Centro scolastico "Antonio Rosmini" - Castelnuovo Valsugana
P R A G M A T E I A
Annuario scolastico per l'anno 1943 - 44
T.E.M.I. - TRENTO
PARTE II
CONTRIBUTI CULTURALI DEGLI INSEGNANTI
PROFILO STORICO DELLA VALSUGANA INFERIORE
La storia degli uomini è fatta di prepotenze, di violenze, d'inganni: noi, per tradizionale abitudine, crediamo di conoscere la storia dei popoli attraverso le vicende delle dinastie, dei conquistatori, delle guerre. E ignoriamo, abbagliati dai fatui splendori, la storia " vera" degli uomini: di quegli umili, che sono accomunati nel nome collettivo di popolo, di quelle migliaia che nascono, vivono, lavorano e soffrono e forse capiscono il senso della vita più di quelli che credono di reggerne le sorti.
Tra le vallate trentine, la Valsugana non ha avuto negli ultimi 50 anni vero e proprio interessamento da parte di storici e studiosi; di fronte alle numerose opere di minore e maggiore mole che rievocano il passato di altre plaghe della nostra regione, essa in quest'ultimo tempo non ha trovato chi si interessasse di farne conoscere le vicende e la storia.
Le ragioni di questo fatto sono da ricercarsi in vari motivi: anzitutto la mancanza nella Valsugana di un vero e proprio centro culturale (come ad esempio fu Rovereto per la Vallagarina) dove sorgessero istituzioni tali da favorire gli studi e le indagini di storia locale. La popolazione, dedita in prevalenza all'agricoltura e all'allevamento del bestiame non trovò modo di dare incremento e sviluppo ai commerci e alle industrie che in piccola parte; e il sistema feudale che prevalse si può dire fino alle epoche a noi più vicine non permise lo sviluppo di quelle forme di libera vita comunale che sono evidenti in altri luoghi (cito ancora Rovereto e Riva) e che naturalmente favoriscono il formarsi di una più ricca coscienza civica e di conseguenza un maggior interessamento ai problemi storici e culturali e alle associazioni ed istituti di tale natura.
Di qui proviene anche la fama non proprio ideale di cui la vallata gode presso il resto della popolazione trentina, dovuta, oltre ai fatti cui sopra accennammo, anche a quella lieve tinta di inerzia acquiescente che assai spesso si rivela nel carattere dei suoi abitanti e che fa notevole contrasto con 1' intraprendenza e l'operosità e la capacità d'impegno che rivelano gli abitanti di altre vallate trentine.
Il nostro scopo ad ogni modo è quello di delineare brevemente, in un succinto riepilogo, i fatti più importanti della storia della Valsugana, in modo da invogliare i giovani che ad essa sono legati e che in numero sempre più considerevole frequentano le nostre scuole, a curarsi di conoscere più da vicino i fatti riguardanti la vita della loro valle e crearvi un ambiente più vivace e più propizio all' auspicato risveglio economico e culturale della loro terra.
Alle origini della storia della Valsugana sta un difficile ed insoluto problema etnografico: quello cioè sulla stirpe cui appartennero i suoi primi abitanti: Euganei, Galli, Veneti sono le popolazioni che gli storiografi dell'antichità suppongono abitatrici della valle formata dall'alto corso del Brenta. Le discordanze fra gli storici del resto sono notevoli: Giustino nel libro XXI delle storie chiama Trento città gallica, Plinio al contrario, (III, 20) definisce Trento e Feltre " Oppida Rhaetica "; Strabone chiama gli abitanti della Valsugana Medoaci (Medoacus era il nome antico della Brenta). Si sa con certezza che la Valsugana fu abitata fin dall' età preistorica e tale affermazione è convalidata dai rinvenimenti di carattere archeologico, particolarmente dell' età del bronzo e del ferro.
Molto difficile invece risulta stabilire quali popolazioni siano quelle cui appartennero questi primi abitatori: e questa incertezza non va riferita solo alla Valsugana, ma a tutte le valli trentine. Le stesse origini di Trento trovano, come già vedemmo, discordanze di affermazioni e di ipotesi da parte degli storici dell'antichità: ed anche oggi il problema è impostato più che risolto.
Comunque durante l' età romana la valle ha già il suo nome acquisito di "Ausuganea ". L' " Itinerarium Antonini " sulla cui scorta possiamo conoscere il percorso delle antiche strade romane 1), nomina Ausugum (oggi Borgo) distante da Trento 24 mila passi, 30 mila da Feltre.
La strada militare romana partiva, come è noto, da Altinum, per raggiungere a Tridentum la Via Claudia Augusta che risaliva il corso dell' Adige; passava da Feltre e attraverso Fonzaso, Lamon, Tesino, Castel Nerva e Castel Arnana risaliva verso Telve e Torcegno per scendere poi alla volta del lago di Novaledo; passava tra i due laghetti di Levico e Caldonazzo (a Tenna furono trovate vestigia della strada romana) (1), raggiungeva Pergine, Civezzano e di lì discendeva a Tridentum, evitando così gli anfratti del basso Fersina.
È quindi chiaro come la Valsugana storicamente gravitasse verso la Venezia anziché verso il Trentino: sia perché le vie di comunicazione dei popoli sono quasi sempre determinate dal corso dei fiumi sia perché la stretta dirupata del corso del Fersina impediva facili e normali comunicazioni con Trento: mentre facilissime esse erano col Vicentino attraverso Lavarone, col Bellunese e Padovano attraverso Tesino-Lamon.
Ausugum, stazione militare romana, diede poi il nome alla valle e ai suoi abitanti.
L'esistenza di oasi di lingua tedesca nelle terre di Lavarone e di Pergine (e una volta anche in quelle di Roncegno) è spiegata diversamente. La tradizione storica ammette che i primi abitatori siano popolazioni cimbriche ritiratesi lassù dopo la disfatta subita ad opera di Mario nel 102 a. C.; e che i secondi, detti comunemente " mocheni " probabilmente derivino da colonie formatesi nell'epoca delle Invasioni (sec. VI) durante il dominio longobardico. Né la tradizione che vuole riferirsi ai Cimbri, né quella dei Longobardi hanno fondamento storico: i primi tedeschi vi vennero importati all' epoca di Federico Vanga (1208-1218) e nei periodi successivi per i lavori minerari (cfr. Gerola, Stolz, ecc.)
Sulla questione dei " mocheni " ci sono ancora discussioni e controversie; il Perini dice queste popolazioni emigrate nei bassi tempi feudali, il Bottea (Cronaca di Folgaria) li suppone venuti nel secolo X, soprattutto come legnaioli e lavoratori nelle miniere (2). È questione complicata e difficile; e qui non possiamo se non accennarvi di sfuggita.
La Valsugana dunque, che sappiamo inscritta alla tribus Publicia, non venne unita al municipio di Trento, che apparteneva come è ben noto alla tribù Papiria; ma a Feltre, con la quale città ha appunto comune la tribù; e anche in seguito, diffusosi il Cristianesimo essa non appartenne alla chiesa tridentina, ma forse alla padovana prima, poi sicuramente alla feltrense fino al 1785, anno in cui un decreto Concistoriale univa le parrocchie della Valsugana alla diocesi di Trento.
Interessante documento è la lettera di Teodorico (493-526) che troviamo riportata nel V libro delle "Variae " di Cassiodoro, in cui si ordina agli abitanti della Valsugana, definiti "possessores feltrini" di contribuire alla costruzione della nuova cinta di fortificazioni di Trento: "pedaturam murorum omnes in commune subeatis qui vicinitate iungimini"; donde sembra potersi arguire che non solo gli abitanti della Valsugana Inferiore, ma quelli altresì della Superiore erano sottoposti alla giurisdizione del magistrato di Feltre.
Nel 568 avviene 1'invasione longobardica: questo popolo entrato attraverso il Friuli, conquistata la Venezia s'estese anche verso le Alpi (in un primo tempo la loro capitale fu Verona). Trento fu uno dei primi ducati eretti dai Longobardi dopo la morte di Clefi, e Paolo Diacono ci lasciò il nome del primo duca, Evino.
Ma se al Ducato di Trento sia stata aggregata pure la Valsugana non ci è dato sapere; la cosa è del resto assai probabile; come è certo che alcune delle sue fortificazioni in Alsuca, cioè nel territorio del romano Ausugum, vennero abbattute dai Franchi ed Alemanni che nel 590 invasero il territorio dei Longobardi, durante il regno del re franco Chilperico.
Il regno longobardico, che ridusse a semplici aldioni i vecchi possessores romani, si impose con vari mezzi radicali; e riuscì perfino a sostituire il nome del vecchio Medoaco con quello nuovo di Brenta. Segno evidente che un buon nucleo di popolazione longobarda riuscì a fissare la sua sede nella valle. Esso ha fine nel 774, dopo la campagna di Carlo Magno, conclusasi con la presa di Verona, ultimo loro baluardo: da allora Trento e il suo territorio passano sotto il dominio dei Franchi e di conseguenza anche la Valsugana: ma sulla loro dominazione assai scarse notizie possediamo. E una delle epoche più tormentate e tribolate della storia italiana, ed anche delle meno storicamente note. Alla fine del potere carolingio (deposizione di Carlo il Grosso, 887) nel governo d'Italia si succedono Berengario, Rodolfo di Borgogna, Ugo e Lotario di Provenza, Berengario II, ed infine la famiglia degli Ottoni, con cui si inizia la dinastia sassone.
Durante quest'epoca siamo del tutto all'oscuro sui fatti che si svolsero nella Valsugana; tenebre fitte non illuminate da cronache o atti tramandatici. Solo sappiamo che l'imperatore Enrico II, durante la guerra contro Arduino d'Ivrea, trovando chiusa la via dell'Adige da truppe ostili, traversò la Valsugana e superando la resistenza oppostagli al Covolo, giunse nel Vicentino (1004).
Il suo successore, Corrado II il Salico, nell'anno 1027, seguendo il principio tradizionale della politica dei re Sassoni, concedeva ai Vescovi di Trento e di Feltre il potere temporale sui rispettivi territori, con atto di donazione che ci è conservato. In tale atto il confine tra i territori dei due Vescovi è fissato presso la chiesa di S. Desiderio, a Novaledo (oggi esistono nel luogo un maso e una chiesetta che portano lo stesso nome); il decreto stabilisce i poteri spettanti ai Vescovi e ai loro successori e minaccia severe punizioni a chiunque osi trasgredirne l'autorità.
Così vediamo che i due comitati, i quali con tutta probabilità erano prima benefici militari, di Trento e di Feltre, divennero benefici ecclesiastici formando parte integrante dei beni delle due mense Vescovili. La donazione di Corrado II fu poi ribadita da un nuovo documento redatto da Corrado III nel 1140, segnato in Ratisbona.
Il dominio effettivo dei Vescovi di Feltre sulla Valsugana durò dall'anno della donazione (1027) fino al 1228. Posta com'era tra il principato tridentino e le terre venete, è naturale che la Valsugana in quest'epoca di fiere contese, nel momento in cui si delinea il passaggio dalla civiltà feudale a quella comunale, sia stata teatro di lotte, di intrighi, di rappresaglie e vendette feroci, di alterne vicende. La cosa più interessante è il veder sorgere e pullulare un numero notevole di cosiddetti " Dinasti ": sono essi feudatari o signori locali, originariamente subordinati all'autorità vescovile, ma che, approfittando del suo progressivo indebolimento, acquistano a poco a poco una vera e propria indipendenza, e finiscono per governare incontrastati senza curarsi delle lamentele e dei richiami del Vescovo; anzi spesso molestano i possedimenti vescovili, approfittando dell'impotenza militare dell'autorità ecclesiastica. E nelle loro stesse sedi i Vescovi erano costretti ad affidare il potere nelle mani di loro delegati (Advocati o Capitanei) i quali finivano poi per divenire di fatto i detentori dell'autorità, annullando quella del Vescovo mandatario. La lotta allora iniziatasi tra Guelfi e Ghibellini rendeva ancora più frequenti simili sopraffazioni, in quanto esse trovavano facile appoggio nel potere imperiale.
Anche in Valsugana dunque presero piede alcun e famiglie di feudatari e dinasti, i quali tutti ebbero un loro castello e terre sottomesse; quasi sempre in lotta fra loro, spesso in contrasto col Vescovo, molte volte in aperta rivolta perfino contro l'autorità imperiale.
Senza occuparci per esteso delle varie vicende delle famiglie dei dinasti ci soffermeremo brevemente sugli avvenimenti principali, quelli che determinano mutamenti di una certa importanza per la Valsugana e i suoi abitatori, svoltisi durante i secoli XIII e XIV.
Durante il regno di Federico II, acquistò grande potenza nel settentrione d'Italia Ezzelino da Romano, che l'imperatore fra l'altro riconobbe come suo vicario. Egli in Trento sopraffece il potere del Vescovo, rendendo la città in certo modo di suo diretto dominio, e nominandovi magistrati e podestà che da lui dipendevano. Ad una rivolta dei feudatari avvenuta nel 1243 parteciparono, quasi di certo, anche i signori di Pergine; contro i quali Ezzelino si scagliò devastando, come sapeva fare solo lui, le loro terre. Della Valsugana Feltrina era ormai signore fin dal 1228. Sappiamo di certo che già anteriormente all 1248 aveva nominato due magistrati a giudicare in suo nome rispettivamente a Borgo e a Tesino. Una nuova rivolta preparata con mano accorta dal Vescovo Egnone di Trento nel 1255 ebbe esito infelice; ché Ezzelino piombò sulla città dopo aver posto a sacco terre e castelli e fece giustizia sommaria dei ribellati. Coi dinasti della Valsugana Inferiore, suoi sudditi come dipendenti dal potere del Signore di Feltre, non sembra abbia avuto lotte o noie.
Dovremo ora volgere un rapido sguardo alle vicissitudini del principato tridentino, che proprio in quest'epoca perde la sua indipendenza per entrare nell'orbita della famiglia dei conti del Tirolo, i quali ebbero per lungo periodo incontrastato dominio sulla città. Fu Mainardo II, conte di Gorizia, che nel 1256 fece rinnovare alla propria moglie 1' investitura del titolo di Advocatus del principato di Trento concesso ad Adelpreto del Tirolo dal Vescovo Aldrighetto nel 1240. Il titolo venne poi trasmesso a Mainardo II del Tirolo, figlio di Mainardo di Gorizia e di Adelaide d' Adelpreto.
Nel 1265 la città venne conquistata da Mastino della Scala e tenuta da lui per un triennio fino a che Mainardo di Tirolo là riconquistò e nel 1270 esautorò completamente il Vescovo Egnone; il quale venne a morte di lì a poco in Padova. Ancor più tormentato l'episcopato del suo successore il Vescovo Enrico, il quale tentò di riottenere 1' autorità spettantegli, rivolgendosi prima all'imperatore Rodolfo, poi ai Padovani; ma non per questo riuscì a liberarsi dalla tutela di Mainardo. Alla cui morte mantennero l' avvocazia sui beni della chiesa tridentina i suoi tre figli Ludovico, Ottone ed Enrico; ma le discordie non parvero cessare. Si giunse così dopo alterne vicende all'anno 1307, in cui il Vescovo Bartolomeo Quirini stipulava un accordo con i due figli superstiti di Mainardo, Ottone ed Enrico, in base al quale riconosceva loro il diritto di avvocazia, ricevendone in compenso giuramento di protezione e difesa nei suoi diritti. La situazione del Vescovo veniva così migliorata; nel 1310 otteneva la sede di Trento Enrico de Metis che dai conti del Tirolo non ebbe più noia; anzi il conte Enrico, figlio di Mainardo, gli donò i diritti sulla valle di Fiemme, ereditati dal padre. Enrico diede poi in moglie la figlia sua Margherita a Giovanni di Carinzia figlio di Giovanni re di Boemia; il quale diveniva così anche conte del Tirolo.
Torniamo ora ai fatti avvenuti in Valsugana alla morte di Ezzelino (1259): il vescovo Adelgerio di Feltre tentò di riprendere il potere della città; ma trovò fiera opposizione nell'avverso partito ghibellino, che ad un certo momento ottenne il controllo della città e si affermò altresì nella Valsugana; naturalmente per i signori di essa dichiararsi ghibellini era comodo mezzo per sottrarsi alla legittima autorità episcopale! Contro gli avversari, Adelgerio invocò l'aiuto di quei di Treviso; che in tale occasione si dimostrò efficace.
Scoppiati nuovi torbidi in città nel 1266 il Vescovo nominava suo capitano generale Gherardo de Camino, signore di Treviso: questi però riconosceva al Vescovo il diritto di mantenere la Valsugana e la terra di Primiero sotto la sua immediata giurisdizione. Poi si accinse a ridurre all'ordine la valle stessa, ma subiva una disfatta sensibile presso l' Ospedaletto dai feudatari collegati.
Le cose poi si accomodarono automaticamente con il riconoscimento da parte dei signori della Valsugana dell'autorità del Vescovo il quale riprese a nominare i suoi capitani rispettivamente a Borgo e a Tesino (1267).
Alessandro Novello, divenuto Vescovo di Feltre tentò di riprendere sulla città e sul resto del territorio feltrino quell'autorità che i da Camino gli avevano tolta definitivamente; pare che poco o nulla abbia potuto concludere; tanto è vero che nel 1314 era perfino costretto a riconoscere ai signori della Valsugana, tra cui Bartolomeo di Telve, i signori di Castelnovo e di Strigno, tutti i diritti di pedaggi, dazi, angarie, servitù reali e personali che prima spettavano al Vescovo. Quest'anno segnerebbe dunque l'inizio legale delle dinastie della Valsugana Feltrina, col riconoscimento dello " ius gladii " ai signori sopraddetti. Le disavventure del Vescovo di Feltre però non si limitarono a questo; che anzi, più tardi dovette fuggire dalla sua città, cacciato dalla fazione Caminese.
Negli anni che seguirono, nuovi avvenimenti mutarono la situazione: il contrasto tra Manfredi di Collalto e Gorgia di Lusa aspiranti alla sede episcopale di Feltre, favorì la politica degli Scaligeri i quali riuscirono, con la scusa di sostenere l'elezione di quest'ultimo, ad impadronirsi della città; così nel 1321 si inizia il loro dominio sul territorio già appartenente ai Vescovi di Feltre, riconosciuto oltre che da questi ultimi, dai signori della Valsugana Feltrina; a quest'epoca risale la erezione dell'arma scaligera sulle torri di Ivano e di Castell'Alto. L'autorità di Can Grande accrebbe poi notevolmente quando nel 1327 Ludovico il Bavaro lo nominava suo vicario in Italia.
Il dominio scaligero ebbe breve durata: alla lega formatasi contro di esso, di cui furono promotori i Veneziani, parteciparono anche Carlo di Lussemburgo e Giovanni di Carinzia, figli del re di Boemia. Giunti nei pressi di Feltre subito dopo L' inizio delle ostilità essi furono accolti con entusiasmo dal Vescovo Gorgia, il quale (1337) concesse loro tutti i diritti sul Capitanato di Feltre e Belluno, riservandosi per contro i diritti sulla Podestaria di Primiero, sulla giurisdizione della Valsugana e sul Capitanato di Agordo. Poco dopo essi riuscirono ad impadronirsi della città. Così Trento e Feltre venivano entrambe a trovarsi sotto la protezione dei conti del Tirolo (infatti Giovanni di Carinzia aveva sposato Margherita del Tirolo) i quali nominavano in quest'ultima città un loro Vicario.
Nel 1343 Margherita del Tirolo otteneva lo scioglimento del suo matrimonio con Giovanni di Carinzia e passava a nuove nozze con Lodovico Marchese di Brandeburgo; il quale così veniva in possesso di tutti i diritti già spettanti ai Conti del Tirolo ed intendeva avvalersene senza por tempo in mezzo. E, preso possesso di Trento, s'avviò verso Feltre e Belluno che riconobbero la sua autorità e dov'egli nomino suo vicario Engelmario signore di Villanders. Nella Valsugana Lodovico trovò un sostenitore deciso in Siccone di Caldonazzo; il quale però, esagerando i suoi ambiziosi disegni, pensò di approfittare della penuria di denaro del1' imperatore Lodovico il Bavaro per farsi da lui riconoscere signore di Feltre e di Belluno; ma venuto nelle mani di Engelmario di Villanders poté a stento liberarsi, con la mediazione di Iacopo da Carrara, cui concedeva la fortezza del Covolo come prezzo della mediazione stessa, mentre al rivale consegnava la Chiusa di Novaledo.
Nel 1347 Carlo IV di Boemia, fratello di Giovanni di Carinzia, riconosciuto imperatore, intraprese la riconquista dei territori imperiali usurpati dal Lussemburghese; a Feltre venne accolto volentieri e la città gli si sottomise; anche la Valsugana Feltrina, compresovi Siccone di Caldonazzo e Castelnovo lo riconobbe per Sovrano; e 1' imperatore nello stesso anno ordinava che alla chiesa tridentina venissero restituiti tutti i beni di cui era stata spogliata dalla famiglia dei conti del Tirolo. Posti suoi vicari a Feltre e a Belluno e datane la protezione a Iacopo da Carrara tornò in Boemia.
Ma non cessarono le pretese del Marchese di Brandeburgo; il quale anzi nello stesso anno approfittava della morte del Vescovo di Trento Nicolò per fare esercitare al suo vicario i diritti di avvocazia durante il periodo di vacanza della sede; in pratica impedì fino al 1359 che i Vescovi eletti dal Papa prendessero possesso della loro sede e tiranneggiò a suo modo il principato tridentino. Nel 1349 Pergine, per non venire nelle mani del Brandeburghese, spontaneamente si consegnava a Iacopo da Carrara, il quale conquistava altresì Levico, Roccabruna e Selva. Cosicché in tale anno il potere nella Valsugana era diviso tra il Carrarese, il Brandeburghese per cui nuovamente s'era dichiarato Siccone di Caldonazzo e Carlo IV di Boemia cui era soggetta la parte inferiore. Quando poi Siccone di Caldonazzo intraprese la conquista delle terre del Perginese, Francesco da Carrara, successore di Iacopo volle intervenire e portare aiuto ai suoi partigiani; ma Siccone riuscì a sbarrargli la via; talché egli dovette ritornarsene, saccheggiando per rappresaglia Tesino che non aveva voluto dargli aiuti; e i Perginesi riconobbero la signoria del Marchese di Brandeburgo (1356).
Lodovico di Brandeburgo venne a morte nel 1361. Il figlio di lui Mainardo andò sposo a Margherita figlia di Alberto II d'Austria; morto nel 1363 Mainardo, Margherita del Tirolo sua madre risolveva di cedere tutti i beni della famiglia dei Conti del Tirolo ai fratelli della nuora, i duchi d'Austria Rodolfo IV Alberto e Leopoldo. Così la casa d'Austria nel detto anno entrava in possesso anche dei diritti di avvocazia della chiesa tridentina dove veniva innalzato alla sede vescovile Alberto di Ortemburg.
Il Duca Rodolfo venne adunque a prendere possesso dei suoi territori, s'accordò amichevolmente col Vescovo di Trento (Compattate del 1363) da cui ebbe riconosciuta la giurisdizione di Pergine. Nel 1360 Feltre veniva in possesso di Francesco da Carrara cm era stata donata da Luigi d'Ungheria, che a sua volta l'aveva ricevuta da Rodolfo d'Austria. Il dominio Carrarese così si estendeva anche sulla Valsugana Feltrina, dove qualche anno dopo succedevano nuovi fatti d'arme per la ribellione ai Carraresi, fomentata sottomano dai duchi d'Austria, di Biagio d'Ivano e dei suoi fratelli signori di Strigno e di Grigno. Il Carrarese (1365) prese il castello di Grigno, che fece distruggere, si impadronì pure di Ivano, senza che le truppe venute in soccorso di Biagio potessero far di meglio che distruggere a loro volta il castello di S. Martino presso Scurelle; e cacciati i signori di Ivano e Grigno ne assumeva egli stesso i titoli; e per la giurisdizione di Ivano nominava suo vicario Ottobono dal Legname (o da Lignago) (1372).
Fu Francesco stesso da Carrara, che accorgendosi dell'accorta politica di penetrazione dei duchi d'Austria spontaneamente concedeva nel 1373 a Leopoldo ed Alberto (Rodolfo IV era morto qualche tempo prima) i suoi diritti sulla Valsugana inferiore. L'atto, steso nel febbraio di detto anno, riconosce ai duchi oltre alle città di Feltre e Belluno, i beni dei signori di Ivano, Strigno e Grigno, tutti i castelli e le fortezze, i diritti di dipendenza da parte dei Signori di Castelnovo, Tesobbo e Castell' Alto. Col ritorno della casa d'Austria rientravano in possesso dei beni perduti anche i Signori di Strigno, Ivano e Tesino che per loro istigazione si erano ribellati al Carrarese.
Nell'anno 1379 tutti i domini già appartenenti ai Tirolesi vennero conferiti al duca Leopoldo, in seguito a regolare spartizione; ma egli cedeva Feltre e Belluno al Carrarese avendone in compenso una notevole somma di denaro (1384); non sappiamo se nella cessione fosse compresa pure la Valsugana. Quello che sappiamo invece con certezza si è che nel 1385, in seguito a liti scoppiate tra Siccone II di Caldonazzo e gli Scaligeri, per questioni di confine, un esercito vicentino scese dalla parte di Lavarone e diede il sacco a Caldonazzo e a Borgo portandovi devastazione e strage. Quasi tutti i paesi dovettero essere riedificati; il Castel S. Pietro fu completamente distrutto.
1388: Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, riesce ad impadronirsi delle città già appartenenti a Francesco da Carrara; fra cui anche Feltre e Belluno e naturalmente la Valsugana Feltrina, i cui Signori ne riconoscono l'autorità. La quale dura circa 16 anni; poi, venuto egli a morte nel 1402, le città venete preferiscono darsi in potere dei Veneziani che accettare il ritorno dei Carraresi; così anche Feltre si sottomette alla Signoria della repubblica di Venezia (1406) e la Valsugana di conseguenza viene rivendicata dai Veneziani come loro spettante quale dipendenza di Feltre. In tale anno dunque Pergine apparteneva ai Duchi d'Austria, Caldonazzo al Vescovo di Trento, di cui erano vassalli i Signori di Castelnovo; la Valsugana Inferiore alla Repubblica Veneta.
Non ci sono però sicuri documenti dai quali risulti se e quando i signori della Valsugana si siano sottomessi ai Veneziani staccandosi dai Visconti; alcuni suppongono che tale sottomissione sia avvenuta solo dopo il 1410.
Nel 1410 Federico, detto Tascavuota, succedeva come duca a Leopoldo d'Austria; e nel suo desiderio di estendere e rafforzare il dominio della sua casa si preparò a riconquistare la Valsugana, allegando i precedenti diritti spettanti alla sua famiglia. Ma i signori locali, tra cui Giacomo di Caldonazzo, signore di Telvana, Antonio e Castrono d' Ivano preferirono chiedere l'appoggio della Repubblica Veneta cui facevano atto di sommissione, anziché riconoscere la loro dipendenza dal duca. Il quale si portò nella Valsugana nell'estate del 1412 e pose l'assedio ai castelli di Telvana e di Ivano, che dovettero capitolare. Nell'anno seguente il Vescovo di Feltre, Enrico Scarampis, con documento redatto a Merano, riconosceva decaduti tutti i precedenti diritti dei signori della Valsugana e li trasferiva nella persona del duca Federico, concedendogli pieno diritto di giurisdizione sui castelli occupati. Da quest'anno, (1413) la Valsugana Inferiore rientra nell'orbita della Casa d'Austria di cui diventa diretto dominio: espulsi gli antichi signori, nominati nuovi capitani o vicari dai conti del Tirolo, sembra si stabilisca un'epoca di relativa calma e tranquillità in questa regione che aveva conosciuto per esperienza tutte le conseguenze del passaggio dall'età comunale a quella delle Signorie. I Duchi d'Austria poi sostituirono alle vecchie famiglie feudali e signorili nuove famiglie cui accordarono a titolo di feudo i diritti di giurisdizione sui territori di spettanza dei singoli castelli; ma con notevole malcontento della popolazione, che preferiva il diretto dominio dei duchi esercitato a mezzo dei Capitani.
La Valsugana, dopo il 1413, partecipò più o meno direttamente alle varie guerre che la casa d'Austria ebbe a sostenere contro la Repubblica di Venezia; sia la guerra del 1487 che si svolse soprattutto nella Valle dell'Adige, sia quella del 1508-1516 che vide anche nella Valsugana scontri fra truppe avverse, saccheggi e devastazioni, stragi e desolazioni. Eserciti di passaggio, truppe da mantenere; L'Imperatore stesso, Massimiliano d' Asburgo, nel 1509 si fermò di passaggio ad Ivano.
La pace stipulata nel 1516, dopo la guerra della lega di Cambrai, riconfermava agli Asburgo la Valsugana, cui veniva annessa anche la fortezza del Covolo.
Un capitolo interessante della storia locale è quello che riguarda la partecipazione dei contadini della Valsugana alla guerra rustica, che noi sappiamo avvenuta in Germania contemporaneamente e in conseguenza del movimento luterano e che ebbe verso il 1525 il suo culmine; nella valle già prima s'era manifestato un certo fermento sotto forma di ribellioni locali all'eccesso di autorità dei giusdicenti, il cui rispetto verso i sottoposti, basato sulle carte regolanari e sugli statuti, veniva sempre più affievolendosi; così a Borgo nel 1520 scoppia una rivolta di popolo contro Sigismondo di Welsperg, che ai reclami della popolazione, rivolti ad ottenere una maggiore giustizia, aveva risposto facendo uso delle armi, arrestando i borghigiani mediante un'insidia organizzata da un Massimiliano Pietrapiana, che egli aveva appositamente fatto venire da Trento.
Nel 1525 scoppiò con furore la guerra rustica anche nel Trentino: i contadini di Strigno uccisero il capitano d' Ivano Giorgio Pucler e si impossessarono del Castello; quelli di Borgo mossero contro il loro giusdicente Sigismondo di Welsperg, che a stento si sottrasse alla loro furia riparando in Castello; ond'essi misero a sacco la casa del suo capitano, poi mossero alla volta di Levico, s'unirono a quei ribelli coi quali posero il campo prima a Cirè poi alle Laste.
Ma gli accordi progettati sfumarono: i ribelli attendevano che le loro file fossero ingrossate da maggiori contingenti di rustici provenienti dalle altre valli e tentavano di entrare, senza combattere, nella città; ma furono sorpresi da una carica improvvisa di armati usciti fuor dalle mura, dispersi e fatti prigionieri; seguirono le condanne dei principali organizzatori della rivolta. Così la ribellione dei contadini, che, sotto molti aspetti, anticipa alcuni dei grandi movimenti popolari delle età posteriori, si concludeva con un ritorno alla precedente situazione e con una affermazione ancor più decisa dei diritti signorili.
Pergine, già possesso di casa d'Austria, passava al Vescovo di Trento Bernardo Clesio nel 1531, in compenso dei diritti che il Vescovo stesso aveva sopra Bolzano e che cedeva all'Arciduca Sigismondo. E la posizione della Valsugana Inferiore veniva migliorata dagli Statuti che l'Arciduca Massimiliano concedeva nel 1609 alle tre giurisdizioni di Telvana, Ivano e Castell' Alto. La linea asburghese dei conti del Tirolo si spegneva nel 1665 e da tale anno il Tirolo divenne diretto dominio della casa imperiale (Leopoldo I); né ebbe più un proprio principe.
Con questa differenza, che, mentre i conti del Tirolo avevano sempre riconosciuto il diritto di investitura al Vescovo di Feltre, per le tre giurisdizioni di Telvana, Castell' Alto e Ivano, nel 1670 l'Arciduca Ferdinando dichiarava di non riconoscere tale dipendenza, ma di considerare dette terre di suo proprio diretto dominio.
Nel 1777 Levico fu ceduto dal Vescovo Pietro Vigilio Thunn a Maria Teresa e permutato con Castello di Fiemme; cosicché all'età delle campagne napoleoniche la Valsugana era tutta possesso della corona Austriaca, eccetto Caldonazzo, appartenente al Vescovo di Trento. Con Primolano cominciava il territorio della Repubblica di Venezia.
Di questo periodo dice il Montebello nella sua storia: "Da tale epoca (1525) questo paese non si vide più inquietato da militari azioni e s'incammina già a tre secoli di duratura pace, che la divina provvidenza perpetuamente conservi". E mentre così scriveva da quattro anni era scoppiata la rivoluzione francese.
La rivoluzione francese e le campagne napoleoniche svegliarono anche la Valsugana e la tolsero a quello stato di pace che godeva ormai da quasi tre secoli: la campagna di Napoleone, cominciata nel 1796 e che doveva poi concludersi con l'armistizio di Leoben e la pace di Campoformido, vide le truppe francesi avvicinarsi progressivamente ai territori della casa d'Austria: dopo le battaglie di Lonato e Castiglione l'esercito napoleonico risaliva la Valle dell'Adige inseguendo le truppe del generale Wurmser che vi si ritiravano tentando di difendere il Trentino. Le battaglie di Ala, Serravalle, Rovereto (3-4 settembre) permisero alle truppe francesi di ricongiungersi con il corpo proveniente dalla parte del Garda e di attaccare poi unite a Calliano gli austriaci. Con la presa del Castel Pietra la via di Trento era aperta. Le truppe tedesche si divisero in due gruppi: il primo seguì a ritroso il corso dell'Adige; il secondo attraverso le Laste e Civezzano mosse verso la Valsugana guidato dal Wurmser stesso: Napoleone ne iniziò immediatamente 1' inseguimento. Ebbe il generale Augerau l' incarico di condurre le avanguardie; Bonaparte, che seguiva con il grosso, giunse a Borgo il 6 settembre e pernottò in casa del dott. Prospero Zanetti; una lapide ricorda ancor oggi il suo soggiorno. Con 15.000 uomini riprese il dì seguente 1' inseguimento e dopo uno scontro rapidissimo a Primolano raggiunse gli Austriaci a Bassano e li vinse. Il Wurmser si ritirò verso Mantova chiudendosi con le truppe superstiti in quella fortezza.
In Valsugana cominciarono allora le operazioni di guerriglia: il presidio francese venne sorpreso in Borgo il 31 ottobre da soldati del Regg. Lattermann rafforzati da Bersaglieri calati da Fiemme e Primiero: costretto a ritirarsi a Levico lasciò poi anche questa posizione perché minacciato di accerchiamento, avendo le truppe austriache occupato Brusago.
Il 3 novembre tutta la Valsugana era sgombrata dai Francesi che si erano ritirati agli ordini del generale Vaubois. Ma nel gennaio 1797 la battaglia di Rivoli apriva nuovamente ai Francesi la via del Trentino; guidati da Joubert essi riconquistarono Trento: di qui Massena fu mandato con 6000 uomini a riconquistare la Valsugana; egli si pose in Borgo e il suo soggiorno è rimasto famoso per le angherie e le imposizioni di cui i valligiani furono vittime: e si ricorda anche la contribuzione di 4000 fiorini cui il paese fu sottoposto e che poi fu ridotta a una cifra inferiore; mentre il sindaco stesso riuscì a stento a evitare 1' arresto per mancanza di premura nel rifornire gli invasori.
I generali francesi Baraguay d' Hilliers e Bisson furono poi costretti a ritirarsi verso Pergine quando si profilò la minaccia di una ripresa di Trento da parte degli Austriaci; un breve scontro presso Cembra, in cui i Francesi ebbero la meglio, permise loro solo di ritirarsi senza molestie mentre il generale Laudon rioccupava tutta la Valsugana.
Il 13 aprile Trento tornava in mano degli Austriaci i quali non perdettero tempo ed organizzarono le leve in tutta la regione; così in Valsugana vennero costituite tre compagnie di Bersaglieri, comandate dal Maggiore Ceschi, le quali furono incorporate nella brigata del Generale Wukassovich e combatterono in Val Camonica e in Val Trompia contro i Francesi e poi, durante la cosiddetta campagna dei Grigioni, che venne effettuata dal Macdonald nell'inverno del 1800 e che si concluse con la presa di Trento avvenuta il 6 gennaio 1801.
La pace di Luneville ratificata nello stesso anno restituiva all'Austria il Trentino (4); il principato ecclesiastico, dichiarato decaduto, passava agli Asburgo come indennità per quanto essi avevano dovuto cedere; così tutta la Valsugana, compresevi Pergine e Caldonazzo apparteneva a casa d'Austria.
Alla fine della terza coalizione, stipulatasi la pace di Presburgo (1805) il Trentino veniva ceduto alla Baviera in compenso dell' aiuto prestato a Napoleone da quell' elettore, cui veniva conferito pure il titolo di re; e al regno di Baviera rimase annessa anche la Valsugana fino al 1810; nel quale anno, dopo gli infelici tentativi di ribellione di Andrea Hofer e del giudicariese Dalponte, e in seguito alla fortunata campagna napoleonica conclusasi a Wagram il Tirolo meridionale (5) venne incorporato al Regno Italico.
Durante questa campagna non successero in Valsugana notevoli fatti d'arme (6): transitarono come al solito le truppe francesi dirette verso Bassano; ed un incidente poco mancò non riuscisse fatale agli abitanti di Borgo quando alcuni animosi, appostatisi nelle vicinanze della strada, spararono contro la carrozza del comandante generale Baraguay d' Hilliers. Il quale aveva già, ordinato di puntare le artiglierie contro il paese e ne fu distolto a mala pena e con gran sforzo; partì recando con sé quattro ostaggi che si liberarono pagando un riscatto di 400 luigi d'oro.
Durante il periodo in cui fu aggregata al Regno Italico, la Valsugana, incorporata al dipartimento dell'Alto Adige, appartenne al distretto di Trento e divenne sede di due giudizi di pace, uno a Levico e un altro a Borgo: nel primo venne incluso anche Novaledo.
Il dominio francese durò pochi anni; nel 1813 le truppe austriache, vinta a Volano la resistenza del gen. Gifflenga, rioccupavano tutto il Trentino; fu costituito un governo provvisorio ed infine il 7 aprile 1815 esso venne restituito all'Austria che lo incorporava nella provincia del Tirolo.
Seguirono anni di relativa calma e tranquillità: l'amministrazione austriaca riassestò con saggi provvedimenti le condizioni generali della vallata e la resse alla stregua delle altre provincie sottoposte. Fermentavano intanto i germi della lotta per l' affermazione delle nazionalità e il Trentino non rimase assente dal movimento generale; vi agirono le società segrete, vi trovarono eco le canzoni patriottiche. E nei moti del 1848 quando si costituirono i corpi franchi di volontari, che guidati dal generale Allemandi attraverso la valle del Chiese marciavano su Trento, anche dalla Valsugana altri insorti tentarono la via di Trento; scontri avvennero a Enego, Primolano, Fastro, ma senza veri risultati: d'altra parte anche la guerra dei corpi franchi non sortiva l'esito sperato; da Vezzano dove erano arrivati essi si ritirarono di fronte alle truppe inviate dal colonnello Zobel; battutti a Stenico e Linfano; costretto lo Scotti, capo di coloro che erano scesi dal Tonale, a ritirarsi da Cles e da Malè, la campagna non ebbe alcun esito positivo.
Costituitosi dopo il 1861 il Regno d'Italia sappiamo come nel 1866 esso si sia alleato alla Prussia nella guerra contro l'Austria; in seguito a questa alleanza ottenne la Venezia Euganea. La campagna del 1866 ebbe una notevole importanza anche per la Valsugana, che fu una delle regioni in cui essa si svolse con maggior fortuna per le truppe italiane. Le quali, al comando del generale Giacomo Medici, lasciarono Bassano il 21 luglio con il compito di facilitare il tentativo di Garibaldi che attraverso Storo e la Val d'Ampola muoveva verso Riva, mentre il resto delle truppe seguiva la via delle Giudicarie. Compito del Medici era quello di occupare la valle del Brenta e costringere Trento alla resa. Dopo un primo scontro a Primolano e Tezze, seguito dall'occupazione di Grigno, il 23 luglio veniva occupata Borgo e nella notte seguente uno scontro notturno a Levico, felicemente riuscito, apriva la via di Trento. Le truppe si divisero in due gruppi: il primo da Calceranica risalì a Vigolo per gettarsi su Trento dalla sella di Valsorda; il secondo al comando del Medici stesso si accampò al Cirè di Pergine. Il generale Kuhn, che prima aveva già abbandonato la città, ebbe invece ordine di resistere e impedì il passaggio della sella di Valsorda (24 luglio). Il 25 veniva firmato l'armistizio.
Eccoci dunque all'ultima epoca della storia recente della Valsugana: dopo un cinquantennio di pace, nel 1915 scoppiò la guerra tra l'Italia e l'Austria; regione di confine la Valsugana ne divenne teatro e zona di operazioni; anche i giovanissimi conoscono i nomi dei luoghi in cui per tre anni i due eserciti si contrapposero senza cedere: Ortigara, Val del Maso, Lavarone e via dicendo; è storia di ieri e i nostri padri ne sono stati i protagonisti. Annessa all'Italia nel 1920 la Valsugana è stata completamente ricostruita; la guerra ne aveva devastato e distrutto le ridenti borgate e gli alpestri villaggi. Oggi, come ieri, il contadino continua a volgere la terra faticata, alzando talora lo sguardo per osservare le nuvole che s'addensano e si diradano.
Ed ora alcune notizie sulla giurisdizione dei castelli della Valsugana Inferiore e sulla famiglia dei Signori di Caldonazzo e Castelnovo.
Il Montebello nella sua storia ritiene che la famiglia più potente tra i signori della Valsugana Inferiore derivi dalla famiglia dei Castelnovo di Padova: è comunque assai incerto donde provenissero e in quale anno si siano stabiliti nella regione che poi in gran parte fu loro sottoposta; nel 1201 Geremia e Alberto ebbero da Corrado di Beseno il permesso di fabbricare il castello sopra Caldonazzo; i loro discendenti si chiamarono ora con l'appellativo di Castelnovo ora di Caldonazzo. Nel 1314, come vedemmo, il vescovo di Feltre Alessandro Novello riconosceva ai fratelli Aproino, Siccone e Rambaldo di Caldonazzo il diritto di giurisdizione sopra una notevole parte della Valsugana Feltrina.
Siccone il vecchio, signore di Caldonazzo e Grigno, è il più famoso tra questi; nella sua lunga vita ebbe fortunate e sventurate vicende; riuscì ad estendere la sua giurisdizione su Tesino, occupò Marostica, meditò perfino di farsi signore di Feltre e Belluno; favorì sempre il partito del Marchese di Brandeburgo. Figlio di suo fratello Rambaldo fu Siccone il giovane, signore di Telvana, S. Pietro, Caldonazzo e Tesobo; ebbe parte notevole nelle lotte di predominio che si svolsero nella seconda metà del '300, subì disfatte e devastazioni dai Vicentini che egli stesso aveva provocati, e nel 1404 fu anche fatto prigioniero dal Vescovo Giorgio di Lichtenstein; morì nel 1408. Biagio, fratello di Siccone il vecchio, ebbe nel 1311 il castello di Ivano; dopo di lui la giurisdizione sul castello passò al figlio Antonio, cui successe Siccone III signore di Tesino e conte di Scurelle, privato della giurisdizione da Federico d'Austria, I due nipoti suoi Antonio e Castrono si erano posti sotto la protezione della Repubblica veneta. Dopo il 1500 non abbiamo più notizie di questa famiglia. La giurisdizione di Caldonazzo era stata conferita fin dal 1461 alla casa Trapp.
Le altre due famiglie più importanti sono quelle dei signori di Telve e di Strigno.
Famiglia dei Signori di Castelnuovo e Caldonazzo
_________________________________________________________________________ | | | | | | | | | Aproino Siccone I il vecchio Rambaldo Nicolò Biagio di Caldonazzo di Telvana di Tesobo di Ivano | | | | Niccolò Siccone II Biagio | di Caldonazzo, Telvana, | | S.Pietro e Tesobo | | + 1408 Giacomo | ___|____ Antonio | | _________________________|________ Giacomo Antonio | | | | | | | Giovanni Biagio di Ivano Siccone III Giovanni _______|______ di Tesino, | | conte di Scurelle Antonio Castrono | | Giacomo _____|________ | | Giov. Batt. Antonio
Ed eccoci alla ripartizione delle giurisdizioni della Valsugana Inferiore: ma non sarà inopportuno prima di tutto un cenno sull' ordinamento politico amministrativo prima della dominazione austriaca.
I singoli paesi sottoposti alle varie giurisdizioni costituivano ciascuno una comunità, liberamente organizzatesi per quanto riguardava la parte amministrativa e dipendente dal signore solo per la parte politica, per i contributi e le prestazioni obbligatorie e via dicendo. Le " carte di regola " sono appunto la codificazione del diritto consuetudinario che si era venuto stabilendo tra i secoli XII-XIV; le più antiche che noi conosciamo risalgono al secolo XVI e ci mostrano le condizioni di vita, le usanze e le consuetudini degli aggregati comunali nel periodo anteriore al 1500.
Gli affari della comunità riguardavano i beni posseduti in comune ossia boschi, prati, pascoli e via dicendo. I " regolani " sovrintendevano a tutte le questioni che vi inerivano, giudicavano e punivano tutte le contravvenzioni alle " carte di regola " prima del ricorso vero e proprio al giusdicente; stabilivano accordi con le comunità confinanti ove sorgessero discussioni e questioni di confine, provvedevano alla regolare manutenzione delle strade e dei boschi, sorvegliati dai cosiddetti " saltari (dal latino saltus). Al di sopra di loro era posto un " sindaco " o " massaro " con diritto di controllo sul loro operato. Le " carte di regola " siccome raccolgono le norme di diritto consuetudinario variano da comune a comune; gli statuti per contro valgono per tutte le comunità della giurisdizione ed hanno quindi carattere di maggiore omogeneità.
Particolare importanza hanno per noi gli statuti promulgati nel 1609 dall'Arciduca Massimiliano per le tre giurisdizioni di Ivano, Telvana e Castell' Alto " desiderando, dice la premessa, che i sudditi siano governati con ottima giustizia, et ordine et matura deliberatione et consiglio ".
Detti statuti furono poi ripubblicati in Bassano, nel I 721 con versione a fronte a cura di Giovanni Fietta, notaio di Pieve Tesino, aggiuntevi le disposizioni e modificazioni decretate dall'Arciduchessa Claudia di Toscana.
Dopo il 1027 la giurisdizione della Valsugana Inferiore spettava al Vescovo di Feltre che sappiamo mandava due suoi rappresentanti (capitanei) con autorità giurisdizionale e militare e con diritto di riscossione di tutte le entrate spettanti al Vescovo stesso e che consistevano nei cosiddetti " dazi ", pedaggi, angarie, contributi vari; nelle decime che venivano quasi sempre pagate in natura, e via dicendo. Quando poi il progressivo indebolimento dell'autorità episcopale rafforzò il potere che venivano man mano usurpando i piccoli feudatari, questi cominciarono a riscuotere del tutto od in parte i tributi spettanti prima ai Vescovi. Fino a che il Vescovo Alessandro nel 1314 riconobbe egli stesso alle famiglie di Telve e di Castelnovo il diritto di giurisdizione sulla Valsugana.
Quando il dominio della Valsugana passò ai conti del Tirolo questi in un primo tempo, come vedemmo, nominarono loro capitani nelle singole giurisdizioni, poi le assegnarono a titolo pignoratizio e di totale investitura a famiglie loro fedeli, insigni per meriti o altri motivi. Ed in questa epoca nacquero anche i più gravi malcontenti, a cagione dell'avidità e della mala amministrazione dei nuovi signori, contro i quali non mancarono, come vedemmo, veri e propri casi di ribellione aperta da parte delle popolazioni.
a) Giurisdizione di Ivano
La giurisdizione di Ivano si estendeva sui paesi di Strigno, Ivano, Fracena, Spera, Scurelle, Villa, Agnedo, Samone e Bieno; dopo il 1356 comprese anche Grigno e Tesino. Nel 1311 alla famiglia " de Ivano " subentrarono i Signori di Castelnuovo e Caldonazzo. Spodestati nel 1412, come vedemmo, dai duchi d'Austria, essi si allontanarono dalla Valsugana. Ressero la giurisdizione successivamente i vari capitani nominati da Federico d'Austria, con una breve parentesi di dominio veneto dopo il 1487, periodo in cui ressero la giurisdizione i capitani Domenico Dolfin e Andrea Friuli. Nel 1496 fu assegnata a titolo pignoratizio a Michele Wolchenstein Rodenegg dall' imperatore Massimiliano; e la sua famiglia tenne Ivano fino al 1632, anno in cui venne ricuperato dall' imperatore e dato a Claudio di Toscana vedova dell'Arciduca Leopoldo d'Austria. Essa pose suo capitano generale nelle tre giurisdizioni riscattate (Ivano, Castell' Alto, Telvana) il Barone Sigismondo di Welsperg. L'Arciduca Ferdinando, successo alla madre nel 1650, la diede a titolo pignoratizio a Giovanni Haldringer, i cui eredi la alienarono con licenza dell'imperatore Leopoldo I a Gaudenzio Fortunato Wolchenstein e Trosburg; nel 1750 Maria Teresa la trasformò da pignoratizia in feudo perpetuo. Nei primi decenni del 1800 per spontanea rinuncia dei conti Wolchenstein la giurisdizione di Ivano passò al governo austriaco.
b) Giurisdizione di Castell' Alto e S. Pietro
La giurisdizione di Castell' Alto e Castel S. Pietro comprendeva i comuni di Telve, Torcegno, Carzano e Ronchi ed estendeva i suoi confini fino ai monti di Fiemme. Ebbe primo la giurisdizione Wala " de Telvo "verso la metà del secolo XII. La sua famiglia si divise poi nei tre rami di Arnana, Castell' Alto e S. Pietro, cosicché i diritti della giurisdizione spettavano per un terzo a ciascuno dei tre rami. Estintosi poi il ramo di Arnana ne acquistarono i diritti quelli di S. Pietro; per questo in Telve si teneva tribunale due anni in nome di Castel S. Pietro, uno in nome di Castell' Alto. Nel 1331 Ottolino di Castel S. Pietro vendette la sua giurisdizione alla famiglia dei signori di Castelnovo e Caldonazzo; cosicché al ramo di Castell' Alto rimaneva solo il diritto di esercitare la giurisdizione un anno ogni tre; negli altri due anni amministrava la giustizia in Telve un giudice a nome dei signori di Telvana. Il Castel S. Pietro fu distrutto e diroccato nel 1385. La terza linea dei signori " de Telvo "che fin dal 1300 si chiamò " de Castro Alto " si estinse con Francesco di Castell' Alto nel 1555. Questi, che fu famoso capitano al servizio dell' imperatore Massimiliano, morendo lasciò il feudo alle figlie sposate nelle famiglie Lodron, Trautmansdorff e Graffensee; le altre due famiglie rinunciarono ai loro diritti a beneficio della casa Trautmansdorff, la quale a sua volta li cedette all'arciduchessa Claudia di Toscana (1635) che ne ebbe regolare investitura dal vescovo di Feltre.
Il figlio dell'arciduchessa, Ferdinando, appignorò la giurisdizione nel 1652 ai fratelli Zambelli di Bassano; ed Antonio Buffa nel 1671 mediante il matrimonio con una Zambelli veniva in possesso della giurisdizione. Vi fu un intricatissimo processo intentato dalla famiglia Lodron, che impugnava il diritto del Buffa; ma la sentenza decisa a Roma dalla Sacra Rota fu favorevole a quest'ultimo; e la sua famiglia tenne la giurisdizione fino al 1828, anno in cui fu aggregata alla giurisdizione distrettuale di Borgo.
La giurisdizione di Telvana comprendeva Borgo, Castelnuovo e Olle; vedemmo come essa fosse venuta nelle mani dei signori di Caldonazzo e Castelnovo. A Rambaldo succedette il figlio Siccone II il giovane, che ottenne pure la giurisdizione di Tesobo (Roncegno). Suo figlio Giacomo fu spodestato nel 1412 dal duca Federico il quale comincio a nominarvi suoi capitani. Nel 1450 la giurisdizione fu data forse a titolo pignoratizio dall'arciduca Sigismondo a Bernardo Gradner; in seguito alla sua cacciata venne insediato quale capitano Giacomo Trapp e dopo di lui Baldassare Welsperg dei signori di Primiero; nel 1465 egli ottenne la giurisdizione come feudo; contro Sigismondo di Welsperg si sollevarono poi nel secolo seguente gli abitanti di Borgo, non volendo costui riconoscere gli antichi diritti sanciti negli statuti; e contro le sue sopraffazioni furono mosse a più riprese lagnanze da parte dei sottoposti. I Welsperg ebbero la giurisdizione di Telvana fino al 1632; in tale anno essa fu ricuperata in favore dell'arciduchessa Claudia, contessa del Tirolo. Nel 1653 l'arciduca Ferdinando la permutò con quella di Nomi: nel 1661 fu pignorata ai conti Natali di Venezia, che la restituirono l'anno seguente. Venne poi ceduta al barone Giovanni Andrea Giovanelli alla cui famiglia appartenne fino al 1831; in tale anno essa rinunciò alla giurisdizione deferendola al governo austriaco.
Fin dal 1788 il castello fu abbandonato e a sede del giurisdicente fu scelto il soppresso monastero delle Clarisse in piazza S. Anna a Borgo.
NOTE:
1) La strada romana, che serviva di raccordo tra la Via Claudia Augusta Altinate a quella Padana, si trova ricordata una sola volta col nome di Paulina ed univa Feltre con Trento. Essa dev'essere stata la prima e più antica via di comunicazione.
2) E vi è pure conservato un frammento discreto di pietra miliare con inciso il numero XXXXI.
3) E questa seconda ipotesi è avvalorata dagli studi più recenti di Reich e dalle ricerche documentarie degli ultimi quindici anni.
4) S'era prima pensato di cedere il Trentino come indennizzo al duca di Toscana; poi venne ceduto all'Austria.
5) Ossia il Circolo dell'Adige e dell' Isarco; i Bavaresi avevano proibito assolutamente di usare il termine Tirolo.
6) Per quanto fossero. numerose le compagnie di bersaglieri organizzate in un primo tempo dal capitano Ottavio Bianchi, fucilato a Mantova il 24 giugno 1809, guidate poi dal maggiore Girolamo Ceschi (marito di una Hippoliti di Borgo).
QUADRO CRONOLOGICO
DEI VARI SIGNORI DELLA VALSUGANA INFERIORE
DOPO IL 1027
1027-1228: I Vescovi di Feltre
1228-1259: Ezzelino da Romano
1259-1321: Ancora i Vescovi di Feltre con breve parentesi dei da Camino
1321-1337: Signoria degli Scaligeri
1337-1342: Signoria di Carlo di Lussemburgo e Giovanni di Carinzia
1342-1347: Signoria di Lodovico di Brandehurgo
1347-1360: L'imperatore Carlo IV di Boemia riconquista Feltre
1360-1375: Feltre è ceduta a Francesco da Carrara
1375-1384: Alberto e Leopoldo d'Austria ottengono da Francesco da Carrara Feltre e Belluno, la Valsugana e Primiero
1384-1388: Nuova Signoria Carrarese
1388-1402: Signoria di Gian Galeazzo Visconti
1402-1406: I Carraresi
1406-1412: Repubblica Veneta
1412-1487: Ritorno dei duchi d'Austria
1487-1488: Breve periodo di dominazione veneta
1488-1805: I duchi d'Austria, conti del Tirolo
1805-1610: Annessione al regno di Baviera
1810-1814: Aggregata al Regno Italico
1814-1918: Dominazione austriaca
1920: Annessione all'Italia.
NOTA:
Nel suo libro I Valsuganotti pubblicato nel 1923 Angelico Prati cerca di mostrare come la mancanza di unità nella storia della Valsugana da altro non derivi se non dal fatto che per inveterata abitudine noi consideriamo con questo nome tutta la zona compresa fra la stretta del Fersina e il canale di Brenta: mentre vera e propria Valsugana è quella che inizia alla Chiesetta di S. Desiderio presso Novaledo, confine fra le due diocesi, ratificato dalla donazione del 1027. E afferma che la Valsugana così delimitata non appartiene in senso vero e proprio al Trentino, ma piuttosto al Veneto; al quale dovrebbe logicamente esser aggregata. abbandonando un'unione che solo fortuite vicende storiche hanno determinato. Il Prati, appassionato cultore di storia, toponomastica e linguistica locale, ha senza dubbio molti elementi in suo favore; e taluni di importanza capitale come i confronti storico-linguistico-geografici. L' appartenenza al tipo veneto della gente valsuganotta è indiscussa: ma è altresì un fatto che fin dal 1413, data della sua aggregazione al Tirolo, è entrata nell'orbita della storia trentina per più o meno fortunose vicende: che col Trentino nel secolo scorso ha diviso la sorte fino al 1920, anno dell'annessione all' Italia: e sono proprio da trascurare questi anni di vita comune di mutui contatti per cui in fondo la Valsugana è venuta a inserirsi nel novero nelle valli Trentine? E del resto non si potrebbe, ad esempio per gli abitanti delle Giudicarie, sostenere analoga tesi, facendoli gravitare verso la Lombardia, cui li avvicinano caratteri affini, analogie linguistiche e posizione geografica?
NOTA BIBLIOGRAFICA:
Chi volesse notizie bibliografiche complete può trovane nel citato volume del Prati a fine libro. Mi limito qui ad accennare le opere fondamentali di storia della Valsugana.
Ringrazio vivamente il Dott. Alfredo Moranduzzo di Borgo, che parecchie di queste opere mi ha passato in visione (fra cui l'edizione degli statuti del 1609); egli che ha studiato con amore la storia della sua terra ha voluto anche passarmi un suo lavoro inedito dal titolo Storia della Valsugana Inferiore e delle sue giurisdizioni letto come conferenza nel 1910; del quale mi sono servito non senza vantaggio in questa, che non vuoi essere una storia, ma un profilo storico della Valsugana.
1) G. BERTONDELLI: Ristretto dellaValsugana et delle Gratie miracolose della Madonna Ss. di
Honea in quella situata - Padova, 1665.
2) G. A. MONTE BELLO: Notizie storiche, topografiche e religiose della Valsugana e di Primiero -
Rovereto - Marchesani, 1793.
3) A. PERINI: Statistica del Trentino - Trento - Perini, 1852.
4) F. AMBROSI: La Valsugana descritta al viaggiatore - Borgo - Marchetto 1879.
5) O. BRENTARI: Guida del Trentino - Bassano - Pozzato, 1891.
6) A. PRATI: I Vulsuganotti - Torino - Ghiantore, 1923.
Importantissima infine la Raccolta dei documenti riguardanti la Valsugana fatta da Maurizio Morizzo, giacente nella Biblioteca comunale di Trento, manoscritti N. 2685-2687 e Marco Morizzo. Regesti di documenti di Castell' Alto, ms. 3464.