CITTADELLA CAMPOSAMPIERO |
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San Giorgio in Bosco. L'autopsia riapre il giallo sulla
fine di un operaio precipitato dal camion in un cantiere di
Piazzola «Non fu infarto, ma infortunio» L'angoscia dei familiari: «Ora
vogliamo sapere com'è successo» Su Odino Favero il medico legale ha
riscontrato fratture e lesioni alla testa fatali
di Giuliano Doro
SAN GIORGIO IN BOSCO. Nessun malore,
piuttosto una morte causata da «un gravissimo infortunio o incidente di
lavoro». A queste conclusioni è arrivato Fabio Fenato, il medico legale
nominato dalla famiglia di Odino Favero, 54 anni, morto il 28 maggio in un
cantiere a Piazzola. La penserebbe allo stesso
modo il medico legale Zancaner, nominato dal pubblico ministero padovano
Orietta Canova che nei prossimi giorni depositerà la sua perizia. Il caso,
dunque, si riapre. Sono i familiari che chiedono alla Procura di fare
chiarezza. «Sono arrivato sul posto: mio fratello era supino, le mani
giunte, gli occhi al cielo, sotto alla testa un sacco di nylon e neppure
una goccia di sangue, nonostante le fratture distruttive al cranio»,
racconta Mario Favero, imprenditore edile. «Una scena surreale,
incredibile per una morte. Guido Nardello, che dice di essere stato
l'unico testimone, racconta di aver visto mio fratello accasciarsi a
terra, con le mani giunte. Lui avrebbe continuato a scaricare dal camion
prima di preoccuparsi di dare l'allarme». Questa è soltanto una delle
decine di versioni fornite dai testimoni sia ai familiari che al datore di
lavoro di Odino «Meni» Favero, Adriano Scolaro della Tre Esse. Nessuna
combacerebbe con le altre. Mario Favero è convinto che l'incidente sia
avvenuto altrove e il corpo, come il camion che «Meni» guidava, sia stato
portato all'interno del cantiere. Sono molte le testimonianze anonime che
giungono in queste ore, confermano i familiari, per lo più da operai
extracomunitari nel cantiere. «Non siamo noi a dare giudizi, ma nulla
delle molte ricostruzioni effettuate della morte di Odino si spalma sui
riscontri dei medici legali: sono state riscontrate fratture a un polso,
pesanti lacerazioni a una spalla, la nuca fracassata, la fronte spaccata
da un taglio che fende il cranio per 6-7 centimetri, tre litri di sangue
nei polmoni, tranciata una vertebra cervicale: quest'ultima la causa della
morte istantantanea». La versione viene confermata dal datore di
lavoro, Adriano Scolaro. Insieme ai familiari si è fatto carico delle
spese legali affidandosi alla consulenza dello Studio Ali di Vigonza per
arrivare alla verità. «Nessuna delle ricostruzioni fatte può adattarsi
alla realtà - aggiunge Mario Favero - Nel cantiere di Nardello si usava
una forca applicata a una terna (ruspa), Meni non doveva per alcun motivo
trovarsi sopra il camion: quel che è certo è che non voleva mai andare a
consegnare in quel cantiere, diceva che ne succedevano di cotte e di
crude. Come è certo che non è morto per infarto». Venticinque anni di
esperienza non l'avrebbero mai portato sopra o sotto (perché i testimoni
non concorderebbero neppure su questo) quel camion dove è stato rinvenuto
cadavere: «Lì c'è stato trasportato, tutto intorno non ci sono neppure le
tracce dei movimenti delle macchine», denuncia il fratello. Interviene
anche il sindaco Leopoldo Marcolongo: «Ho sentito Fabio Nardello
(l'amministratore dell'omonimo gruppo), mi riferisce che non esistono
responsabilità per la sua ditta, ma a questo punto chiedo che la
magistratura faccia al più presto chiarezza: almeno per la famiglia di
Odino».
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