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Mercoledì 11 Luglio 2001
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Abbandonato morente
nel cantiere
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I due compagni di
lavoro romeni sono fuggiti
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Alberto
Gaino Inchiesta per
omicidio colposo dopo la morte di un operaio edile maghrebino
schiacciato da una putrella e abbandonato dai compagni di
lavoro. Due romeni, clandestini, che se la sono svignata. Il
cantiere era tutt’altro che isolato: un bar in
ristrutturazione che si affaccia su corso Francia. Da dietro
le serrande abbassate dai fuggiaschi filtravano i lamenti del
poveretto. Sono occorse due ore e mezzo per far accorrere
l’appaltatore e un’ambulanza. L’immigrato, da 13 anni a
Torino, è morto in serata. Nessuno aveva denunciato niente.
Fuorché la famiglia della vittima, tre giorni dopo. Le
indagini sono alle prime battute. Il pm Sara Panelli: «Per ora
non ne sappiamo nulla, tanto meno dei romeni. Presumiamo
soltanto che ci fossero, sulla base della denuncia dei parenti
della vittima». «Rachid? Sono Antonello... Domani abbiamo
bisogno di te. Mio cognato si è fatto male e tu devi
sostituirlo. Sono già d’accordo con il tuo capo: c’è una
putrella da sistemare in un bar in ristrutturazione. Troverai
due ragazzi, per aiutarti». E’ la sera del 4 luglio, Rachid
Jebbar compirà 40 anni il prossimo 13 agosto. Non sogna più di
sfondare nel rugby, come quando era ragazzo ed era arrivato
alla serie A del campionato marocchino. Aveva una laurea in
architettura quando scappò dalla povertà del suo paese. Che
poteva fare? Il muratore. E Rachid l’ha fatto senza
risparmiarsi. Ha lavorato per grandi gruppi industriali a
costruire ponti e dighe. Nel 1991 è tornato a casa a sposarsi
la sua Naja Fatima. Due anni dopo la porterà a Torino. Insieme
risparmiano, comprano due stanze in via Guastalla 22, per loro
e per Bader, il figlio che verrà nel 1996. La sera del 4
luglio, spento il cellulare, Rachid può guardarsi intorno
orgoglioso: sotto i tetti di Vanchiglia ha trasformato con le
sue mani un tugurio, all’ultimo piano del vecchio caseggiato
di ringhiera, in un appartamento. Là dentro ci sono il lavoro
dell’architetto e del muratore, i due Rachid; la stanzetta per
il bambino, ancora da finire, e un bagno che sembra
affacciarsi dal sogno di uno spot televisivo. L’uomo non sa
che la sua vita è agli sgoccioli. Va a letto per l’ultima
volta pensando ai suoi prossimi 40 anni e alla famiglia
riunita sotto lo stesso tetto. Mezzogiorno del giorno
dopo. Dai negozi vicini sentono un gran frastruono provenire
dal numero civico 311/A di corso Francia. Nessuno ora sa
nulla, ha visto nulla, ma qualcuno ha pur raccontato al
fratello di Rachid - Hassan, operaio metalmeccanico
nell’Astigiano, moglie di quelle parti e due figli piccoli -
dei romeni in fuga e delle telefonate per rintracciare il
titolare dell’impresa appaltatrice, la «Enrico De Luca», che
aveva passato i lavori alla «Edil Chiara». Jebbar aveva
lavorato per quest’aziendina ed era stato richiamato a dare
una mano in una situazione d’emergenza. Lo sapevano veloce,
preciso, silenzioso. E aveva tutti quei padroni e padroncini,
ma sempre con i libretti di lavoro a posto. Magari veniva
pagato in ritardo e male. Magari qualcuno non aveva versato le
quote per gli assegni familiari di Bader o non gli aveva
saldato l’intera liquidazione. Ma lo cercavano ancora e lui
non si tirava indietro. Storia segnata la sua, anche nella
fine: quando finalmente un ispettore dell’Asl, spedito dal
procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, si presenta
all’ospedale Cto - dove giovedì 5 luglio, alle 20,50, Rachid
era morto «per schiacciamento dell’addome» - recupera un’altra
identità e il fascicolo giudiziario, sabato scorso, viene
aperto con, sulla copertina, il nome di una vittima
inesistente: Jasmid Raskal, di nazionalità tunisina. «Tutto
questo è successo perché mio fratello è straniero?» chiede
Hassan. Dall’altra parte della città, Guariniello non nasconde
il suo disappunto: «Ci stiamo occupando anche di questo, gli
incidenti sul lavoro hanno la priorità. Silenzi e negligenze
sono imperdonabili». Il piccolo Bader non sa ancora e
Fatima non ha più lacrime. Il bambino è nato a Torino, va alla
scuola materna «Rodari» dietro casa, parla l’italiano quanto
l’arabo. Rachid avrebbe voluto che restassero e che il piccolo
crescesse nei 40 metri quadrati freschi di calce che lui aveva
plasmato. Dice semplicemente Fatima: «Questa casa l’abbiamo
aggiustata insieme. E’quel che ci resta di lui». Resteranno.
LA TRAGEDIA DI UN MURATORE STRANIERO NESSUNO HA DENUNCIATO
L’INCIDENTE
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