20 Giu 2001 03:36
 
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«Al lavoro come in guerra»


LODI — E' allarme per gli infortuni nei luoghi di lavoro del Lodigiano. Impressionante, poi, l'escalation degli incidenti mortali. Bastano, per tutti, gli episodi degli ultimi mesi: un 18enne di Codogno rimasto ucciso alla Unipre di Casalmaiocco, un uomo ferito mortalmente da un attrezzo agricolo in una cascina di Lodi e, lunedì scorso, l'albanese 25enne schiacciato dal muletto su cui stava lavorando al caseificio «Stella Bianca» di Ossago.
Poca prevenzione Neanche il tempo di fare un bilancio ed ecco, ieri, l'operaio che ha perso un dito e rischiato l'amputazione della mano sinistra alla Mapre di San Martino. Un «bollettino di guerra» che ha indotto la Cgil a progettare, dal prossimo autunno, l'apertura di uno sportello-sicurezza e a scendere in campo per dire basta a questo stillicidio di vittime. «In apparenza sembra che si tratti di incidenti casuali - afferma Dino Cattaneo, responsabile del nascente osservatorio della Cgil -. In realtà non si tratta di disattenzioni, ma di mancanza di informazione. I lavoratori spesso non conoscono neppure i pericoli possibili. E sulla prevenzione il lavoro è ancora lungo. La legge 626, che si occupa della tutela della salute nei luoghi di lavoro, è stata pensata per le grandi aziende. In quelle medio-piccole e nel caso di lavoratori autonomi, artigiani o agricoltori, dove chi è responsabile della sicurezza è anche la vittima potenziale, resta spesso una normativa sulla carta».
Tre morti al giorno Così, in Italia, si registrano 500mila infortuni l'anno, tre morti al giorno. I problemi sono tanti. «Non si può demandare la responsabilità della sicurezza alla legge - dice Cattaneo -. L'imprenditore trova un incaricato che predispone i piani di valutazione del rischio; i lavoratori nominano un proprio responsabile della sicurezza. Ma in mezzo non c'è anello di congiunzione». E poi, appunto, c'è il nodo dell'informazione: «Fino a pochi anni fa, il lavoratore conosceva il ciclo di produzione e i rischi connessi. Adesso il livello di conoscenza sta calando».
Il problema delle coop Un fronte aperto è poi quello delle cooperative, che effettuano parte del lavoro per conto terzi. Forse non è un caso che sia la vittima dell'Unipre sia quella della Stella Bianca fossero dipendenti di cooperative, entrambi giovani (18 e 25 anni) e dunque meno esperti. «Nel caso delle coop, i dipendenti vengono mandati a lavorare in realtà produttive che spesso non conoscono. Inoltre il ricambio di personale è assai diffuso. Le paghe sono molto basse, la copertura assicurativa parziale. Spesso c'è un fisso di 800mila lire al mese, con l'assicurazione, e poi una retribuzione che può andare dalle 2mila alle 12mila lire all'ora. E' un lavoro precario, è considerato il primo impiego per chi ha bisogno di lavorare e intanto cerca qualcos'altro. Per cui la formazione è praticamente inesistente».

di Laura De Benedetti


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