16 gen 2002 Usa, la grande truffa dei fondi pensione
testata: Liberazione
autore : S. Morandi
Per molto tempo laffare Enron popolerà gli incubi dei
teorici
dellultraliberismo. Non solamente per gli squallidi
retroscena
dellennesimo scandalo che vede affari e politica
conniventi, con
tutto il suo corollario di documenti distrutti e finanziamenti
illeciti distribuiti a piene mani. E nemmeno perché, come
lArgentina, la Enron era un modello di
ultraliberismo,
soprattutto dopo lassalto alleconomia virtuale che lha
trasformata, di fatto, da impresa produttiva in una vera e
propria
società finanziaria. Laffare Enron è, in realtà, il
fallimento
della cosiddetta rivoluzione dei fondi pensione
prospettata, negli
anni 50, da Louis Kelso, in un libro furbescamente
intitolato "The
Capitalist Manifestoù2 che prometteva la condivisione del
profitto
da parte dei lavoratori.
Gli analisti economici ortodossi si sono accorti perfettamente
del
pericolo tanto è vero che si affrettano a buttare acqua sul
fuoco.
Amity Shlaes, dalle colonne del "Financial Times", si
sforza di
dimostrare che lo spirito kelsoniano della
suddivisione dei
profitti «ha danneggiato migliaia di lavoratori della Enron ma
ne ha
arricchiti milioni». Nel suo articolo dalleloquente titolo
"Non
disturbate la rivoluzione della suddivisione del profitto"
sostiene
che il vero problema, alla Enron, è di non essere stati
abbastanza
kelsoniani. Esattamente come qualcuno sostiene, senza ironia, che
la
rovina dellultraliberista Argentina è stata quella di non
essere
abbastanza liberista. Se si fossero rispettate le regole, scrive
la
Shlaes, e gli impiegati costretti a convertire i fondi pensione
in
azioni fossero stati liberi di giocare in borsa come gli
azionisti,
non si sarebbero ritrovati in una situazione così disastrosa. Ma
è
davvero possibile rispettare le regole? Sembra, al contrario, che
il
piano pensionistico kelsoniano, denominato 401(K) e ormai diffuso
fra i lavoratori dipendenti statunitensi, convenga alle aziende
soltanto quando sono queste a dettare le regole secondo la
propria
convenienza. Ai lavoratori dipendenti, invece, non conviene
affatto.
In primo luogo appare chiaro che legare il proprio ammortizzatore
economico pensioni e liquidazione allazienda
in cui si lavora è
molto pericoloso in quanto espone il dipendente al doppio rischio
di
perdere lavoro e risparmi contemporaneamente. E esattamente
quello
che è accaduto agli impiegati della Enron: quando, una volta
perso
il lavoro, finalmente è stato loro concesso di ritirare i propri
risparmi e si sono ritrovati in mano poche decine di dollari,
anche
dopo ventanni di anzianità. Qualsiasi analista finanziario
sa bene
che la diversificazione degli investimenti è labc di ogni
risparmiatore, e che concentrare tutti gli investimenti in una
sola
azienda è sempre sconsigliabile, figuriamoci poi se è la stessa
che
ti dà lo stipendio.
Eppure, chi ha progettato i 401(K) forse ignorava questa semplice
misura cautelativa visto che i piani pensionistici, come quello
della Enron, sono regolati da molteplici norme progettate
specificatamente per costringere gli impiegati a tenersi le
azioni
dellazienda più che ad alimentare il fondo pensionistico.
Le
restrizioni alle vendite delle azioni da parte dei lavoratori
dipendenti sono moltissime, così come le penali che servono a
impedire agli impiegati di disporre liberamente dei loro profitti
suddivisi. Il piano pensionistico della Enron, come i piani
di
numerose aziende statunitensi, prevedeva che i fondi fossero
quasi
totalmente investiti nelle azioni della compagnia, azioni che
sono
passate nellarco di pochi mesi da 80 dollari a meno di un
dollaro
luna, polverizzando i risparmi dei lavoratori.
Inoltre, grazie alla rivoluzione del profit-sharing
(la
suddivisione dei profitti appunto) si viene a creare unaltra
situazione paradossale: il datore di lavoro si trova a recitare,
nei
confronti del dipendente, il molteplice ruolo di consulente
finanziario che consiglia dove investire capo dellazienda
in
cui si investe che non ha alcun interesse a fornire
informazioni
veritiere sullo stato dellazienda e padrone della
ferriera, a cui
è sempre molto difficile dire di no.
Kenneth Lay, il gran capo della Enron, ha recitato perfettamente
tutte le parti, e lha fatto fino in fondo. Mentre lazienda
colava
a picco non riuscendo più a nascondere gli enormi debiti
contratti,
e mentre lui stesso smerciava le azioni sottobanco, convinceva
gli
impiegati a tenersi le azioni sia promettendo rialzi prossimi
venturi sia impugnando le norme vincolanti del piano pensioni.
Come
ha scritto in una delle poche e-mail che non sono state
distrutte:
«Lho dichiarato nella riunione con gli impiegati: una
delle mie
maggiori priorità è quella di restaurare la fiducia degli
investitori» scriveva l8 agosto scorso «cosa che porterà
certamente
a una notevole risalita del valore delle azioni. Quindi non
vendetele».
Simili consigli, elargiti dal signor Lay proprio mentre si
liberava
delle azioni Enron, si sono susseguiti fino al suo ritiro
con
benservito milionario (in dollari) - e lo hanno di fatto
trasformato
in una sorta di fiduciario del piano pensionistico, anche se il
suo
ruolo non è mai stato formalizzato, fiduciario che, secondo la
legge
americana, è responsabile di tutte le perdite. E su questa
base che
sono partite centinaia di azioni legali per costringere Lay a
risarcire gli ex dipendenti di tasca propria. Resta il fatto che,
la
rivoluzione kelsoniana più che «rendere i lavoratori in grado
di
controllare i loro capitali» è riuscita solo a centrare il
secondo
obiettivo «legare gli impiegati al destino dellazienda».
E colare a
picco insieme a lei.