente Giorgio BENVENUTO. - Interviene il Sottosegretario di Stato per le finanze Natale D'Amico.

Schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo rinviato nella seduta del 25 gennaio 2000.

Massimo Maria BERRUTI (FI) esprime in primo luogo insoddisfazione per il fatto che il provvedimento introduce gravi discriminazioni, limitando la possibilità di scegliere liberamente, secondo il proprio personale apprezzamento, le modalità più appropriate di investimento dei propri risparmi.
Infatti lo schema di decreto legislativo in esame prevede una disparità di trattamento tra gli aderenti ai cosiddetti vecchi fondi costituiti prima del 28 aprile 1993, rispetto a quelli che aderiscono ai fondi costituiti successivamente a tale data. Ai primi viene assicurata, anche per il futuro, la deduzione dei contributi nella misura versata nel 1998, sia pure entro il limite del 12 per cento; ai secondi viene invece imposto un limite di dieci milioni.
Ritiene che tale limite sia del tutto inopportuno e che non possa essere giustificato neppure sostenendo che la sua rimozione, comportando un abbattimento del gettito fiscale, contrasterebbe con evidenti ragioni di bilancio. Osserva infatti, a tale riguardo, che l'eliminazione del tetto dei dieci milioni non comporterebbe una sicura riduzione del gettito, ma si tradurrebbe piuttosto in un semplice rinvio della riscossione dell'importo, tenuto conto che le rendite che scaturiranno dalla previdenza integrativa saranno assoggettate comunque ad imposizione per la parte di reddito che non subisce tassazione nella fase di formazione del risparmio.
Sottolinea altresì che il provvedimento rischia di introdurre un'ulteriore grave forma di discriminazione a danno di quei soggetti che, non potendo aderire ai vecchi fondi, in quanto non rientranti tra i destinatari di tale forma di previdenza, né ai nuovi fondi, in quanto non ancora entrati in funzione, si sono rivolti al sistema assicurativo per stipulare polizze che consentissero alla scadenza di optare tra la corresponsione di una rendita e il pagamento di un capitale. Con le norme in vigore queste rendite sarebbero tassate solo per il 60 per cento, al fine di tenere conto dell'esigenza di evitare la doppia imposizione sul risparmio che si verrebbe altrimenti a determinare. Lo schema di decreto legislativo in esame prevede invece, all'articolo 13, l'abrogazione di tale disciplina, con la conseguenza che, in assenza di una idonea disciplina transitoria, si potrebbe mettere in dubbio perfino la detraibilità dei premi entro l'attuale limite del 19 per cento di 2,5 milioni di lire.
Ritiene che simili penalizzazioni non siano accettabili né vengano compensate dai benefici che la nuova disciplina è diretta ad introdurre. Sottolinea pertanto che, per le polizze stipulate almeno cinque anni prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, sarebbe opportuno prevedere la possibilità di conversione in polizze previdenziali, al fine di assicurare uniformità di trattamento sia nella fase di accumulo dei capitali sia nella fase di erogazione delle pensioni integrative.
Chiede, infine, che per le polizze assicurative sia comunque previsto il mantenimento del trattamento fiscale in essere, sulla base della fondamentale esigenza di non scoraggiare forme di risparmio collegate ad eventi il cui verificarsi si traduce sempre in maggiori costi sociali.

La seduta termina alle 9.15.


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ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 3 febbraio 2000. - Presidenza del Presidente Giorgio BENVENUTO. - Interviene il Sottosegretario di Stato per le finanze Natale D'Amico.

La seduta comincia alle 14.10.

Schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo rinviato nella seduta antimeridiana di oggi.

Pietro ARMANI (AN) osserva, sotto il profilo generale, che il meccanismo di finanziamento delle agevolazioni fiscali previste in materia di fondi pensione suscita alcune perplessità, non solo perché basato su previsioni che non sembrano trovare puntuali riscontri nella realtà economica del paese, ma anche perché si ispira a principi analoghi a quelli seguiti in occasione della introduzione della cosiddetta carbon tax: al fine di assicurare taluni benefici al settore dei fondi pensione sono stati introdotti nuovi oneri a carico di altri settori. In particolare, si è scelto di penalizzare le assicurazioni sulla vita e quelle contro gli infortuni, assimilandole ad ordinari investimenti di tipo puramente finanziario ed introducendo, in tal modo, elementi di distorsione nella scelta degli investitori, tanto più pericolosi in un contesto come quello attuale, che sembra caratterizzato dalla tendenza alla progressiva contrazione della quota di prodotto interno lordo destinata al risparmio.
Con riferimento ai contenuti specifici del provvedimento in esame, manifesta in primo luogo perplessità in ordine alla scelta di prevedere la tassazione annua del trattamento di fine rapporto, che, rappresentando una forma di salario differito, sarebbe in realtà più appropriato tassare solo al momento della sua effettiva liquidazione. Sempre con riferimento al trattamento di fine rapporto, ritiene insufficiente il tasso di rivalutazione annua previsto, tenuto conto che, con il recente evidenziarsi della tendenza ad un nuovo aumento del tasso di inflazione, potrebbe in concreto risultare tale da non garantire la stessa conservazione del capitale.
Rileva altresì che il provvedimento introduce una notevole discriminazione nel settore delle polizze assicurative, prevedendo che possano godere dei benefici fiscali previsti per le forme assicurative che rispondano ad esigenze di carattere previdenziale le assicurazioni per infortuni che comportino la perdita di autosufficienza, ma non anche quelle relative ad infortuni che pregiudichino gravemente la capacità professionale dell'assicurato, senza tuttavia comportare la perdita dell'autosufficienza.
In relazione al disposto dell'articolo 2, rileva che tale disposizione equipara correttamente il trattamento fiscale dei fondi chiusi a quello previsto per i fondi aperti ma che tuttavia in esso sembra permanere una sorta di favor legis per i primi, desumibile, tra l'altro, dal fatto che viene rimesso all'ISVAP il compito di definire, nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativi, i criteri di attuazione e di regolamentazione della disciplina prevista dal decreto legislativo n. 124 del 1993. Ritiene che tale sorta di moratoria semestrale prevista per i fondi chiusi non possa essere giustificata ed auspica pertanto che nel parere definitivo tale previsione sia soppressa.
Sempre con riferimento alla medesima disposizione, riterrebbe opportuno rimettere esclusivamente all'ISVAP le competenze in materia di autorizzazione all'esercizio delle forme pensionistiche individuali che, nello schema di decreto in esame, sono rimesse alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione di intesa con l'ISVAP.
In relazione all'articolo 1, comma 1, lettera f), concernente i fondi per indennità di fine rapporto ed i fondi di previdenza


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del personale istituiti ai sensi dell'articolo 2117 del codice civile, osserva che, con la nuova disciplina, le aziende che in passato avevano provveduto ad effettuare i relativi accantonamenti si troverebbero paradossalmente ad essere penalizzate per il fatto di essere state tra le prime ad istituire forme di previdenza in favore dei propri dipendenti. Per evitare tale grave inconveniente, si potrebbe ipotizzare l'introduzione di una apposita norma transitoria di salvaguardia dei suddetti accantonamenti ovvero la previsione di idonee forme alternative di garanzia, ad esempio di tipo fideiussorio.

Carlo PACE (AN) concorda con molte delle osservazioni espresse dai colleghi Berruti ed Armani. Osserva altresì che dalle risultanze delle audizioni effettuate, è possibile trarre utili indicazioni per introdurre correttivi alla disciplina in esame.
In particolare segnala l'opportunità di prevedere, per quanto riguarda la fase di raccolta delle risorse, la deduzione dei contributi per i possessori anche di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente. Inoltre sottolinea l'esigenza di incoraggiare una diffusa adesione dei lavoratori ai fondi pensione e, a tal fine, ritiene necessario che la disciplina fiscale delle prestazioni sia coerente con un indirizzo che favorisca la durata delle contribuzioni nel tempo. Ritiene che contrasti con tale esigenza la riliquidazione dell'imposta, prevista dal decreto legislativo, con applicazione al montante dell'aliquota media dei cinque anni antecedenti la maturazione delle prestazioni, in quanto la suddetta aliquota trascurerebbe di attribuire rilevanza al periodo di formazione del montante. Esprime inoltre perplessità circa l'assoggettamento a tassazione anche dei capital gain non effettivamente conseguiti, in quanto tale disciplina rischia di determinare gravi distorsioni nella composizione dei portafogli di titoli detenuti dai fondi, che troverebbero evidentemente conveniente, a fini fiscali, detenere titoli caratterizzati da incrementi di valore modesti o addirittura negativi e liquidare invece quelli che assicurano incrementi del valore capitale più consistenti.
Con riferimento alla disciplina tributaria dei contratti assicurativi, ritiene che non sia corretta la scelta posta in essere con il provvedimento in esame e consistente nella qualificazione ex post alla luce della nuova disciplina della natura finanziaria o assicurativa del contratto. Tale soluzione pone fatti problemi di carattere transitorio e potrebbe determinare ulteriori distorsioni favorendo pratiche di simulazione consistenti nella trasformazione del contratto assicurativo a soli fini fiscali.
Più in generale sottolinea la necessità di assicurare la più ampia libertà di scelta e la massima flessibilità, dal momento che solo in tal modo ritiene si possa realmente assicurare il pieno sviluppo di un sistema efficiente di previdenza complementare.

Giorgio BENVENUTO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

 

 

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 8 febbraio 2000. - Presidenza del Vicepresidente Alessandro REPETTO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per le finanze Natale D'Amico e Armando Veneto.

La seduta comincia alle 10.50.

Schema di decreto legislativo concernente «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
(Rinvio del seguito dell'esame).

Alessandro REPETTO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 10.53.

 

VI Commissione - Resoconto di mercoledì 9 febbraio 2000


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ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 9 febbraio 2000. - Presidenza del Presidente Giorgio BENVENUTO. - Interviene il sottosegretario di Stato per le finanze Natale D'Amico.

La seduta comincia alle 14.25.

Schema di decreto legislativo recante «Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare».
(Seguito esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo rinviato nella seduta dell'8 febbraio 2000.

Giorgio BENVENUTO, presidente, relatore, ricorda che l'esame in Commissione dello schema di decreto legislativo ha fatto emergere numerosi aspetti problematici su cui ha avuto luogo un approfondito confronto e che particolarmente utili sono risultati i contributi e i rilievi critici avanzati dai soggetti intervenuti nel corso delle audizioni informali svolte.
A conclusione dell'esame preliminare ritiene che si possa affermare che la gran parte dei colleghi intervenuti, così come i soggetti convocati, abbiano convenuto circa l'esigenza di un provvedimento di riforma organica del regime fiscale della previdenza complementare, in modo da risolvere alcuni dei problemi che sino ad ora ne hanno impedito un adeguato sviluppo.
A fronte di tale orientamento, non è mancato, tuttavia, chi ha segnalato la inopportunità di introdurre un regime speciale, particolarmente agevolativo, a favore dei fondi pensione, stante il fatto che l'evoluzione dei mercati finanziari offrirebbe già sufficienti occasioni di investimento, atte a garantire rendimenti adeguati a chi voglia costituirsi una posizione previdenziale complementare. In sostanza, si è contestata la previsione di un diverso regime rispettivamente per i fondi pensione e per i fondi di investimento, in considerazione del fatto che questi ultimi, in linea di massima, si sarebbero già dimostrati, nella loro concreta operatività, capaci di tutelare i risparmi dei soggetti che ad essi sono affidati.


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Ritiene che tale obiezione non sia accoglibile per due motivi: in primo luogo, in considerazione del carattere del tutto peculiare che contraddistingue il risparmio previdenziale e, in secondo luogo, in considerazione dei vantaggi che lo sviluppo della previdenza complementare può assicurare al sistema economico nel suo complesso.
Per quanto concerne il primo aspetto osserva come non si possa trascurare il fatto che la disponibilità di un efficiente e solido sistema previdenziale complementare può contribuire a rendere meno allarmante la prospettiva di un ridimensionamento della previdenza pubblica. In altri termini, in assenza di un idoneo sistema di previdenza complementare, un passaggio immediato tra una previdenza pubblica ipergarantista e un forte ridimensionamento della stessa potrebbe risultare troppo precipitoso e pericoloso, visto che l'investimento finanziario si caratterizza per un grado di rischiosità molto elevato, soprattutto in situazioni di mercato contrassegnate da una elevata volatilità. Il maggiore arco temporale che caratterizza l'attività dei fondi pensione, che si muovono in una prospettiva di lungo periodo, consente invece di attenuare gli effetti prodotti da rapidi mutamenti nell'andamento dei mercati finanziari.
Quanto al secondo aspetto, ricorda che dalle analisi di larga parte di studiosi che si sono dedicati alla materia, peraltro supportate da alcune ricerche empiriche, è emerso che la crescita della previdenza complementare, realizzata in primo luogo mediante fondi pensione a capitalizzazione, può costituire un fattore di incentivazione del risparmio nazionale che può tradursi nella maggiore disponibilità di risorse finanziarie per investimenti nel settore produttivo. Allo stesso tempo, in considerazione del carattere di investitore di lungo periodo proprio dei fondi pensione, ritiene che il loro sviluppo possa contribuire alla stabilizzazione dei mercati finanziari attenuandone la volatilità. Da ultimo, osserva che i fondi pensione possono assumere un ruolo rilevantissimo negli assetti proprietari e nel cosiddetto corporate governance.
Tanto premesso, ritiene che si possano ravvisare diverse ragioni a giustificazione dell'intervento volto ad incentivare, mediante la previsione di misure agevolative, lo sviluppo dei fondi pensione. Il problema è piuttosto quello di stabilire se l'entità delle incentivazioni che verrebbero accordate, sulla base del testo in esame, si dimostri idonea a conseguire l'obiettivo indicato. A questo proposito, da più parti è stata sottolineata l'esigenza di ridurre in misura consistente l'aliquota dell'imposta sostitutiva che si applicherebbe al risultato netto maturato dai fondi pensione in ciascun periodo di imposta, stabilita nello schema di decreto all'11 per cento. In particolare da più parti è stata indicata la misura del 6,25 per cento. In proposito, ritiene che, piuttosto che proporre una aliquota precisa, sia preferibile sollecitare con chiarezza il Governo perché proceda, nell'adozione del testo definitivo del provvedimento, ad una consistente riduzione dell'aliquota, che tenga conto della specificità del risparmio previdenziale e della urgenza di promuovere l'avvio della previdenza complementare anche ai fini di eventuali ulteriori provvedimenti da adottare con riferimento alla previdenza pubblica.
Osserva come, d'altra parte, non si possa ignorare la novità intervenuta nei giorni scorsi in materia con la predisposizione, da parte del Governo, di un disegno di legge delega, volto ad introdurre ulteriori misure per favorire lo sviluppo della previdenza complementare, di cui ancora non si conosce in dettaglio il testo ma il cui contenuto è stato anticipato dalle notizie riportate dai giornali. In particolare, nell'ambito del provvedimento si stabilirebbe l'integrale destinazione degli accantonamenti a titolo di TFR, in primo luogo, ai fondi chiusi ovvero a fondi intercategoriali, e, in secondo luogo, alle forme pensionistiche costituenti il cosiddetto terzo pilastro, con il riconoscimento, ai soggetti interessati, del diritto di optare tra differenti destinazioni,


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purchè assicurino prestazioni equivalenti per quanto concerne il rendimento e la rischiosità. Si tratta di una novità a proposito della quale si sono già registrati giudizi fortemente contrastanti, e che comunque ha il merito di affrontare in termini netti il problema dello smobilizzo del TFR, da tante parti auspicato come misura imprenscindibile per dotare i fondi pensione delle risorse necessarie ad un loro effettivo decollo.
In questa sede ritiene opportuno ricordare che le disposizioni già vigenti, quali la previsione dell'obbligo di trasferire ai fondi la quota di accantonamento annuale, concernente esclusivamente i lavoratori di prima occupazione ovvero, più recentemente, le disposizioni dirette a promuovere la cartolarizzazione dello stesso, hanno sino ad ora registrato esiti non del tutto soddisfacenti. In particolare, parzialmente deludenti sono risultati gli effetti del decreto legislativo n. 299 del 1999 con il quale si è affidato alla contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro la trasformazione degli accantonamenti al TFR in azioni o obbligazioni dell'impresa, che avrebbe potuto ridurre per quest'ultima i costi per il ricorso al finanziamento sul mercato. Il che è dipeso anche dal fatto che il legislatore delegato, nonostante le sollecitazioni avanzate in sede parlamentare, non ha utilizzato appieno gli spazi che la delega gli riconosceva per quanto concerne il trattamento fiscale da accordare alle operazioni di conferimento. Ciò ha riproposto l'esigenza di promuovere un effettivo e consistente smobilizzo del TFR, i cui accantonamenti annuali, valutati nell'ordine di più di 30 mila miliardi di lire, potrebbero essere destinati ad impieghi idonei a garantire più alti rendimenti. In sostanza, appare ineludibile la ricerca di un utilizzo alternativo del TFR, che costituisce una peculiarità tutta italiana che trae origine dalla mancanza di strumenti flessibili e adeguati a far fronte a particolari contingenze della vita lavorativa che discendano da eventi imprevedibili.
L'evoluzione e lo sviluppo dei mercati finanziari, creando l'offerta di nuove possibilità di impiego del risparmio, offrono l'occasione di avvalersi di investimenti a più elevata redditività, che tuttavia non espongano il lavoratore a rischi eccessivi. I fondi pensione, in questo senso, considerate alcune peculiarità che li contraddistinguono, quali in primo luogo il fatto di essere investitori di lungo periodo e a carattere previdenziale, sono apparsi come i più naturali destinatari delle risorse accantonate per il TFR. Ciò implica, ovviamente, una attenta valutazione dei maggiori oneri che la rinuncia alla disponibilità del TFR può comportare per le imprese. Alla luce di questi elementi, si deve peraltro rilevare la necessità di affrontare aspetti tanto delicati, quali la revisione del regime tributario del TFR indicata nello schema di decreto, disponendo di tutti gli elementi utili ad una valutazione approfondita. Assume, pertanto, particolare rilievo, ai fini del parere che la Commissione dovrà esprimere, la acquisizione di informazioni più precise, che soltanto il Governo potrà fornire, sui contenuti dello schema di disegno di legge. Non ritiene possano ritenersi, infatti, indifferenti, ai fini del giudizio complessivo sulle disposizioni in esame, e in particolare di quelle che prospettano un aumento della misura della tassazione gravante sul TFR, le modalità alternative di destinazione dei relativi accantonamenti annuali, anche in considerazione della diversa redditività che il soggetto interessato potrebbe trarne. Per questo motivo, anche alla luce delle preoccupazioni espresse dal collega Armani, ritiene che il Governo debba fornire puntuali informazioni alla Commissione.
Ricorda quindi, le differenti questioni che sono emerse nel corso dei lavori della Commissione. Con riferimento all'articolo 1, ritiene che si debba ripristinare la previsione di una misura più favorevole di deducibilità per i contributi versati in misura eccedente rispetto al massimale di cui al decreto legislativo n. 579 del 1995, in modo da evitare una ingiustificata penalizzazione. Per quanto concerne il limite di deducibilità, da parte dei rappresentanti dell'artigianato e dei commercianti


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è stata sollecitato un suo incremento fino al 18 per cento del reddito complessivo a favore dei lavoratori autonomi in considerazione del fatto che questi non possono avvalersi del TFR per finanziare la propria previdenza complementare. Tale ipotesi potrà essere meglio valutata anche avvalendosi degli elementi che al riguardo potrà fornire il Governo; osserva comunque che la destinazione del TFR ai fondi pensione, se per un verso evita al lavoratore dipendente un esborso diretto, per l'altro, impone allo stesso un ulteriore vincolo, non gravante sugli altri soggetti, in forza del fatto che la misura della deducibilità di cui può fruire è parametrata anche all'importo della quota di TFR destinata ai fondi pensione.
Quanto alla richiesta, avanzata dall'ABI, di una più accurata definizione della espressione «forme pensionistiche collettive», non prevista nella normativa vigente, ritiene che essa possa essere parzialmente accolta, fermo restando che l'espressione va letta alla luce della introduzione, all'articolo 2 dello schema di decreto, di una disciplina concernente specificamente le forme pensionistiche individuali. In sostanza, occorre considerare che il testo dello schema di decreto non intende rimettere in discussione il rapporto fra fondi chiusi e fondi aperti, come delineato dal decreto legislativo n. 124 del 1993 e successive modificazioni; per questo motivo non ritiene opportuno accogliere l'indicazione avanzata dai sindacati di introdurre, nell'ambito del limite di deducibilità di dieci milioni, un limite specifico, pari a tre milioni di lire, con riferimento ai contratti di assicurazione.
Sempre riguardo all'articolo 1, è stata avanzata da più parti l'esigenza di introdurre misure di maggior favore per i lavoratori giovani, in modo da indurli ad accedere quanto prima alla previdenza complementare. Al di là delle diverse ipotesi prospettate al riguardo, tra le quali la possibilità di sommare una detrazione alla deduzione non gli pare tecnicamente corretta, ritiene che tutto il provvedimento tenda a rivolgersi soprattutto ai soggetti più giovani, stante il fatto che per i lavoratori (dipendenti o autonomi) più anziani e prossimi alla cessazione dell'attività potrebbe risultare più conveniente rivolgersi all'investimento finanziario piuttosto alla previdenza complementare, in considerazione del più ridotto vincolo temporale che il primo comporta. Alcuni rilievi sono stati avanzati per quanto concerne la disposizione di cui alla lettera f) dell'articolo 1, relativa ai cosiddetti fondi interni, per i quali il testo dello schema di decreto stabilisce un limite alla deducibilità fiscale dei rendimenti diverso da quello previsto in via ordinaria per gli altri fondi. Ritiene si tratti di una questione che merita di essere attentamente valutata insieme al Governo, stante il rischio di determinare una discriminazione che non sembra pienamente giustificata. Difficilmente accoglibile gli pare, invece, la proposta di aumentare dal 3 al 9 per cento l'entità degli accantonamenti a titolo di TFR da destinare in una speciale riserva in considerazione degli oneri che ne deriverebbero.
Sempre con riferimento all'articolo 1, è stata segnalata, tanto dalla Confindustria che dai sindacati, l'esigenza di introdurre una disposizione concernente specificamente il contenuto della comunicazione da effettuare ai sensi del comma 2, per l'anno in cui è liquidata la prestazione previdenziale, con riferimento agli importi da dedurre nell'anno di cessazione del rapporto con il fondo. Ritiene, inoltre, che si debba recepire la proposta diretta a consentire la deducibilità dei contributi versati ai fondi già in sede di ritenuta operata dal datore di lavoro.
Relativamente all'articolo 3, ritiene condivisibile la proposta formulata sia dalla Confindustria che dai sindacati, di stabilire l'esenzione dalle imposte sulle successioni ai riscatti delle posizioni individuali per gli eredi in caso di morte dell'iscritto.
Con riferimento all'articolo 4, ricorda che è stata segnalata da più parti l'ipotesi di assumere quale riferimento ai fini della determinazione dell'importo deducibile per i soggetti iscritti ai cosiddetti vecchi fondi, i contributi versati nel 1999 anziché


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nel 1998, come previsto nello schema di decreto, in modo da garantire il riconoscimento dei diritti acquisiti. La proposta gli sembra condivisibile, in quanto in caso contrario si determinerebbe una penalizzazione per i soggetti più giovani che avendo registrato un incremento della retribuzione e, conseguentemente, dei contributi erogati, vedrebbero congelata la loro condizione in termini obiettivamente più svantaggiosi di quelli previsti per i soggetti più anziani.
Con riferimento all'articolo 6, sia l'ANIA che l'ISVAP hanno segnalato l'esigenza di differenziare il regime fiscale previsto per il fondi a contribuzione definita da quello relativo ai fondi a prestazione definita, in considerazione della natura assicurativa che contraddistingue i secondi, per cui la determinazione dell'ammontare dei contributi da corrispondere richiede necessariamente l'utilizzo di tecniche attuariali.
Relativamente all'articolo 10, giudica favorevolmente la richiesta avanzata dai sindacati, dall'ABI e Confindustria, di circoscrivere il periodo entro il quale gli uffici finanziari debbono provvedere alla riliquidazione delle prestazioni pensionistiche erogate in forma di capitale, con l'ulteriore specificazione che ciò dovrebbe ammettersi soltanto se la riliquidazione sia più favorevole per il contribuente interessato. In questo modo, si eviterebbe una prolungata situazione di precarietà e incertezza. Analoghe considerazione valgono con riferimento alla riliquidazione dell'importo dovuto per la tassazione del TFR. Ritiene altresì condivisibile la proposta di evitare di penalizzare fiscalmente le richieste di anticipazione, per le finalità specificamente previste nella normativa vigente, quali motivi di salute o l'acquisto di una casa. Vanno poi attentamente valutati i suggerimenti relativi alla previsione di un più favorevole regime fiscale nel caso di riscatto che discenda dall'interruzione del rapporto di lavoro, e quindi da una situazione di difficoltà per il lavoratore.
Formula quindi la proposta di parere nei termini riportati in allegato (vedi allegato).

Alessandro REPETTO (PD-U) illustra gli emendamenti n. 1, 2 e 3, sottolineando in particolare come il secondo sia diretto a colmare un vuoto della disciplina prevista nello schema di decreto legislativo in esame riguardante il trattamento fiscale applicabile ai fondi costituiti anteriormente al 1993 e ricordando che il terzo prevede la determinazione di un'aliquota dell'imposta sostitutiva in linea con quanto osservato nel parere reso dalla competente commissione del Senato.

Massimo Maria BERRUTI (FI), con riferimento all'emendamento n. 4 osserva come con esso si intenda eliminare la penalizzazione fiscale prevista dal provvedimento in esame per coloro che, alla maturazione del diritto, optino per una quota di capitale superiore ad un terzo dell'importo complessivamente maturato.
Illustra quindi l'emendamento n. 6 e, con riferimento all'emendamento n. 7, sottolinea come sia del tutto incoerente che l'autorizzazione per l'esercizio delle forme pensionistiche individuali sia rilasciata dal Comitato di vigilanza sui fondi pensione anziché dall'ISVAP, tenuto conto che tale previsione introdurrebbe un ingiustificato aggravio per gli operatori del settore assicurativo.

Pietro ARMANI (AN) nel concordare con quanto da ultimo osservato dal collega Berruti, sottolinea che la ratio della scelta di affidare alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione la competenza in materia di autorizzazione per l'esercizio delle forme pensionistiche individuali deve rinvenirsi in un immotivato favor legis per i fondi chiusi, che, in virtù di quanto previsto dal comma 2 del nuovo articolo 9-ter del decreto legislativo n. 124 del 1993, introdotto dal provvedimento in esame, verrebbero in tal modo a beneficiare di un ulteriore periodo di moratoria di sei mesi a decorrere dall'entrata in vigore della nuova disciplina.


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Il sottosegretario Natale D'AMICO contesta che la scelta di attribuire alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione la competenza ad autorizzare l'esercizio delle forme pensionistiche individuali sia ingiustificata e sottolinea, al contrario, come essa sia coerente con l'esigenza di tenere conto delle specificità proprie delle forme di previdenza complementare.

Giorgio BENVENUTO, presidente, relatore, in accoglimento di alcuni degli emendamenti presentati, riformula la propria proposta di parere nei termini riportati in allegato (vedi allegato).
Nell'illustrare le modifiche apportate, invita quindi il deputato Repetto al ritiro dell'emendamento n. 1, nonché degli emendamenti nn. 2 e 3, entrambi parzialmente accolti in virtù dell'eliminazione del riferimento alla durata quinquennale del periodo transitorio previsto per i fondi costituiti anteriormente al 1993 e, per il secondo, della indicazione, nel nuovo testo del parere, di un'aliquota tendenziale dell'imposta sostitutiva il più possibile vicina al 6,25 per cento.
In ordine all'emendamento n. 5 invita il deputato Pistone al suo ritiro, tenuto conto che esso è stato sostanzialmente accolto nella nuova formulazione della proposta di parere.
Osserva inoltre che l'emendamento n. 4 non può essere accolto in quanto tendente ad introdurre una norma in contrasto con i principi contenuti nella legge delega; invita pertanto i suoi firmatari al ritiro.
Sottolinea infine che l'emendamento Berruti n. 6 è parzialmente recepito; per quanto riguarda l'emendamento Berruti n. 7 sottolinea come la nuova osservazione n. 8 della propria proposta di parere garantisca che dalla previsione di un'autorizzazione da parte della Commissione di vigilanza sui fondi pensione non derivino ritardi per l'avvio delle forme pensionistiche individuali di tipo assicurativo. Invita pertanto i presentatori al ritiro anche dei suddetti emendamenti.

Alessandro REPETTO (PD-U) ritira gli emendamenti presentati.

Gabriella PISTONE (comunista) ritira l'emendamento presentato.

Gianfranco CONTE (FI) anche a nome dei colleghi Berruti, Leone e Armosino insiste nel chiedere la votazione degli emendamenti nn. 4 e 7 e, tenuto conto del giudizio complessivamente negativo che il gruppo di forza Italia esprime sul provvedimento in esame, chiede che si proceda alla votazione per appello nominale.

Giorgio BENVENUTO, presidente, dà lettura delle sostituzioni pervenute alla presidenza; indice quindi la votazione per appello nominale sull'emendamento Berruti n. 7.

Giorgio BENVENUTO, presidente, comunica che la Commissione non è in numero legale.

Mauro AGOSTINI (DS-U) osserva che un deputato dell'opposizione è stato presente in aula per tutto il periodo delle operazioni di voto e si è assentato soltanto nel momento in cui è stato chiamato il suo nominativo. Chiede pertanto se, in linea con la prassi seguita per i lavori dell'Assemblea, tale deputato non debba essere computato ai fini della verifica del numero legale.

Giorgio BENVENUTO, presidente, ricorda di avere già sottoposto al Presidente della Camera, così come preannunciato nella seduta del 2 febbraio, alcune questioni interpretative del regolamento in ordine alle modalità di calcolo del numero legale in commissione.
Comunica, infine, che, in considerazione della mancanza del numero legale, l'esame dello schema di decreto legislativo è rinviato al termine della seduta pomeridiana dell'Assemblea.

La seduta, sospesa alle 14.55, è ripresa alle 20.35.

Giorgio BENVENUTO, presidente, dà lettura delle sostituzioni pervenute alla


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presidenza ed indice quindi la votazione per appello nominale sull'emendamento Berruti n. 7.

Presenti e votanti 24
Maggioranza 13
Voti favorevoli 0
Voti contrari 20

La Commissione respinge l'emendamento Berruti n. 7.

Gianfranco CONTE (FI) ribadisce che il proprio gruppo non parteciperà alla votazione tenuto conto della mancata soluzione della questione che da tempo è stata sollevata nei confronti del Ministro delle finanze in relazione all'aggiornamento del collegamento della Commissione con il sistema informativo dell'anagrafe tributaria.
Comunica che il proprio gruppo non insiste nella richiesta di votazione per appello nominale.

La Commissione respinge l'emendamento Berruti n. 4.

La Commissione approva la proposta di parere del relatore come riformulata.

La seduta termina alle 20.55.

 

 

                        PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

 

La VI Commissione finanze, esaminato lo schema di decreto legislativo recante “riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare”;

                                        

considerata l'esigenza di incentivare la crescita della previdenza complementare;

 

rilevato che, in particolare, i fondi pensione possono svolgere un ruolo decisivo ai fini della realizzazione dell'obiettivo precedentemente indicato, oltre che per promuovere una allocazione del risparmio in termini tali da contribuire alla stabilizzazione e alla crescita dei mercati finanziari e per incentivare una più attiva partecipazione alla vita societaria da parte degli azionisti di minoranza;

 

rilevato, inoltre, che lo schema di decreto legislativo prospetta un organico disegno riformatore che, nei limiti stabiliti dalla legge-delega, consente di realizzare un primo progresso nella prospettiva di uno sviluppo della previdenza complementare;

 

considerato che risulta comunque necessario introdurre alcuni correttivi volti in primo luogo a ridurre in misura significativa l'entità della tassazione gravante sui fondi pensione;

 

sottolineata l'esigenza di procedere tempestivamente ad un adeguato potenziamento delle strutture della Commissione di vigilanza sui fondi pensione anche in considerazione delle ulteriori competenze attribuite al suddetto organismo dal provvedimento

 

esprime

 

                                    PARERE FAVOREVOLE

 

con le seguenti osservazioni:

1) relativamente all'articolo 1, comma 1, lettera a), n. 1, si chiarisca la persistenza del diritto alla fruizione della deduzione nella misura prevista per il soggetto che percepisca redditi di lavoro dipendente anche nel caso in cui, secondo quanto previsto dagli articoli 9 e 10 del decreto legislativo n. 124 del 1993, aderisca a fondi pensione aperti;

2) con riferimento al medesimo articolo, si sopprima la disposizione che si esclude la fruizione della deduzione per i soggetti che percepiscano esclusivamente redditi di capitale o redditi di fabbricati;

sempre con riferimento all'articolo 1, comma 1, lettera a), valuti il Governo la possibilità di ampliare la la misura della deduzione nel caso in cui il familiare fiscalmente a carico sia portatore di handicap;:

3) relativamente al medesimo articolo, si escludano dal computo del limite di 10 milioni i contributi eccedenti il massimale di cui al decreto legislativo n. 579 del 1995;

4) con riferimento all'articolo 1, comma 1, lettera f), si consideri la necessità di confermare l'attuale disciplina legislativa e fiscale per i fondi costituiti anteriormente al 1993, anche per quelli non configurati ex articolo 2117 del codice civile, o si preveda in subordine, una disciplina transitoria che consenta a tali fondi di adeguarsi progressivamente alle modifiche apportate anche in ordine ai nuovi obblighi contabili;

5) sempre riguardo all'articolo 1, si introduca la previsione normativa secondo cui la deduzione dei contributi versati può essere operata già in sede di ritenuta da parte del datore di lavoro;

6) relativamente al comma 2 dell'articolo 1, si stabilisca che per l'anno in cui è liquidata la prestazione, si debba

comunicare come importo non deducibile dei contributi versati nel corso degli anni per i quali non sia stata ancora presentata la dichiarazione dei redditi o non siano stati effettuati adempimenti equipollenti, quello non dedotto nell'anno precedente come da apposita autocertificazione;

7) relativamente all'articolo 2, con riferimento all'articolo 9-ter di cui si prevede l'inserimento nell'ambito del citato decreto legislativo n. 124 del 1993, si verifichi la possibilità di una diversa formulazione che garantisca la compatibilità della normativa prevista relativamente all'esercizio delle forme pensionistiche individuali mediante contratti di assicurazione sulla vita con la disciplina comunitaria;

8) con riferimento al comma 2 dell'articolo 9ter introdotto dall'articolo 2 si riduca il termine entro il quale la Commissione di vigilanza sui fondi pensione adotta le disposizioni di attuazione, al fine di garantire che alla data del 1o gennaio 2000 sia compiutamente definito l'assetto normativo dei contratti assicurativi di natura previdenziale;

9) con riferimento all'articolo 3, si valuti l'opportunità di esentare dall'imposta sulle successioni le somme derivanti dai riscatti di posizioni individuali in favore degli eredi nel caso di decesso dell'iscritto;

10) con riferimento all'articolo 4, si valuti la possibilità di assumere quale riferimento ai fini della determinazione

dell'importo deducibile per i soggetti iscritti alle forme pensionistiche complementari preesistenti l'anno 1999 anziché il 1998, contestualmente alla previsione di un limite temporale, che potrebbe essere stabilito in 5 anni, di durata del regime transitorio, in modo da pervenire ad una progressiva armonizzazione con il regime ordinario;

11) con riferimento agli articoli 5, 6 e 11, provveda il Governo a ridurre in misura significativa l'aliquota dell'imposta sostitutiva, attualmente stabilita nell'11 per cento, adottando l'aliquota più vicina possibile al 6,25 per cento;

12) sempre con riferimento agli articoli 5 e 6, si provveda a garantire il necessario coordinamento delle relative

disposizioni con quelle in materia di tassazione dei redditi di capitale di cui al decreto legislativo n. 461 del 1997 e successive modificazioni;

13) con riferimento all'articolo 10, si stabilisca che la riliquidazione da parte degli uffici finanziari dell'imposta dovuta sulle prestazioni pensionistiche erogate in forma di capitale sia effettuata unicamente nel caso in cui sia più favorevole per il contribuente; analoghe considerazioni valgono relativamente all'articolo 11 per quanto concerne la rideterminazione dell'imposta dovuta sul TFR;

14) relativamente all'articolo 10, si stabilisca che, ai fini della erogazione delle prestazioni pensionistiche, si debba utilizzare prioritariamente la quota degli accantonamenti già sottoposta a tassazione, con riferimento al reddito maturato, piuttosto che quella, corrispondente ai contributi deducibili, ancora da tassare;

15) sempre con riferimento agli articoli 10 e 11, provveda il Governo a modificare il trattamento tributario delle

prestazioni erogate nel caso di riscatto, che dipenda dall'interruzione del rapporto di lavoro, nonché di anticipazioni per le finalità specificamente previste dalla normativa vigente;

16) relativamente all'articolo 13, si chiarisca esplicitamente che tra i contributi versati facoltativamente rientrano quelli finalizzati alla ricongiunzione dei periodi assicurativi nonché al riscatto degli anni di laurea chiarendo altresì che la disciplina di cui all'articolo 16 si applica anche a coloro che abbiano in corso, alla data di entrata in vigore del decreto, piani di versamento, con riferimento ai versamenti successivi alla suddetta data;

17) per quanto concerne l'articolo 16, si valuti l'opportunità di consentire, ai soggetti che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, abbiano stipulato una polizza assicurativa sulla vita, di rinnovare il contratto per trasformarlo in un contratto di natura previdenziale, corrispondente ai requisiti previsti all'articolo 9-ter del decreto legislativo n. 124, come inserito all'articolo 2, trasferendo la posizione già maturata. Ai medesimi soggetti dovrebbe, quindi, essere riconosciuta la facoltà di fruire della deduzione nei termini previsti all'articolo 1.