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Pagina 18

Scontri e morti in Argentina
il governo fa crollare la Borsa

Gravi incidenti a Salta mentre il pacchetto economico del ministro dell'economia non piace ai mercati internazionali

OMERO CIAI

La crisi argentina è esplosa a Salta, nel nord, vicino al Cile, sotto le Ande. Da tre giorni gruppi di operai e disoccupati si scontrano con la polizia e, ieri, il governo di Buenos Aires valutava la possibilità di imporre lo stato d'assedio per fermare le manifestazioni di protesta e i saccheggi. Tutto è cominciato domenica quando agenti della Gendarmeria hanno ucciso due operai che partecipavano ad un picchetto di scioperanti.
Ma Salta, dove le proteste sindacali si susseguono da mesi, è solo un caso di un malessere sociale che, dopo tre anni di recessione, percorre tutto il paese. A Buenos Aires l'aeroporto è occupato dagli impiegati di Aerolines Argentinas, la compagnia di bandiera venduta agli spagnoli da Menem, che ha sospeso per debiti la maggior parte dei suoi voli. I sindacati, divisi, convocano scioperi a singhiozzo per gli aumenti salariali nelle maggiori aziende che si concludono, sempre più spesso, con aggressioni, pestaggi, distruzione di uffici e sedi di rappresentanza. La violenza dilaga. E dilaga soprattutto contro tutto ciò è spagnolo. Telefonica, Endesa, le banche di Madrid, hanno comprato molto negli anni di Menem in Argentina. E oggi, con la crisi stagnante dei consumi, chiudono, ristrutturano, licenziano.
Nel weekend, il ministro Domingo Cavallo, ha lanciato il nuovo pacchetto per dare ossigeno all'economia. L'accoglienza non è stata positiva. Lunedì sono franati tutti i titoli che hanno qualcosa a che fare con l'Argentina, compresi i buoni del Tesoro sul debito. Ieri, a Buenos Aires, la Borsa ha perso il 4 percento. La principale misura del pacchettoCavallo è la modifica del regime valutario. Mentre per le transazioni finanziarie e per il mercato interno rimane in vigore il regime della convertibilità la parità 1 a 1 con il dollaro è stato creato un regime di cambio speciale per le esportazioni e le importazioni che consente al peso di fluttuare liberamente fra dollaro ed euro. Il primo effetto è stata una svalutazione del 10 percento. Il secondo lo scetticismo dei mercati internazionali.
L'obiettivo di Cavallo è difficilissimo. Il suo problema è il costo di ciò che si produce in Argentina, troppo alto per la parità della moneta col dollaro, rispetto agli altri paesi dell'area come il Brasile o il Cile. Per abbassare questo costo non può intervenire sui salari, dovrebbe svalutare. Ma non può farlo senza rischiare la bancarotta, visto che l'80 percento dei debiti argentini anche quelli delle famiglie sono in dollari. Dunque è in vicolo cieco. Da qui è nata l'ennesima alchimia del regime speciale di cambio per le esportazioni che vorrebbe appunto ridurre il costo dei prodotti argentini e rilanciare la produzione. Purtroppo i mercati internazionali si sono convinti che quella di Cavallo sia una sorta di svalutazione mascherata del peso e, nel dubbio, stanno cominciando a vendere azioni.
L'incertezza a questo punto è pericolosissima. Con un debito pari a 140 miliardi di dollari (quattro volte il volume delle sue esportazioni) e una lunghissima recessione, l'Argentina è appesa alla fiducia dei mercati internazionali sulla sua solvibilità cioè la possibilità di pagare i creditori e sulla sua ripresa economica.
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