LODI —
E' allarme per gli infortuni nei luoghi di lavoro del
Lodigiano. Impressionante, poi, l'escalation degli incidenti
mortali. Bastano, per tutti, gli episodi degli ultimi mesi: un
18enne di Codogno rimasto ucciso alla Unipre di Casalmaiocco,
un uomo ferito mortalmente da un attrezzo agricolo in una
cascina di Lodi e, lunedì scorso, l'albanese 25enne
schiacciato dal muletto su cui stava lavorando al caseificio
«Stella Bianca» di Ossago. Poca prevenzione Neanche il
tempo di fare un bilancio ed ecco, ieri, l'operaio che ha
perso un dito e rischiato l'amputazione della mano sinistra
alla Mapre di San Martino. Un «bollettino di guerra» che ha
indotto la Cgil a progettare, dal prossimo autunno, l'apertura
di uno sportello-sicurezza e a scendere in campo per dire
basta a questo stillicidio di vittime. «In apparenza sembra
che si tratti di incidenti casuali - afferma Dino Cattaneo,
responsabile del nascente osservatorio della Cgil -. In realtà
non si tratta di disattenzioni, ma di mancanza di
informazione. I lavoratori spesso non conoscono neppure i
pericoli possibili. E sulla prevenzione il lavoro è ancora
lungo. La legge 626, che si occupa della tutela della salute
nei luoghi di lavoro, è stata pensata per le grandi aziende.
In quelle medio-piccole e nel caso di lavoratori autonomi,
artigiani o agricoltori, dove chi è responsabile della
sicurezza è anche la vittima potenziale, resta spesso una
normativa sulla carta». Tre morti al giorno Così, in
Italia, si registrano 500mila infortuni l'anno, tre morti al
giorno. I problemi sono tanti. «Non si può demandare la
responsabilità della sicurezza alla legge - dice Cattaneo -.
L'imprenditore trova un incaricato che predispone i piani di
valutazione del rischio; i lavoratori nominano un proprio
responsabile della sicurezza. Ma in mezzo non c'è anello di
congiunzione». E poi, appunto, c'è il nodo dell'informazione:
«Fino a pochi anni fa, il lavoratore conosceva il ciclo di
produzione e i rischi connessi. Adesso il livello di
conoscenza sta calando». Il problema delle coop Un fronte
aperto è poi quello delle cooperative, che effettuano parte
del lavoro per conto terzi. Forse non è un caso che sia la
vittima dell'Unipre sia quella della Stella Bianca fossero
dipendenti di cooperative, entrambi giovani (18 e 25 anni) e
dunque meno esperti. «Nel caso delle coop, i dipendenti
vengono mandati a lavorare in realtà produttive che spesso non
conoscono. Inoltre il ricambio di personale è assai diffuso.
Le paghe sono molto basse, la copertura assicurativa parziale.
Spesso c'è un fisso di 800mila lire al mese, con
l'assicurazione, e poi una retribuzione che può andare dalle
2mila alle 12mila lire all'ora. E' un lavoro precario, è
considerato il primo impiego per chi ha bisogno di lavorare e
intanto cerca qualcos'altro. Per cui la formazione è
praticamente inesistente».
di Laura De Benedetti
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