Fitodepurazione:
il caso di Felegara (Parma)
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De Santis Leonardo R.L. - Sconosciuto Francesca

 


Introduzione

Fino a qualche secolo fa, l'uomo era ben lungi dal preoccuparsi del problema dei rifiuti; egli si interessava di sopravvivere, combattere, migliorare le proprie condizioni, ma non di certo di smaltire gli scarti del suo vivere quotidiano. Una prima esigenza nacque già più di duemila anni fa, nel 600 a.c., quando qualcuno comprese che gli scarichi dovevano essere allontanati dal centro abitato, perché potevano causare diffusione di patologie (in quest'anno fu, infatti, costruita la famosa Cloaca Maxima). Dovranno passare ancora molti secoli prima di comprendere che non è sufficiente allontanare un materiale, di qualsiasi natura esso sia, per eliminarne gli effetti indesiderati: essi in tal modo scompaiono dall'ambiente a noi immediatamente circostante, ma necessitano di trattamenti successivi per essere smaltiti.

Forse la prima spinta reale è stata data dall'esigenza di rendere potabile l'acqua che serve per la gran parte delle attività umane. In seguito, con i successivi studi ecologici sul funzionamento degli ecosistemi naturali e con la presa di coscienza dell'aspetto globale dell'inquinamento, si è arrivati al concepimento di atti istituzionali (vedi legge Merli in primis) che hanno imposto, con tutti i limiti di una politica di carattere non preventivo, un rispetto maggiore della realtà ambientale e, dunque, hanno obbligato alla depurazione delle acque e allo smaltimento dei rifiuti, anche se non in modo completo e soddisfacente. Ci si occupa, in questa sede, del primo di questi due problemi.

La depurazione delle acque reflue prevede la raccolta, il successivo trattamento e l'eventuale riutilizzo delle stesse. Tra i sistemi di trattamento più comuni ci sono quelli meccanici, chimico-fisici, chimici, biologici di tipo aerobico e anaerobico (basati sulla digestione dei reflui in sistemi di lagune o in fermentatori, dove le sostanze organiche complesse vengono degradate dai microrganismi in sostanze più semplici, con diminuzione dei parametri caratterizzanti l'inquinamento, quali BOD, COD, solidi sospesi, disciolti, azoto, fosforo, etc.).

Esistono dei parametri di legge da rispettare nella composizione degli scarichi in uscita dai depuratori; può accadere che, sebbene questi valori siano rispettati, in zone contigue allo scarico i parametri risultino superiori a quelli previsti. Tale fenomeno può essere dovuto ad attività antropiche (ad esempio, nel caso che studieremo il problema è dovuto all'uso delle acque del fiume Taro a scopi irrigui). In tal caso, la fitodepurazione può essere di aiuto e affiancare un normale impianto di depurazione; consente, infatti, l'assorbimento da parte di organismi naturali di sostanze inquinanti, facendo rientrare la concentrazione di queste ultime nei parametri di legge e in contemporanea migliorare gli aspetti naturalistici di tali zone.

Prima di addentrari nella descrizione di queste aree, riportiamo una breve descrizione delle caratteristiche principali delle sostanze inquinanti delle acque reflue.

 

Le acque reflue

Le sostanze chimiche inquinanti vengono suddivise in elementi e molecole naturalmente presenti nell'ambiente e molecole di sintesi immesse nell'ambiente per mezzo di processi produttivi.

Il primo gruppo di elementi può presentare motivo di inquinamento se le molecole aumentano oltremodo in quantità, mobilità e/o reattività. Tali elementi possono essere identificati in nutrienti, oligoelementi , elementi tossici e sostanza organica.

Tra i nutrienti, la cui rimozione è condizionata dal carico areale ,dal tipo di vegetazione, dal clima e dalla natura del suolo, sono compresi: l'azoto (disciolto inorganico, organico, complesso o particellato) che viene rimosso mediante nitrificazione più denitrificazione, volatilizzazione di ammoniaca e assimilazione da parte delle piante; il fosforo (disciolto inorganico e organico o particellato) la cui rimozione non è sempre molto efficiente sebbene si possa raggiungere una percentuale di rimozione del 57% attraverso assimilazione da parte di piante, adsorbimento su argilla, precipitazione sotto forma di fosfati, complessazione con perossido idrato di ferro.

La sostanza organica, la cui decomposizione provoca consumo di ossigeno mediante respirazione aerobia, decarbossilazione ossidativa e deamminazione ossidativa, vede misurato il proprio potere inquinante come BOD5 (richiesta biologica di ossigeno, ossia la quantità di quest'ultimo necessaria alla comunità microbica per ossidare la sostanza organica del campione in cinque giorni) e COD (richiesta chimica di ossigeno, ovvero quantità di sostanza organica effettuata mediante l'ossidazione con cromo esavalente in ambiente acido). La rimozione della sostanza organica espressa in termini di BOD5 segue la cinetica:

BODout = BODin * exp(-KT *tr) mg/l

dove BODout è il BOD5 finale, BODin è il BOD5 iniziale , KT è funzione della temperatura K20(1,1)T-20 e tr è l'HRT (tempo di ritenzione idraulica). I composti organici sintetici vengono rimossi per ritenzione nel sedimento.

Tra gli elementi tossici i più importanti sono i metalli pesanti (piombo, mercurio, cadmio e cromo), rimossi per precipitazione come sali insolubili, assorbimento radicale e complessazione in molecole organiche.

Si cita l'eventuale presenza di patogeni soprattutto nelle acque superficiali tra i quali batteri e virus, rimossi per predazione, assorbimento radicale, sedimentazione e morte naturale per condizioni non ottimali.

Come ricordato, un impianto di fitodepurazione favorisce molte delle reazioni sopracitate, che diversamente non sarebbero consentite nella quantità richiesta. Dato che un sistema siffatto nella pratica può coincidere con la costruzione di una zona umida, si discutono i caratteri salienti di quest'ultima.

 

Le zone umide

Generalità

L'importanza delle zone umide è ormai indiscussa, grazie a ragioni di ordine etico, sociale, economico, ambientale emerse nel corso degli anni per mezzo di studi e ricerche.

Marble (1992) individua otto obiettivi ecologico-ambientali conseguibili per mezzo della creazione e/o del potenziamento di zone umide:

rimozione/trasformazione dei nutrienti; ritenzione di sedimenti e sostanze tossiche; stabilizzazione delle rive; modifiche dei regimi idrologici; ricarica delle falde; produzione delle biomasse pregiate; aumento della biodiversità e dell'abbondanza acquatica; diversità di habitat per la fauna.

I caratteri essenziali di questi ambienti di transizione dipendono dalla costante presenza di una lamina di acqua, spesso di profondità contenuta, che permane per un tempo abbastanza lungo da consentire la formazione di un suolo saturo e lo sviluppo di forme di vegetazione acquatica. Le zone umide coinvolgono diversi comparti biotici e abiotici non tutti ancora compresi in termini quali-quantitativi, ma sicuramente implicati nei processi di ciclizzazione/rimozione/trasformazione della materia. Le funzioni chiave per la regolazione dei carichi dei nutrienti sembrano essere essenzialmente: l'attività dei popolamenti microbici, le reazioni chimico-fisiche tra acqua e sedimenti e i processi di produzione della biomassa vegetale.

Le caratteristiche della comunità vegetale vengono dettate automaticamente dalle condizioni di anossia nell'acqua e dall'ambiente riducente del sedimento superficiale; infatti, tali realtà determinano un ambiente chimico costituito dalla presenza degli elementi inorganici nelle loro forme ridotte e dunque solubili e fitotossiche. Al crescere della profondità diminuisce l'ossigeno disciolto a causa della respirazione endogena degli organismi viventi ed inoltre per il suo utilizzo nelle reazioni ossidative dei composti allo stato ridotto e degradative della materia organica. L'anossia è favorita dalla materia organica da degradare (se in grandi quantità) e dalla copertura vegetale superficiale che causa ombreggiamento, impedendo il normale svolgimento dei processi fotosintetici al di sotto della stessa.

La copertura vegetale tipica è dotata di tessuti adatti al trasporto dell'ossigeno verso l'apparato radicale, può pertanto avere un'interfaccia ossidata attorno agli organi ipogei immersi nel sedimento anossico (rizosfera). Ivi si formano gradienti chimici atti ad attenuare la fitotossicità degli ioni ridotti e a permettere lo sfruttamento, da parte della pianta, dei nutrienti presenti. Favoriscono un'elevata produzione primaria ogni tipo di meccanismo adattativo delle popolazioni vegetali e la disponibilità di nutrienti, i quali vengono poi immobilizzati nelle biomasse vegetali.

Le zone umide, negli ultimi anni, hanno ricevuto attenzione crescente dovuta alla rilevazione di sistemi a basso consumo energetico in grado di sostituire costosi impianti tecnologici per la depurazione batteriologica delle acque. L'E.P.A., nel 1988, riconosceva interessante l'uso di zone umide per il trattamento delle acque reflue per tre ordini di motivi: le funzioni di accumulo di nutrienti e il ruolo tampone di queste zone, la possibilità di benefici ambientali (estetici, faunistici, vegetazionali), i crescenti costi energetici di costruzione e gestione dei sistemi depurativi convenzionali. A questi sono state aggiunte tre motivazioni gestionali: la produzione di biomassa, la possibilità di trattare i carichi diffusi e di riconvertire aree marginali in zone umide.

In realtà i processi che avvengono non sono così conosciuti e di conseguenza le stime di efficienza del sistema sono sintetizzate da modelli che prendono in considerazione alcuni parametri fisico-chimici, ma risultano banali per le assunzioni biologiche. Da un punto di vista funzionale una zona umida è caratterizzata da un mosaico spaziale di microambienti che si modificano e si succedono nel tempo e consentono il contemporaneo svolgimento di processi antitetici. Per questa ragione ogni zona umida ha caratteristiche proprie e tutti gli schemi generali di riferimento vanno intesi come semplificazioni concettuali di riferimento.

 

Classificazione delle zone umide

L'E.P.A. distingue tre principali tipologie; si citano per prime le zone umide naturali, le quali sono soggette alla normativa riguardante le acque superficiali; ciò comporta il rispetto di limiti per quanto concerne le caratteristiche dell'acqua da trattare. Il sito non sempre coincide con il luogo ottimale in cui convogliare e trattare gli scarichi. In secondo luogo consideriamo le zone umide costruite; queste non sono soggette a legislazione e possono essere costruite nel sito in cui c'è bisogno, però sono sottoposte ad un controllo idraulico maggiore. La scelta del sito è comunque vincolata dal tipo di vegetali prescelti e dalla eventuale presenza di centri abitati nelle vicinanze, che potrebbero non tollerare la costante presenza di insetti e cattivi odori. Si fa menzione delle due tipologie progettuali di tali sistemi:

free water surface (FWS): insieme di più bacini sviluppati in lunghezza con fondo reso impermeabile dall'utilizzo di uno strato materiale argilloso e plastico, uno di suolo, una certa quantità d'acqua, una comunità di piante acquatiche parzialmente sommerse con l'associata attività dei microrganismi;

subsurface water (SFS): lo strato di suolo è fatto da materiale particolare, atto a consentire lo scorrimento idrico, il radicamento delle piante, lo sviluppo dei microrganismi; l'acqua scorre sotto la superficie del suolo.

In ultimo si osservano le caratteristiche principali dei sistemi di piante acquatiche, che si presentano come bacini o canali artificiali impermeabili, contenenti masse d'acqua in cui vivono macrofite e microrganismi. Anche in questo caso, citiamo i due tipi di sistemi. I primi sono caratterizzati da piante acquatiche flottanti, con gli apparati fotosintetici al di sopra della superficie acquatica e l'apparato radicale lungo la colonna d'acqua. Spesso la stessa struttura favorisce condizioni di anossia, inibendo la crescita di alghe. A volte si ha trasporto di ossigeno alle radici delle piante intorno alle quali viene dunque favorito il metabolismo aerobio dei microrganismi. I secondi sistemi sono di piante acquatiche sommerse, in cui tutta la pianta è al di sotto della superficie sfruttando gas disciolti per la fotosintesi; essi sono efficienti per la rimozione di azoto mediante assimilazione e liberazione di ammoniaca gassosa. Il rilascio di quest'ultima danneggia i pesci usati per il controllo degli insetti molto sensibili al composto.

 

Vegetazione

Le piante più sfruttate per il tipo di progetto in analisi risultano di due tipi. Possono essere utilizzate macrofite radicate ed emergenti (elofite) e macrofite liberamente natanti (pleustofite) oppure sommerse ed ancorate al fondo (idrofite in senso stretto). Nel primo gruppo ritroviamo due tipi di Scirpus (lacustris e maritimus),piante palustri radicate, adattate a diversi intervalli di temperatura, salinità, profondità. Sopravvivono a temperature che vanno da un minimo di 16°C ad un massimo di 27°C, resistono anche in ambienti salmastri, tollerano valori di pH compresi tra 4 e 9 e crescono a basse profondità, comprese fra cinque e tre centimetri. Un altro esempio di elofite è dato dalla Typha (latifolia e angustifolia), in quanto è facilmente adattabile a molti tipi di clima e di conseguenza molto diffusa; è caratterizzata da una elevata produzione di biomassa e consente una ingente riduzione dei carichi di azoto e fosforo, soprattutto se l'acqua circola in superficie. In genere cresce più facilmente a profondità maggiori o uguali a 15 centimetri, ma riesce ad adattarsi anche a valori minori. Ancora un esempio è dato dalla Phragmites (comunis, australis e carex acuta).

L'esempio più diffuso negli impianti artificiali e nelle zone umide naturali europei è dato dalla Phragmites comunis e da quella carex acuta, piante molto efficienti nel trasporto di ossigeno e in grado di crescere anche se residenti in ambienti molto profondi (riesce a sopravvivere fino ad un metro e mezzo di profondità). Sono caratterizzate dall'adattamento alla circolazione dell'acqua attraverso il suolo, grazie alla morfologia dell'apparato radicale. Infine si citano altri tipi di macrofite del primo gruppo con caratteristiche analoghe a quelle già citate, ma sulle quali è stata compiuta meno sperimentazione circa il loro utilizzo in impianti fitodepurativi: Cladium mariscus, Sparganium erectum, Iris pseudacorus, Carex riparia, Glyceria maxima, Juncus effusus, Sagittaria sagittifolia, Alisma plantago-aquatica, Mentha aquatica, Nasturtium officinale.

Per quanto concerne il secondo gruppo, invece, abbiamo le elofite e le idrofite; le prime sono piante che, radicanti sul fondo, rimangono con la porzione basale quasi sempre sommersa, mentre foglie e fiori emergono dall'acqua. Le idrofite sono piante con corpo vegetativo completamente sommerso oppure galleggiante sulla superficie dell'acqua; possono essere ancorate al fondo con le radici, oppure fluttuanti in superficie o al di sotto di essa.

Gli studi hanno riguardato soprattutto la famiglia delle Lemnaceae; le più importanti e le più diffuse sono: la Lemna gibba, la Lemna minor, la Lemna trisulca, la Spirodella polyrhiza e la Wolffia. Esse sono flottanti, anche vista l'impossibilità di radicarsi a causa della breve lunghezza raggiunta dal loro apparato radicale (10 millimetri); hanno un elevato tasso di accrescimento, anche nei mesi invernali, per via della loro insensibilità al freddo, però sono influenzate dal vento, tanto da essere accumulate spesso solo in determinate zone. Ciò non è positivo, visto che la totale copertura dello specchio è una condizione ottimale. In effetti sono causa di anossia negli strati inferiori e dunque rendono necessaria l'ossigenazione, ma la conseguente inibizione della crescita delle alghe è altrettanto importante e vantaggioso.

Alcune specie tollerano elevate concentrazioni di cloruro di sodio, tanto da essere utilizzate in acque salmastre non sfruttabili per l'agricoltura tradizionale. Le Lemnaceae sono in grado di asportare i nutrienti organici e inorganici, producendo una biomassa utilizzabile come nuova fonte proteica hanno un alto contenuto di fosforo e azoto poiché è in grado di operare un'asportazione selettiva dell'ammoniaca (tossica per numerosi organismi terrestri e altre piante acquatiche) in presenza di alte concentrazioni di nitrati e quindi sono un nutrimento subito utilizzabile per la fauna, in particolare per gli uccelli. La Lemna, oltretutto testata su un impianto sperimentale in pianura padana, ha una crescita attiva per otto mesi all'anno sebbene modesta (la Lemna gibba però vive meglio nei mesi invernali e dunque non sarebbe sufficiente a garantire il giusto apporto di biomassa per tutti i mesi), è economica, facile da trasportare per il suo piccolo volume. Il suo picco di produzione è a temperature dell'acqua maggiori di 10°C e dell'aria maggiori di 15°C; per questa ragione i mesi più produttivi sono quelli estivi. La Spirodella polyrhiza è la più grande, appartiene a tipiche forme tropicali sebbene alcune siano caratteristiche anche dei climi temperati. La Wolffia è la più piccola.

Altra macrofita del secondo gruppo molto studiata è la Eichornia crassipes; essa presenta una crescita vigorosa su acque a temperature superiori ai 18°C , mentre al di sotto dei 12 °C la sua crescita si arresta, ma è in grado di emettere nuovi germogli al salire della temperatura se non è stata sottoposta a valori minori a 0°C. Presenta un'enorme capacità riproduttiva nei tre mesi di attività; è capace di rimuovere inquinanti, soprattutto se costituiti da metalli pesanti, fosfati e nitrati. La sua biomassa è ricca di proteine e dunque potrebbe trovare impiego (con diversi limiti pratici) in zootecnia. Infine si citano altri tipi di pleustofite e idrofite meno sperimentate ma altrettanto valide: Nymphaea alba, Nuphar luteum, Hydrochris mursus ranae, Polygonum amphibium, Myriophyllum spicatum, Cerauphyllum demorsum, Elodea canadensis, Potamogeton natans, Pistia stratioides, Trapa natans.

In generale possiamo concludere con brevi cenni all'adattamento di questo tipo di flora: l'ambiente in cui tali piante vivono comporta modificazioni del tutto singolari del corpo: sviluppo della lamina fogliare, per evitare lesioni dovute alla turbolenza delle acque; presenza sullo stesso individuo di foglie con aspetto variabile in rapporto alla loro posizione rispetto all'acqua; mancanza di stomi sulle foglie a contatto con l'acqua, ecc.

 

Analisi del caso di Felegara

Come sostenuto finora, una zona umida, come sviluppo di un impianto di fitodepurazione, può essere affiancata potenzialmente ad ogni depuratore (oltre che rappresentare una possibilità anche per la vera e propria depurazione), premesso che esistano delle condizioni che non si possono ignorare se si vuole tendere ad un funzionamento reale dei processi (natura del suolo, idrologia del posto, topografia della zona).

Il sito scelto è la frazione di Felegara, facente parte del comune di Medesano, a pochi chilometri da Parma.

Il depuratore è posto nella periferia del centro abitato, proprio perché le acque devono poi essere rilasciate nel fiume Taro.

[cliccare QUI per vedere le fotografie ingrandite]

Sito di scarico del depuratore

Possibile luogo di costruzione delle vasche per la fitodepurazione

Depuratore privato di Felegara

 

La situazione attuale

Il fiume Taro avrebbe di per sé un buon potere diluente rispetto ai quantitativi di acque degli immissari, che hanno una portata esigua rispetto al fiume stesso, ma il continuo prelievo a scopo irriguo ha portato al manifestarsi di una situazione critica soprattutto nei mesi estivi. Il quantitativo di acqua deviata verso i diversi canali di irrigazione è circa il 70-80% del totale del Taro e ciò ha causato una diminuzione del flusso in alcuni tratti fino a valori di 0,7 m3/sec. Restando costante, invece, la portata degli immissari e delle acque di scarico provenienti dai depuratori, si ha un aumento delle concentrazioni di azoto ammoniacale, azoto nitroso, fosforo totale, COD e coliformi.

Gli effetti maggiori sono stati riscontrati nel tratto del fiume immediatamente successivo al depuratore di Felegara, pur essendo a norma di legge il valore dei parametri dello scarico in riferimento a quelli riportati nella tabella A della legge Merli.

Ad esempio le concentrazioni di azoto ammoniacale e azoto nitroso risultano superiori a quelle consigliate dal D.L. 130/92 per la tutela della fauna ittica. Si riportano di seguito i dati di un campionamento effettuato nel 1995-96 e quelli definiti dal decreto per quanto riguarda i Ciprinidi e i Salmonidi.

 

depuratore di Felegara

fiume Taro posteriore

valori consigliati Ciprinidi

valori consigliati Salmonidi

 azoto nitroso
 405 mg/l  30 mg/l  9 mg/l  3 mg/l

 azoto ammoniacale
 2368 mg/l  438 mg/l  160 mg/l  30 mg/l

Si evince da questi dati la criticità della situazione anche dovuta alla diminuzione del pH, all'aumento della conducibilità, del fosforo, del carico di COD e di coliformi.

 

Obiettivo

Il fine di questo lavoro di ricerca è la progettazione e l'annessione di una serie di vasche di fitodepurazione all'impianto già esistente a Felegara prima dell'immissione delle acque di scarico nel fiume; lo scopo che si vuole raggiungere è la diminuzione delle concentrazioni di azoto ammoniacale, azoto nitroso, azoto totale, fosforo, COD ed in particolare dei coliformi fecali e totali.

Si vuole, inoltre, abbattere parte dei carichi diffusi provenienti dalle zone agricole limitrofe e migliorare nel contempo gli aspetti naturalistici del luogo, visto che le vasche del fitodepuratore si inserirebbero in un contesto ambientale adatto.

Altro obiettivo che ci si prefigge è progettare un sistema che sia realizzabile non solo dal punto di vista ecologico e ingegneristico ma anche economico; per quanto è possibile verranno ponderate diverse soluzioni prendendo in considerazione quella la cui realizzazione comporta il maggior beneficio netto.

 

Progettazione delle zone umide

Scelta del sito

Il primo passo verso l'attuazione del progetto consiste nella scelta del sito più adatto per l'ubicazione dell'impianto; bisogna attuare uno studio comparativo tra i diversi siti possibili, tenendo conto di alcune caratteristiche fondamentali, come segue. La topografia del luogo influenza la scelta secondo i parametri di: vicinanza di centri abitati, limiti della distribuzione geografica delle piante e costi di escavazione (per diminuire i costi sarebbe preferibile utilizzare zone depresse). Il tipo di suolo è importante, perché deve dare un adeguato supporto alla vegetazione; ad esempio è preferibile per i free water surface un suolo sabbioso-argilloso o limoso-argilloso. Bisogna inoltre considerare il valore economico del terreno che si va ad occupare per la costruzione delle vasche, scegliendo quello meno sfruttato (in modo che i benefici siano maggiori della produttività precedente). Va effettuato un bilancio idrologico per determinare il tempo di ritenzione adeguato e il volume d'acqua necessario. Si tiene conto delle portate in entrata e in uscita, delle precipitazioni e dell'evapotraspirazione. Si suppone che il volume totale in condizioni normali rimanga costante (dV/dt=0).

 

Caratteri generali dell'impianto

L'impianto deve avere un alto rapporto tra lunghezza e larghezza della vasca, inoltre il sistema degli affluenti deve essere distribuito mediante una rete di canali ed è opportuno riciclare parte degli effluenti mediante un canale che ritorna indietro (altra soluzione sarebbe l'uso di una pompa ma è la soluzione meno economica). Le strutture di deflusso devono essere posizionate in modo da garantire un'adatta profondità in ogni periodo dell'anno.

Un problema fondamentale è in generale l'ottimizzazione dell'impianto, che può essere realizzata attraverso: lo studio della geometria delle vasche, per ottenere un corretto rapporto fra superficie filtrante, tempo di ritenzione idraulica (HRT) e capacità di produzione delle piante; l'individuazione degli esatti periodi di rimozione delle piante, per evitare la sovrappopolazione delle stesse (che causa la diminuzione del potere filtrante, l'accumulo di detriti vegetali e quindi fermentazione anaerobia, ecc.); l'aerazione frequente delle vasche, in modo da evitare l'eutrofizzazione. Vanno considerati fattori climatici, pedologici, vegetazionali e antropici del sito, dai quali dipende il carico idraulico.

Problema altrettanto importante per la riuscita del progetto è trovare un corretto valore di concentrazione del BOD in ingresso, poiché a valori troppo elevati ostacola la crescita delle piante, mentre bassi valori sono sfavorevoli per la denitrificazione batterica; per valutare il tasso ottimale di BOD si considera la quantità di ossigeno occorrente alla sua rimozione e quella trasferita ai sedimenti dalle piante (un rapporto ottimale tra i due valori è 1:2). E' necessario, inoltre, tenere conto che il BOD in entrata si suddivide nel sistema in degradato, sedimentato e residuo.

 

Modellistica utilizzata

Il dimensionamento dell'impianto fitodepurativo si basa sui parametri coinvolti nella cinetica di rimozione della sostanza organica, dei coliformi, dell'azoto e del fosforo. Il modello fornito dal professor Antonietti, sviluppato su Microsoft Excel, consente di ottenere i parametri progettuali per una zona umida; esso richiede in ingresso in primo luogo parametri generali riguardanti il sito, tra gli altri:

altezza sul livello del mare (metri);
media annuale della temperatura dell'aria (°C);
differenza tra temperatura massima e minima dell'aria (°C);
giorno dell'anno con temperatura massima (valore suggerito = giorno numero 220).

A questo punto vanno inseriti i valori relativi allo scarico:

media annuale della temperatura dell'acqua (°C) indicata come mT;
media annuale della portata Q (l/sec) indicata con mQ;
variazione di portata (% con valore suggerito minore del 50%);
media annuale del COD in ingresso (mg/l) indicato come mCODin;
variazione di COD (% con valore suggerito minore del 50%);
COD sedimentabile (%);
COD solubile non biodegradabile (% rispetto al COD totale con valore suggerito minore del 50%) indicato come CODsb;
media annuale dell'azoto totale in ingresso (mg/l) indicata con mN;
azoto sedimentabile (%);
NO3 disciolto (% rispetto all'azoto totale);
NH3 disciolto (% rispetto all'azoto totale);
media annuale dei coliformi totali in entrata (cell/ml) indicata come mCOLIin;
variazione di coliformi (% con valore suggerito minore del 50%).

Adesso il modello richiede i requisiti che vogliamo in uscita dall'impianto fitodepurativo:

rimozione richiesta di COD (% con valore suggerito dal 10 al 90 %) indicato come rCOD;
rimozione richiesta di azoto (% con valore suggerito dal 10 all'80 %) indicata con rN;
rimozione richiesta di coliformi (% con valore suggerito dall'80 al 99,99 %) indicata come rCOLI.

Fornisce ora i risultati in prima approssimazione alla temperatura media annuale e considerando come profondità un metro:

- il tempo di ritenzione idraulico per la rimozione del COD viene calcolato come: HRT (giorni) = [(ln(mCODin/1,7)]-(ln{[(mCODin *((100-rCOD)/100))-CODsb*0,01*mCODin)/1,7]})/(0,25*1,047(mT-20));
- il tempo di ritenzione idraulico per la rimozione dell'azoto viene calcolato come: HRT (giorni) = exp(-0,000857*(mQ*mN*rN*86400*365/109)+3,33);
- il tempo di ritenzione idraulico per la rimozione dei coliformi viene calcolato come: HRT (giorni) = (ln(mCOLIin*(100- rCOLI)/100)-ln(mCOLIin))/(-1*(0,9*exp(((-0,000165*mT2) +0,06*mT-1,09))))

assumendo come indice di mortalità dei coliformi a 20°C K20=0.9 giorni-1 e corretto alla temperatura t mediante la relazione Kt = K20*exp[-0.05(t)].

Il modello richiede ora i parametri relativi a :

profondità (cm) indicata con h;
superficie (m2) indicata con S;
lunghezza (m) indicata con L;

la percentuale di volume occupato da ciottoli, sabbia, ghiaia, indicato con Vv, di tutte le vasche, seguendo i valori consigliati in letteratura, riportati nella tabella dell'EPA che segue:

 Tipo di supporto

 Max taglia 10% dei grani (mm)

 Porosità

 Conduttività idraulica (m3/m2*giorno)

 K20

Sabbia
 1  0,42  420  1,84

 Sabbia argillosa
 2  0,39  480  1,35

 Sabbia ciottolosa
 8  0,35  500  0,86

Il modello calcola ora nuovi risultati che riguardano:

il volume teorico (m3) = (h*S/100) indicato con V;
l'HRT teorico medio (giorni) = (V*((100-Vv)/100))/(mQ*86,4), larghezza (m) = S/L;
la superficie totale (m2) come la somma di tutte le superfici delle vasche, indicata con Stot;
il carico totale medio di sostanza organica (gBOD/m2*giorni) che sarà uguale a mBODtot = mQg*(mCODin - mCODin * CODsb *0,01)/(Stot*1,7).

Infine vi è l'ultima richiesta di parametri:

il rapporto di coliformi che si hanno in diminuzione per giorno indicato con KCOLI (a 20 °C) con valore che varia nell'intervallo tra 0,4 e 1,6 (giorni-1) delle vasche;
il rapporto di BOD che si ha in diminuzione per giorno, indicato con KBOD (a 20 °C) con valore suggerito di 0,0057 (giorni-1) delle vasche.

Come terzo risultato si ottengono, oltre ai risultati calcolati una serie di grafici che rappresentano l'andamento annuale del COD e dei coliformi.

Altri dati utili forniti al modello sono:

portata media in m3/giorno indicata con mQg;
portata media in m3/anno;
HRT nelle vasche (giorni);
velocità (cm/sec) nelle vasche;
deviazione standard: della portata (l/sec), dei coliformi (cell/100 ml), del COD (mg/l), dell'azoto (mg/l), del fosforo (mg/l), dei solidi sospesi (mg/l);
i volumi reali delle vasche (m3);
il rapporto superficie / volume delle vasche.

Peculiarità importante di questo modello è la possibilità di immettere le variazioni percentuali dei parametri in ingresso, che vengono poi tenute in considerazione dal punto di vista algoritmico.

 

Dimensionamento dell'impianto

I dati cui si fa riferimento sono tratti campionamenti relativi alla stazione esistente allo sbocco del depuratore di Felegara tra maggio 1995 e giugno 1996, forniti dal professore Antonietti e riportati come segue:

T °C med

T °C max

T °C min

NH3 mg/l

NO3 mg/l

N tot mg/l

COD mg/l

coli cell/ml
 20  25  13  2,51  0,74  3,99  68,6  2.295

La migliore soluzione per la realizzazione dell'impianto è di utilizzare tre vasche: la prima è di sedimentazione, in quanto le acque in uscita dal depuratore contengono BOD particellato, che qui si andrà a depositare; la seconda e la terza sono di rimozione; la terza, inoltre, serve anche come riparo per le specie ittiche nei periodi di magra, perciò si è scelta un profondità maggiore.

La serie viene disposta in modo da costituire un cammino obbligato in cui l'acqua venga a contatto con le varie parti del sistema. Le vasche saranno riempite da macrofite flottanti e subemergenti intervallate da opportuni spazi con superficie libera per non ostacolare in modo eccessivo il flusso d'acqua, per non rendere totale l'ombreggiamento e aumentare la diversità dell'ecosistema.

Il modello completo si articola in tre fasi.

Prima fase:

inserimento dei parametri generali del sito:

altezza sul livello del mare = 100 m;
media annuale della temperatura dell'aria = 17 °C;
differenza tra temperatura massima e minima dell'aria = 12 °C;
giorno dell'anno con temperatura massima = 220;

inserimento dei valori relativi allo scarico:

media annuale della temperatura dell'acqua, mT = 20 °C;
media annuale della portata, mQ = 100 l/sec;
variazione di portata = 20 %;
media annuale del COD in ingresso, mCODin = 68,6 mg/l;
variazione di COD = 50 %;
COD sedimentabile = 10 %;
COD solubile non biodegradabile, CODsb= 20 %;
media annuale dell'azoto totale in ingresso, mN = 3,99;
azoto sedimentabile = 10 %;
NO3 disciolto = 18,5 %;
NH3 disciolto = 63 %;
media annuale dei coliformi totali in entrata, mCOLIin= 2.295 cell/ml;
variazione di coliformi = 25 %;

inserimento dei requisiti che si vogliono in uscita dall'impianto fitodepurativo:

rimozione richiesta di COD, rCOD = 50 %;
rimozione richiesta di azoto, rN = 60 %;
rimozione richiesta di coliformi, rCOLI = 99,99 %.

 

Seconda fase:

inserimento dei parametri relativi alle tre vasche:

 

vasca 1

vasca 2

vasca 3
profondità, h (m)  150  30  200
superficie, S (m2)  5.000  40.000  5.000
lunghezza, L (m)  400  250  100
volume occupato da ciottoli, sabbia, ghiaia (m3)  0  0  0

 

Terza fase:

inserimento delle costanti relative a:

rapporto di coliformi che si hanno in diminuzione per giorno, KCOLI =1,5 giorni-1;
rapporto di BOD che si ha in diminuzione per giorno, KBOD = 0,0057 giorni-1.

Schema dell'impianto

 

Risultati

Prima fase:

il modello fornisce i risultati in prima approssimazione, importanti per quanto riguarda il dimensionamento in base al tempo di ritenzione:

tempo di ritenzione idraulico per la rimozione del COD = 4,8 giorni;
tempo di ritenzione idraulico per la rimozione dell'azoto = 14,6 giorni;
tempo di ritenzione idraulico per la rimozione dei coliformi = 9,8 giorni.

Seconda fase:

il modello calcola i risultati che riguardano le tre vasche:
 

 vasca 1

 vasca 2

 vasca 3

volume teorico (m3)
 7.500  12.000  10.000

larghezza (m)
 13  160  50

HRT teorico medio (giorni)
 0,9  1,4  1,2

Superficie totale delle tre vasche, Stot = 50.000 m2
Carico totale medio di sostanza organica, mBODtot = 5,6 gBOD/m2*giorno

 

Terza fase:

il modello grafica l'andamento annuale del COD e dei coliformi:

Come mostrano i grafici gli obiettivi prefissi sono stati raggiunti con un opportuno dimensionamento dell'impianto; in particolare si noti che i valori in uscita più bassi sono relativi proprio al periodo estivo, quello che presentava i maggiori problemi.

 

Conclusioni

Il tipo di progetto presentato ha un alto valore non solo dal punto di vista scientifico, naturalistico e paesaggistico, ma anche economico e socio-culturale. L'impianto, così organizzato, sfrutta meccanismi ecosistemici naturali per stabilizzare la sostanza organica e rimuovere i nutrienti in eccesso, mantenendosi in efficienza in modo autonomo, senza particolari interventi di gestione. Diversi possono essere i benefici tratti dalla comunità che ne farebbe uso. Tra questi, in primo luogo, è da sottolineare che l'impianto ottimizza la gestione del depuratore esistente, migliorando quali-quantitativamente la composizione dei reflui scaricati in seguito al trattamento e riducendo i costi di gestione, visto che elimina la necessità di ulteriori interventi per lo smaltimento delle acque in uscita dal depuratore.

Tutto ciò, unito all'immissione di specie animali e vegetali per il raggiungimento effettivo della fitodepurazione, promuove la creazione di un ambiente gradevole e sfruttabile dal punto di vista turistico e didattico (visite guidate per le scuole), in siti precedentemente di scarso interesse naturalistico-ecologico. Tale rivalutazione paesaggistica trova, ovviamente, riscontro nei parametri quantitativi che, ridotti a valori inferiori ai limiti consentiti, restituiscono alle acque del fiume la loro qualità e le intrinseche potenzialità. Certo è che questo discorso andrebbe ampliato, visto che un unico impianto lungo tutto il corso d'acqua servirebbe a ben poco. Si è visto, infatti, (ad esempio sul fiume Trebbia) che solo un intervento combinato di più fitodepuratori riesce a fornire risultati realmente soddisfacenti e permanenti lungo l'intero fiume, risultati addirittura prossimi ai limiti di balneazione imposti dal DPR 470/82.

Comunque, sebbene questi ultimi valori siano difficili da raggiungere quando il corso d'acqua è utilizzato per altre attività antropiche, che prescindano da quelle strettamente relative agli scarichi del depuratore (come nel nostro caso), permangono ancora altri vantaggi rilevanti. Forse il più importante è la possibilità di tutelare la salute pubblica, non solo in situ, ma anche per tutte le attività che sfruttano tali acque. Taluni sottolineano il problema della crescita di popolazioni di insetti e di cattivi odori nella zona umida come pretesto per contestare la naturalità e l'igiene dell'impianto. In realtà, tali fenomeni non rappresentano un limite, visto che esistono specie di flora e fauna atte ad eliminarli. Ad esempio, in un impianto a lagunaggio a Barialto sono state immesse le Gambusie, pesci d'acqua dolce divoratori di larve di mosche e zanzare, che assicuravano un ambiente pregevole.

L'ultimo discorso da trattare, forse ciò che ai più interessa, è quello economico. Anche qui non persistono ormai grandi dubbi, dato che la realizzazione di tali impianti è conveniente e sembra garantire una migliore e più razionale organizzazione dei servizi tecnici e del personale di assistenza, con notevoli risparmi di gestione.

Appare superfluo, infine, precisare che la realizzabilità del progetto dal punto di vista puramente pratico e il conseguente raggiungimento dei fini previsti sono ormai provati e garantiti da diverse esperienze che vedono gli impianti tuttora in funzione (vedi fiume Trebbia).

 

Bibliografia

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