MILANO - Omicidio colposo
e lesioni personali gravissime. Con queste accuse oggi a
Milano il Giudice per le udienze preliminari Silvana
Petromer ha disposto il rinvio a giudizio di due ex
dirigenti, Umberto Marino e Vitantonio Schirone, della
Breda Fucine, fabbrica tra Sesto San Giovanni e Milano,
per la morte di sei operai e per la grave malattia di un
settimo, probabilmente dovute all'inalazione di amianto
nel luogo di lavoro. La prima udienza si terra' il 14
novembre prossimo presso la nona sezione penale del
Tribunale di Milano. Per l'occasione,
al Tribunale di Milano il Comitato ha riunito una
cinquantina di persone (operai, ex operai e familiari):
molti sono rimasti fuori dalla piccola aula dell'udienza
preliminare. La vicenda dei morti della Breda
(l'associazione ne ha contati una quarantina tra morti e
malati gravi, ma il processo di novembre riguarderà solo
sette casi), cominciata a livello giudiziario nel '96,
quando il Comitato presentò la prima denuncia, approderà
dunque in un'aula di Tribunale.
Soddisfatto il legale del
Comitato, il milanese Sandro Clementi, che ha portato
avanti la battaglia sul piano giudiziario: ''Certo che
siamo contenti -dice- ma c'e' anche un po' di amarezza.
Quanto tempo e quanto impegno ci sono voluti per avere
un riconoscimento, postumo e tardivo, di ciò che
sapevamo tutti da decenni, che in quella fabbrica, cioè,
gli operai morivano. Ora ci ritroviamo con due imputati
di ottant'anni, gli altri sono tutti morti''. ''Me lo
aspettavo -commenta Giuseppe Frigo, legale dell'ex
dirigente della Breda Umberto Marino - ma sono
preoccupato, perché in questo modo si illudono molte
persone''.Per Silvia Fraschini, legale di Schirone,
''non c'è nesso causale'' tra le morti dei lavoratori e
le sostanze usate nella lavorazione delle aste da
trivellazione petrolifera (amianto in testa, ma anche
cromo, nichel e altre), uno dei prodotti della Breda
Fucine. Oggi a palazzo di Giustizia c'era anche G.M.,
sulle spalle dieci anni di Breda e un presente a lottare
con il cancro, l'unico ancora in vita dei sette
lavoratori oggetto del processo: ''Il caporeparto
-ricorda- voleva solo sapere se l'asta era stata molata
e verniciata a dovere. Non gli fregava niente se noi
stavamo male per la polvere, gli interessava solo la
produzione''.
Gli operai, al reparto
Aste della Breda Fucine, usavano teli di amianto per
ripararsi dalle scintille prodotte dalla saldatura dei
pezzi (con il metodo detto appunto dello scintillio),
nonché grembiuli di amianto: metallo che, usurandosi,
rilasciava fibre nell'ambiente, che venivano 'soffiate'
via con l'aria compressa. Va ricordato che una sola
fibra di amianto inalata puo' dar luogo, con
un'incubazione anche molto lunga, ad un particolare
tumore della pleura, detto mesotelioma, e ad altre gravi
patologie. G.M. ogni tanto si sentiva male, per quella
polvere, e andava in infermeria: ''Dicevano che era
colpa del caldo o del cibo -ricorda- io ci ho creduto,
fincheé nel '97, quando avevo già lasciato la Breda da
anni, mi sono sentito male, a
Milano''.
''Al Pronto soccorso
-continua G.M.- mi hanno diagnosticato un tumore allo
stomaco, Mi hanno operato già una volta e sono tuttora
in osservazione''. Un altro ex operaio della Breda,
Giampaolo Gobbo, rievoca un episodio significativo:
''Nella prima metà degli anni 70 -ricorda- alla Breda
Fucine era arrivato un macchinario per la lavorazione
delle aste, il Flashwell, comprato di seconda mano da
una ditta americana. All'inizio degli anni 80 venne un
tecnico dagli Usa per ripararlo. Io lo accompagnai in
albergo: non parlo inglese, ma il portiere fece da
interprete. A un certo punto, mi chiede: 'hanno
già
iniziato a
morire anche qui da voi gli operai?'. Io rispondo no,
chiedo che cosa voleva dire, ma lui tronca lì il
discorso. Non capivo cosa intendeva: l'ho capito anni
dopo -conclude- quando hanno iniziato a morire uno per
uno i miei compagni di lavoro''.
(20
giugno 2001, ore
11:30) |