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Lunedì 4 Giugno 2001
Il giovane è morto dopo ore di agonia.
Era ossessionato dalla sua situazione
precaria
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Disoccupato beve
benzina e si dà fuoco
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I centri sociali di
Napoli: «Lotteremo per vendicarlo»
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Fulvio
Milone NAPOLI La mancanza di lavoro era diventata
un’ossessione, fino a riempirgli la mente di fantasmi e paure.
E alla fine Luigi Pelliccia, 25 anni, un volto noto nel
panorama variegato dei movimenti dei disoccupati organizzati,
ha perso la sua battaglia contro l’angoscia e la depressione.
Ha scelto di farla finita nel modo peggiore, dandosi fuoco a
pochi metri dalla sede dell’associazione di cui faceva parte,
gli «Eurodisoccupati napoletani». E’ morto in un letto
d’ospedale, dopo una lunga agonia, con il corpo devastato
dalle ustioni. Al suo capezzale il padre: ha raccontato che il
figlio, depresso a causa di un futuro incerto, si sentiva un
perseguitato. E la sua storia ha scatenato la rabbia dei
centri sociali, che annunciano: «Vendicheremo Luigi,
continuando a portare avanti le lotte per tutti i diritti
negati». Chi lo conosce bene dice che Luigi era fino a
pochi mesi fa un giovane pieno di vita ed estroverso. Il
padre, Antonio, racconta che il figlio non voleva rassegnarsi
ad un’esistenza precaria, senza prospettive: «Ma era
tutt’altro che triste. Combattivo, questo sì, deciso a
ribellarsi alla povertà che da sempre assedia la nostra
famiglia, ad una sopravvivenza stentata, fatta di lavoretti
saltuari e sempre in nero. Io stesso, per mantenermi, sono
stato costretto a vendere sigarette di contrabbando».
Luigi non accettava di essere un emarginato. «Durante il
servizio militare si era offerto come volontario ed era
partito per la Bosnia - ricorda il padre -. La missione durò
due mesi, e quando tornò, trovò ad accoglierlo la miseria di
sempre». Fu allora che cominciò a frequentare i circoli dei
disoccupati organizzati e a partecipare alle manifestazioni in
piazza: cortei non sempre pacifici, a volte strumentalizzati
da gente sempre pronta a cavalcare la tigre
dell’esasperazione. «Tre mesi fa mio fratello fu coinvolto in
uno scontro violento con la polizia - spiega la sorella,
Clelia -. Lo picchiarono, un agente della questura lo colpì
con violenza alla testa con il manganello. Da allora non è
stato più lo stesso». Luigi ha continuato a lottare per un
lavoro, ma questa volta con troppa rabbia in corpo. «Non
rideva più, non parlava d’altro se non dei diritti che gli
venivano negati - raccontano i familiari -. Aveva l’idea fissa
del posto, non pensava ad altro». Nelle ultime settimane si
era chiuso in se stesso e, quando la sorella tentava di
comunicare con lui, Luigi affidava la sua ossessione a poche
frasi allucinate: «Mi perseguitano, vogliono che muoia. Hanno
deciso di uccidermi perché faccio parte dei disoccupati
organizzati». «Che dici, chi può volerti morto?», insisteva
Clelia, che tentava inutilmente di ricondurlo alla realtà. Ma
lui non rispondeva. L’assassino di cui Luigi parlava era
dentro di lui, ed è uscito allo scoperto. Era ormai sera,
quando ha salutato i compagni nella sede del movimento in via
Botteghelle, un budello nel quartiere periferico di
Ponticelli. Ha fatto pochi passi, poi si è infilato in un
cortile. Sapeva già che cosa avrebbe fatto, aveva con se una
tanica piena di benzina: ne ha bevuto una parte, il resto l’ha
versato sugli abiti ed ha acceso un fiammifero. I suoi amici
l’hanno soccorso. Sono riusciti a spegnere le fiamme e l’hanno
portato in ospedale dove i medici hanno tentato di salvargli
la vita. Inutilmente.
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