"Ho visto quel ragazzo schiantarsi
al suolo" Il racconto di ex operaio dell'Ilva di Taranto,
distrutto da un lavoro rischioso e colpito dagli infortuni
ORNELLA BELLUCCI - TARANTO
Le statistiche sul 2000 assegnavano a
Taranto la "maglia nera" degli infortuni sul lavoro, con 113
incidenti ogni 1.000 addetti. Dietro la freddezza dei numeri
ci sono tante storie, molte si possono raccogliere tra i 12
mila dipendenti dell'Ilva di Taranto. Un ex operaio del
siderurgico, che oggi ha 31 anni, racconta la sua. "Sono
entrato nell'agosto del '98 insieme ad altri ragazzi. Fui
messo subito alla manutenzione lingottiere. Non avevamo
esperienza. Lavavamo le lingottiere sugli stalli, a sei metri
dal suolo. Le lingottiere servono a dar forma alle "bramme",
il minerale incandescente che viene versato sui cilindri per
saldarli. Eravamo almeno in tre su ognuna".Avete
ricevuto una formazione?
Dopo i due mesi di prova. Su un pacchetto di 200 ore
tra pratica e teoria, ho fatto 3 ore di teoria, così
strutturate: come si legge la busta paga, come ci si comporta
nello stabilimento e un'ora con i pompieri. Il tutto a
scadenza contratto. Noi eravamo quasi tutti ragazzi, mandarci
in formazione significava lasciare sguarnito il posto di
lavoro. Quello che so fare l'ho imparato dagli operai.
Di sicurezza si è parlato?
Ho fatto un'ora dedicata ai gas, ma dopo un anno di
stabilimento. Le condizioni di lavoro sono a rischio. Non c'è
controllo. A tre giorni dall'assunzione nel mio reparto c'è
stata una morte. Ho visto un ragazzo precipitare nel vuoto.
Stava collaudando il tetto dell'officina. Ha messo un piede in
fallo. E' morto sul colpo. Lavorava per una ditta esterna.
Spettava al responsabile aziendale accertarsi che i dipendenti
della ditta fossero muniti del materiale di sicurezza. Quel
ragazzo non ce l'aveva.
Cosa ricordi di quei momenti?
Le urla, e il tonfo assordante. E la gente che continuava a
lavorare perché non se n'era accorta. Qualcuno ha chiamato il
pronto soccorso. A noi hanno detto di stare lontani.
All'inizio più di un capo aveva tentato di far passare
un'altra versione. "Se diciamo che è morto fuori dallo
stabilimento è meglio". Quando c'era un incidente grave, si
bloccava il reparto per un'ora e si andava a protestare sotto
la direzione. Ma le minacce dei capi incutevano timore,
soprattutto ai giovani. "Se andate lì, scordatevi la
conferma".
Chi si è mosso?
Dei ragazzi nessuno: andammo a metà strada. Gli
ideali non servono lì dentro. L'obiettivo era salvare il
posto. Il ragazzo morì il lunedì, alla scadenza dei miei mesi
di prova. Dopo tre giorni l'infortunio è toccato a me. Era
fine turno. Potevano essere le 15. L'officina era un ingorgo
di persone. Una settantina, tra turnisti e nuove leve. Avevo
imbragato, secondo le procedure di sicurezza che mi avevano
insegnato gli anziani, una "faccia stretta": un enorme blocco
di rame e ghisa. L'avevo sistemata sul bancone, quando un
ragazzo, neo assunto, ha staccato parte dei miei supporti per
imbragare l'altra faccia, non considerando che il carroponte
l'avrebbe alzata per portarla a destinazione. Azionato il
carroponte e sollevato il blocco, la faccia stretta si è
staccata precipitando in velocità. Istintivamente ho cercato
di afferrarla: uno spigolo mi ha tagliato il polpastrello,
finendomi sul piede. Non avevo il casco. Se ti vedevano
lavorare senza non ti dicevano niente, eppure sulle nostre
teste c'era una struttura in amianto che cadeva a pezzi. Ci
era stato dato, ma non potevamo usarlo perché durante il
lavoro non avremmo sentito i rumori, lo mettevamo solo quando
veniva Riva junior. La prima preoccupazione è stata: "adesso
mi buttano fuori". L'unica ambulanza dell'Ilva non era
disponibile: era stata mandata in cokeria. Usciamo, fermiamo
il primo furgoncino e ci facciamo portare al pronto soccorso.
Mi hanno staccato un bonus di 10 giorni e invitato a fare dei
controlli. Poi sono rientrato al lavoro, senza passare la
visita di controllo. Il giorno dopo sono stato messo di nuovo
sul ciclo produttivo.
Ricordi altri infortuni sul posto di lavoro?
Molti, specie alle mani. Non venivano denunciati.
Ricordo anche la morte di un operaio investito da un muletto
al treno nastri, dopo aver lavorato per 12 ore. Oltre alle 12
ore se ne facevano almeno 10 di straordinario.
Vi siete mai rivolti al sindacato?
Sì. A parte la sicurezza, chiedevamo spogliatoi
umani, armadietti con una porta e acqua potabile. Non ce
n'era, ci davano i bustoni di carta. Siamo stati per 4 mesi
senza bagno.
Com'è finito il tuo rapporto con l'azienda?
Mi sono ammalato di stress. La mia vita privata era
morta. Lavoravo 12 ore al giorno: sveglia alle 5, alle 6i ero
in stabilimento. Staccavo alle 16, e alle 17 ero ancora in
fila per uscire dal parcheggio. Il mio fisico non ha retto
più.
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