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Dal sito: http://www.regione.veneto.it/videoinf/periodic/precedenti/numero9/catari.htm
LA COLONIZZAZIONE
ITALIANA IN SANTA CATARINA (BRASILE) Una breve ricerca storica curata
dall’Associazione Veneta della Grande Florianopolis
Se della Conferenza dei Veneti in America
Latina, tenutasi in Brasile nel novembre scorso, è stato da tutti
tracciato un bilancio positivo, lo si deve anche all’efficienza e alla
capacità dimostrata dagli organizzatori di questa "tre giorni" di
confronto e dibattito, che ha di fatto aperto una nuova stagione della
politica della Regione Veneto nel settore dell’emigrazione. I meriti
sono dell’Associazione Veneta della Grande Florianopolis (e-mail:
veneto@veneto.org.br), che promuove diverse attività di carattere formativo
e culturale. Oltre allo studio delle lingue, offre la possibilità di
frequentare altri corsi professionali (turismo e scuola alberghiera,
decorazione, disegno) e didattici (letteratura, storia, geografia, storia
dell’arte, economia, ecc.), organizza viaggi culturali, mostre e cicli di
proiezioni dedicati alla cinematografia italiana. In una nota di
presentazione dell’Associazione, si legge: "Non dobbiamo soltanto
ricordare. Dobbiamo conoscere e recuperare le radici profonde della nostra
storia. Sappiamo che il Veneto è stata la regione italiana che ha
maggiormente contribuito alla formazione del popolo catarinense e, pur
conservando nel nome dell’Associazione il cordone ombelicale con questa
regione, sappiamo che non è possibile continuare nel nostalgico". A
dimostrazione dell’importanza che attribuisce ai contenuti culturali e
storici, l’Associazione Veneta della Grande Florianopolis ha distribuito
ai partecipanti alla conferenza di novembre una breve ricerca dal titolo
"La colonizzazione italiana in Santa Catarina". Si tratta di un
pregevole lavoro che, partendo dalla storia dell’emigrazione verso
l’America Latina, analizza l’attuale situazione socioeconomica dello stato
brasiliano. Ci è parso quindi opportuno riportare nelle nostre pagine
questo interessante contributo.
LA COLONIZZAZIONE ITALIANA IN SANTA
CATARINA
Il fenomeno della colonizzazione iniziò nel
1875 e la causa principale fu la situazione travagliata che colpì il mondo
contadino del Nord Italia e che ebbe la miseria come fattore determinante
per l’esodo della popolazione rurale. Chi giunse in Brasile come
emigrante, non lo fece per spirito di avventura, ma costretto dalla
miseria. D’altro canto, l’esodo fu favorito dalla politica che alcuni
paesi dell’America del Sud attuò per attirare contingenti di popolazione
destinati a promuovere la colonizzazione dei loro territori. Fu così
che migliaia di contadini presero il treno per Genova o per i porti
francesi, da dove si imbarcarono con un solo scopo : "Fare
l’America".
"Piuttosto complessa è la storia della
colonizzazione in Santa Catarina. Molti furono gli esperimenti tentati
nella regione e il loro esito molto vario. Per la Provincia di Santa
Catarina, le ragioni che consigliavano la colonizzazione con agricoltori
europei erano in parte diverse dalle ragioni che consigliarono il Brasile
a cercare l’immigrazione europea. Innanzitutto non si trattava di fornire
le "fazendas" di manodopera per sostituirvi gli schiavi. Al massimo, i
governi nazionali sfruttarono l’immagine delle colonie di Santa Catarina
per accelerare l’immigrazione europea in tutto il Brasile e guidarla verso
le fazende. Non era impellente nemmeno il bisogno di "far più bianca"
la popolazione. Bisognava innanzitutto popolare la regione e ciò fu lo
stimolo che condusse le autorità locali ad agire nel secolo XIX con
coerenza per aumentare il numero delle colonie e l’affluenza dei coloni
europei. Era questo un interesse che coincideva con un altro interesse
del governo centrale: difendere le frontiere del sud del paese dalle
pretese argentine." (da "Vincere o Morire" di Renzo Maria Grosselli –
Trento, 1986).
La prima colonia italiana in Santa Catarina
- 1836
La fondazione della prima colonia italiana
nella Provincia di Santa Catarina risale al 1836. La colonia, chiamata
"Nova Italia", nacque dall’iniziativa di due imprenditori: Enrico Schutel,
cittadino svizzero e agente consolare del Re di Sardegna a Genova e Carlo
De Maria, cittadino inglese nato a Genova. Essi ottennero dalla provincia
la concessione di una certa estensione di terra e nel 1836 vi condussero
186 coloni, prevalentemente italiani di origine genovese, alcuni tedeschi
e brasiliani. La colonia non ebbe molta fortuna: gli imprenditori si
comportarono come schiavisti, il fiume Tijucas, sulle cui rive era situato
l’insediamento, straripò, numerosi coloni furono uccisi nel corso di
attacchi da parte degli indios. Molte famiglie lasciarono la colonia
(situata a pochi chilometri da dove, quarant’anni più tardi sorgerà Nuova
Trento) e le terre tornarono alla Provincia, che le rinomino prima in "Don
Afonso" e più tardi in "Sao Joao Batista". Nel 1875, anno in cui si
insediarono i primi coloni trentini, veneti e lombardi, esistevano in
Santa Catarina cinque colonie attive: Blumanau, D. Francisca,
Itajahy - Principe D. Pedro, colonia militare Santa Teresa, colonia
Nazionale Angelina. Le tre prime erano colonie in cui l’elemento europeo,
soprattutto di origine tedesca, era predominante. Le ultime due accolsero
soprattutto coloni brasiliani.
La spedizione Tabacchi
Attorno all’anno 1872, Pietro Tabacchi,
trentino, stipulò un contratto con il governo brasiliano per
l’introduzione di un certo numero di emigranti trentini. Era una forma
molto comune di contratto per il Brasile di quegli anni. Il governo
concedeva delle terre agli imprenditori, ottenendo la promessa che esse
sarebbero state popolate e coltivate da coloni europei. Il prezzo e le
condizioni di pagamento sarebbero state molto vantaggiose. L’imprenditore,
che generalmente faceva parte di una società, si impegnava col governo a
trasportare i coloni sul posto più o meno gratuitamente e a dar loro un
pezzo di terra, che generalmente doveva essere pagata a rate. Sull’enorme
differenza di prezzo, l’imprenditore ci guadagnava moltissimo.
Il contratto Caetano Pinto
Nel 1874 la febbre Americana entrò nella vita
di molte comunità contadine del nord Italia. Era l’inizio di un fenomeno
che raggiunse il suo apice negli anni 1875-76 e che rimase una costante
fino agli anni 1940. Nel 1874, il governo Imperiale di Don Pedro II
stipulò con l’impresario Caetano Pinto un contratto per il trasferimento
in Brasile di centomila coloni europei in dieci anni. L’organizzazione
Caetano Pinto usò una strategia particolare per poter avvicinare i
potenziali emigranti: in poco tempo il nord Italia fu percorso da decine
di uomini che avvicinavano i contadini, prostrati dalla crisi economica e
dai cambiamenti socioculturali, convincendoli ad emigrare in
Brasile.
La partenza
La partenza dal paese avveniva, di solito, in
grandi gruppi, specie negli anni 1874 e 1877. I loro punti di ritrovo
erano le stazioni ferroviarie delle città più vicine. La seconda tappa era
la città di Verona dove gli emigranti si radunavano. Dopo la sosta di
una notte a Verona si dirigevano in treno verso il porto di Genova; chi
partiva da Marsiglia o le Havre, in Francia, faceva una sosta in più tra
Verona e Parigi, nella città di Modane.
Il viaggio
L’epoca dell’emigrazione ha conosciuto pagine
tristissime: per migliaia di esseri umani sono stenti e malattie durante
il viaggio con la nave o durante i primi anni di vita nelle colonie e
nelle piantagioni oltremare. Molti emigranti fecero un viaggio in
condizioni dignitose, molti altri pessimo e non pochi pagarono con la
vita. Alcuni furono trattati giustamente e secondo gli accordi firmati nel
contratto, altri furono miseramente ingannati. Il mezzo di trasporto
più comune per trasportare questa gente erano le navi a vela, invece delle
promesse navi a vapore. uestoQuesto Questo significava almeno raddoppiare
il tempo di navigazione (e perfino e triplicarlo o quadruplicarlo) con
conseguenti maggiori rischi di malattie e morti a causa della cattiva
alimentazione a bordo e dell’ammassamento di persone. Con la nave a
vapore il tempo previsto per l’attraversamento era di circa un mese. Con
la nave a vela era, minimo, di due mesi.
L’arrivo nella nuova terra
I NA BEN PASA’ TANTE’STI ANI I PRIMI CHE
E’ VEGNU’ EN MEZ AL BOSCH ! COS E’ CHE TE MAGNI DE
COLP ? NDE CHE TE VAI A DORMIR ? NDE CHE TE GAI LA
CASA? NO L’E’ MIGA BRINCADERE, SAVE’ FIOI,
SACRAMENTO ! Celso Pasqualini, Rodeio
Gli immigrati che arrivarono a Rio e
direttamente nei porti di Santa Caterina confluirono nelle case di
ricezione, di cui una certamente nel porto di Itajai. Da Desterro (poi
Florianopolis), capitale della provincia, vi erano condotti via mare e
accolti da un agente di colonizzazione che, nel periodo in questione era
un tedesco, M . TrompovsKy. Queste case di ricezione erano
generalmente costruite male, senza conforti e poche comodità. Il cibo era
a base di pesce, farina di manioca, fagioli, carne fresca, riso, patate,
pancetta, pane, zucchero raffinato, caffè, arance e legumi. Gli
immigrati non amavano la farina di manioca, "farina di legno" (segatura),
e non l’hanno mai apprezzata. Volevano mangiare polenta, come fanno
tutt’oggi nelle colonie italiane di Santa Catarina. La permanenza in
queste case di ricezione solitamente durava soltanto alcuni giorni, ma
molte volte si prolungava per settimane.
La nuova terra
Quando finì la tragedia dei baracconi cominciò
quella della foresta. I territori in cui furono insediati gli immigrati
italiani erano foreste vergini. La foresta era un ambiente fisico
totalmente nuovo ai coloni: vegetazione intricatissima e lussureggiante,
fauna molto diversa da quella che conoscevano e numerosa, presenza
terrificante di popolazioni selvagge. Per reperire il materiale
indispensabile alla costruzione dei primi rifugi i capifamiglia si
inoltravano nelle foreste con i figli maggiori. Furono costruite capanne
con tronchi di palamito legati, coperti di argilla e terra rossa. Il tetto
inizialmente era coperto di foglie di guaricanga che duravano molti anni.
Il pavimento della casa era in terra battuta e i mobili erano tronchi
d’albero. I coloni brasiliani si rivelarono indispensabili per la
sopravvivenza di quelli italiani. Infatti, insegnarono loro a costruire le
capanne, a difendersi dalle intemperie, a conoscere gli animali, le
stagioni e le piante. "La personalità dell’emigrante fu sottoposta a
sollecitazioni tali che condussero molti alla disintegrazione emozionale,
alla follia. La società contadina vive della stretta unità dell’uomo con
l’ambiente fisico che lo circonda. In questo caso l’ambiente era
totalmente diverso e quindi sconosciuto al colono. Si trattava di iniziare
di nuovo a vivere" (da "Vincere o Morire" di Renzo Maria
Grosselli). Dovettero abituarsi a nuovi usi igienici e a una nuova
dieta per adattarsi al clima e all’ambiente. Oltre al pericolo della
disintegrazione della personalità, c’era quello delle disintegrazione
culturale. L’emigrazione italiana non fu guidata e i coloni italiani
non avevano intellettuali fra loro. Tuttavia le colonie italiane non
persero le loro caratteristiche culturali grazie ad alcuni fattori: il
senso religioso dei contadini del nord Italia, l’isolamento delle comunità
contadine della foresta da quelle di cultura diversa. Un fenomeno molto
importante che nacque dentro la foresta fu la totale solidarietà tra i
coloni: sempre, nei momenti difficili le piccole comunità si aiutarono tra
di loro.
Immigrati italiani in Brasile e in Santa
Catarina
Stando a una statistica pubblicata nella tesi
di dottorato del prof. Roselis Correa, tra il 1820 e il 1908 entrarono in
Brasile 1.277.040 immigrati italiani. Nello stesso periodo sarebbero
entrati 672.213 portoghesi e 96.006 tedeschi. E’ molto difficile
reperire dati certi per quanto riguarda Santa Catarina, perché si persero
o furono bruciati i rapporti sull’immigrazione che, in quell’epoca, era
sotto la responsabilità del ministero dell’agricoltura, organo promotore
dell’immigrazione durante l’Impero e la Repubblica. Secondo una statistica
del Principe Gherardo Pio di Savoia, console in Florianopolis, fatta
nell’anno 1901, fino al 1900 sarebbero entrati in Santa Catarina più di
26.868 immigrati. Oggi i discendenti degli immigrati formano una
percentuale del 65 per cento della società catarinense. Gli immigrati
italiani che sono arrivati qui, hanno conquistato poco a poco Santa
Catarina, non con le armi, ma con gli attrezzi di lavoro. Le foreste,
che al loro arrivo erano popolate quasi esclusivamente dagli indios
Kaiguangues, furono trasformate in città.
Colonie del Sud
I coloni arrivarono con la nave: l’entrata era
nel porto di Imbituba, o di Laguna, distante sette-otto ore dalla capitale
Desterro. Furono fondate le colonie di Tubarao, Criciuma, Urussanga,
Araranguà, Imaruì (la laguna di Imaruì era la sede della commissione dei
territori e colonizzazione delle colonie del sud), Treze de Maio, Pedras
Grandes, Armazens, Rio Cocal, Belluno, Treviso, Orleans, Grao Parà e,
ultima, Nova Veneza.
Colonie del Nord
Partendo da Florianopolis, facendo il cammino
che fecero gli immigranti dai porti dove sbarcarono, incontriamo le
seguenti colonie : Porto Belo, Itajai, Nova Trento, Brusque,
Blumenau, Sao Francisco - Joinville, Sao Bento, Campo Alegre, Rodeio, Rio
dos Cedros, Ascurra.
Colonie dell’Ovest
L’occupazione di queste terre avvenne tra il
1920 e il 1970 per un fenomeno migratorio interno. Il colono italiano
lasciò le vecchie colonie del Rio Grande do Sul in cerca di nuove
terre. Lasciare subito le terre già sfruttate per disboscare terre
nuove e fertili è stato il fine delle giovani famiglie di discendenza
italiana. I 25 ettari comperati all’inizio dal governo furono disboscati e
resi coltivabili fino al termine della prima generazione. Non c’era posto
per le famiglie dei figli perché non si usava concime e non si conosceva
il sistema di rotazione dei terreni. Dopo due anni di coltivazione, si
doveva lasciare riposare la terra almeno cinque anni. Ogni famiglia, per
questo, aveva bisogno di grandi estensioni di terra, pur coltivando pochi
ettari per anno. E così partirono per occupare le terre vicine e fondarono
le città di Videira, Caçador, Concordia, Chapeco, Sao Miguel do Oeste,
Pinheiro Preto e altre.
Santa Catarina oggi
Santa Catarina che, per superficie, è uno degli
stati più piccoli del Brasile, ha però una delle più floride e dinamiche
economie del paese. Le ditte catarinensi sono in testa nella produzione di
alimenti, ceramiche, prodotti metallurgici e siderurgici, confezione di
carta e cellulosa. La caratteristica importante dell’economia
catarinense è la distribuzione bilanciata delle attività, fondata
sull’allevamento del bestiame, sulla forza industriale e sulla crescita
del settore dei servizi. L’economia catarinense si basa su sei
realtà: Joinville (tessile ed elettromeccanica); Blumenau (tessile e
informatica); Criciuma (ceramica); Lages (legno e
cellulosa); Chapeco-Concordia (alimentazione); Videira-Joaçaba
(alimentazione).
Sul fronte dell’import-export, le ditte
catarinensi sono importatrici di fondi, conseguenza di un costante
processo di aggiornamento tecnologico, ma sono pure grandi
esportatrici. Le ditte importano materie prime dagli stati brasiliani e
da altri paesi, per poi elaborarle e vendere prodotti finiti, pezzi di
macchine, compressori, prodotti tessili, ceramiche, carta, mobili. Viene
inoltre esportato pollame, volatili e suini. Nel 1995 sono state
registrate esportazioni per un totale di 2.652 milioni di dollari. I
maggiori clienti esteri sono: Stati Uniti (464,9 US$ milioni); Germania
(290.9); Argentina (198.2); Giappone (129.3); Regno Unito (114.0). I
principali prodotti esportati sono: pollo intero e parti (341 US$
milioni); compressori (263); semola di soia (182); vestiti e asciugamani
(160); mobili in legno (150); tabacco (110); olio grezzo di soia (100);
carta e cartoni (90); ceramiche (89); motori elettrici (72).
Qualità della vita
In Santa Catarina si vive bene. L’economia è
decentrata e differenziata e, come nella Regione del Veneto, prevale la
piccola impresa a carattere familiare. Non ci sono metropoli, la
percentuale di alfabetizzazione è di oltre il 90% e il reddito pro capite
è tra i più alti della nazione. Il 30% della popolazione vive nei
campi, in piccole proprietà dove prevale la manodopera familiare. Lo stato
(regione) è stato colonizzato principalmente da immigrati europei che
hanno trasformato il popolo catarinense in un grande mosaico etnico e
culturale. E’ una terra con forte vocazione turistica. Le bellezze
naturali attirano un milione e mezzo all’anno di turisti brasiliani e
stranieri. Su 500 km di litorale marittimo ci sono 170 spiagge ideali per
praticare sport d’acqua e balneazione. Esiste un profondo rispetto per
l’ambiente naturale: il 27% della vegetazione è originale, con grandi
superfici di foresta atlantica intatta. |