20 Giugno 2001
 
 
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"Ho visto quel ragazzo schiantarsi al suolo"
Il racconto di ex operaio dell'Ilva di Taranto, distrutto da un lavoro rischioso e colpito dagli infortuni
ORNELLA BELLUCCI - TARANTO

Le statistiche sul 2000 assegnavano a Taranto la "maglia nera" degli infortuni sul lavoro, con 113 incidenti ogni 1.000 addetti. Dietro la freddezza dei numeri ci sono tante storie, molte si possono raccogliere tra i 12 mila dipendenti dell'Ilva di Taranto. Un ex operaio del siderurgico, che oggi ha 31 anni, racconta la sua. "Sono entrato nell'agosto del '98 insieme ad altri ragazzi. Fui messo subito alla manutenzione lingottiere. Non avevamo esperienza. Lavavamo le lingottiere sugli stalli, a sei metri dal suolo. Le lingottiere servono a dar forma alle "bramme", il minerale incandescente che viene versato sui cilindri per saldarli. Eravamo almeno in tre su ognuna".Avete ricevuto una formazione?

Dopo i due mesi di prova. Su un pacchetto di 200 ore tra pratica e teoria, ho fatto 3 ore di teoria, così strutturate: come si legge la busta paga, come ci si comporta nello stabilimento e un'ora con i pompieri. Il tutto a scadenza contratto. Noi eravamo quasi tutti ragazzi, mandarci in formazione significava lasciare sguarnito il posto di lavoro. Quello che so fare l'ho imparato dagli operai.

Di sicurezza si è parlato?

Ho fatto un'ora dedicata ai gas, ma dopo un anno di stabilimento. Le condizioni di lavoro sono a rischio. Non c'è controllo. A tre giorni dall'assunzione nel mio reparto c'è stata una morte. Ho visto un ragazzo precipitare nel vuoto. Stava collaudando il tetto dell'officina. Ha messo un piede in fallo. E' morto sul colpo. Lavorava per una ditta esterna. Spettava al responsabile aziendale accertarsi che i dipendenti della ditta fossero muniti del materiale di sicurezza. Quel ragazzo non ce l'aveva.

Cosa ricordi di quei momenti?

Le urla, e il tonfo assordante. E la gente che continuava a lavorare perché non se n'era accorta. Qualcuno ha chiamato il pronto soccorso. A noi hanno detto di stare lontani. All'inizio più di un capo aveva tentato di far passare un'altra versione. "Se diciamo che è morto fuori dallo stabilimento è meglio". Quando c'era un incidente grave, si bloccava il reparto per un'ora e si andava a protestare sotto la direzione. Ma le minacce dei capi incutevano timore, soprattutto ai giovani. "Se andate lì, scordatevi la conferma".

Chi si è mosso?

Dei ragazzi nessuno: andammo a metà strada. Gli ideali non servono lì dentro. L'obiettivo era salvare il posto. Il ragazzo morì il lunedì, alla scadenza dei miei mesi di prova. Dopo tre giorni l'infortunio è toccato a me. Era fine turno. Potevano essere le 15. L'officina era un ingorgo di persone. Una settantina, tra turnisti e nuove leve. Avevo imbragato, secondo le procedure di sicurezza che mi avevano insegnato gli anziani, una "faccia stretta": un enorme blocco di rame e ghisa. L'avevo sistemata sul bancone, quando un ragazzo, neo assunto, ha staccato parte dei miei supporti per imbragare l'altra faccia, non considerando che il carroponte l'avrebbe alzata per portarla a destinazione. Azionato il carroponte e sollevato il blocco, la faccia stretta si è staccata precipitando in velocità. Istintivamente ho cercato di afferrarla: uno spigolo mi ha tagliato il polpastrello, finendomi sul piede. Non avevo il casco. Se ti vedevano lavorare senza non ti dicevano niente, eppure sulle nostre teste c'era una struttura in amianto che cadeva a pezzi. Ci era stato dato, ma non potevamo usarlo perché durante il lavoro non avremmo sentito i rumori, lo mettevamo solo quando veniva Riva junior. La prima preoccupazione è stata: "adesso mi buttano fuori". L'unica ambulanza dell'Ilva non era disponibile: era stata mandata in cokeria. Usciamo, fermiamo il primo furgoncino e ci facciamo portare al pronto soccorso. Mi hanno staccato un bonus di 10 giorni e invitato a fare dei controlli. Poi sono rientrato al lavoro, senza passare la visita di controllo. Il giorno dopo sono stato messo di nuovo sul ciclo produttivo.

Ricordi altri infortuni sul posto di lavoro?

Molti, specie alle mani. Non venivano denunciati. Ricordo anche la morte di un operaio investito da un muletto al treno nastri, dopo aver lavorato per 12 ore. Oltre alle 12 ore se ne facevano almeno 10 di straordinario.

Vi siete mai rivolti al sindacato?

Sì. A parte la sicurezza, chiedevamo spogliatoi umani, armadietti con una porta e acqua potabile. Non ce n'era, ci davano i bustoni di carta. Siamo stati per 4 mesi senza bagno.

Com'è finito il tuo rapporto con l'azienda?

Mi sono ammalato di stress. La mia vita privata era morta. Lavoravo 12 ore al giorno: sveglia alle 5, alle 6i ero in stabilimento. Staccavo alle 16, e alle 17 ero ancora in fila per uscire dal parcheggio. Il mio fisico non ha retto più.

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