Dal booklet di "Films about ghosts"


Articolo di Bill Flanagan, New York, ottobre 2003


Questa raccolta contiene le canzoni più popolari dei primi dieci anni di carriera dei Counting Crows. Il decennio 1993-2003 qui rappresentato è stato un periodo difficile per il rock & roll. Il fatto che i Crows se la siano cavata li rende qualcosa di diverso dagli altri contendenti nella loro categoria. Nirvana, Soundgarden, Breeders, Sinead O'Connor, Sugar, Gin Blossoms, Smashing Pumpkins e un altro paio di dozzine di artisti andarono in pezzi nella confusione seguita al successo di massa. Vuoi per colpa della televisione, che trasforma le rock star in celebrità istantanee, vuoi per colpa di un'etica punk secondo la quale se piaci a un sacco di gente stai sicuramente facendo qualcosa di sbagliato. Negli Anni Novanta, per la prima volta da quando Elvis era entrato nei Sun Studios, i più importanti nuovi musicisti rock dopo aver raggiunto la popolarità di massa si ritiravano dal campo.

I Counting Crows non sono proprio passati indenni attraverso lo shock di un successo improvviso. Il loro primo album, "August & Everything After", vendette quasi sei milioni di copie e per un momento fece di loro il gruppo con le migliori vendite della Geffen Records, un'etichetta che pubblicava anche i Nirvana e i Guns N Roses. Nessuno all'interno e intorno alla band era preparato per un successo così esplosivo. Essendo colui su cui si focalizzavano la maggior parte delle attenzioni, il cantante Adam Duritz ne venne scosso. Alto e facilmente riconoscibile con i suoi dreadlocks ed il caratteristico sguardo triste; nei primi Anni Novanta, andarsene in giro in pubblico con Adam Duritz era come fare quattro passi con il Papa. Gli impiegati correvano fuori dai negozi per parlargli, i camerieri in grembiule se la svignavano dai banchi dei fast food per stringergli la mano. Tutti volevano un pezzo dei Counting Crows.

Questa sorta di legame personale è quello che ogni cantautore si sforza di ottenere con il suo lavoro. Non può lamentarsi se lo ottiene. Una parte di Adam amava le attenzioni, ma un'altra parte di lui, il tranquillo osservatore che vien fuori dai testi, le rigettava. Dopo l'esplosione di "August", non scrisse canzoni per un anno. Per un po' sembrò anche che Adam Duritz stesse per mollare.

La salvezza per i Counting Crows arrivò con gli show dal vivo, con quell'intensa comunicazione con il pubblico dei concerti che aveva costruito la reputazione della band ancor prima che questa avesse un contratto discografico, e che aveva portato l'uomo della Geffen, Gary Gersh, a San Francisco per vedere questo gruppo di sconosciuti senza ingaggio che riempiva i club ogni notte. Allievi di Van Morrison, Bruce Springsteen e altri cantanti che usavano i loro dischi come punto di partenza per dei concerti estatici, i Counting Crows vissero la loro prima ondata di successo standosene sulla strada, fra Stati Uniti ed Europa, e facendo quello che allora sembrava un suicidio, ma che poi si trasformò nella salvezza: reinventare se stessi ogni notte, partendo dalle basi che "August" aveva gettato.

Ora, vendere milioni di copie non è una brutta cosa. Da Elvis a Dylan, dai Beatles a Hendrix, da Prince agli U2, raggiungere il maggior numero di persone possibile è sempre stata l'idea del rock & roll. Non è una forma d'arte elitaria. I Counting Crows non avevano deciso di essere una band culto. Avevano cominciato sperando in una lenta, ma costante affermazione, così come avevano fatto i REM. Avevano sempre desiderato raggiungere un grosso pubblico; solo non si aspettavano che succedesse tutto in una volta.


Quando "Mr. Jones" diventò un grosso hit (i Crows non permisero mai che diventasse un singolo, ma questo non servì ad evitarlo), la band smise di suonarla per un po', oppure ne suonava una lenta versione acustica. La cosa funzionò così bene che, per un paio di mesi, al culmine della loro notorietà di pop star, suonarono più che altro degli show acustici. Certo, stavano sfidando le aspettative dei loro nuovi fan, ma loro facevano sempre ciò che era meglio per la musica. Così, anche se persero per strada qualche ammiratore più giovane, si guadagnarono la lealtà del pubblico che volevano: la gente sarebbe tornata a vedere i Counting Crows ancora e ancora, sapendo che non ci sarebbero stati mai due show uguali. Fu sulla strada che la band ritrovò se stessa, dopo che "Mr. Jones" li aveva resi ricchi e famosi. Il baccano intorno a loro poteva diventare anche più forte, ma sul palco erano esattamente quello che volevano essere.

Quando le scintille si spensero, i Counting Crows avevano un sacco di potere. Lo usarono per migliorarsi come musicisti e compositori, per sfidare ogni limite che veniva loro attribuito dall'esterno. Il loro secondo album, "Recovering the satellites" fu scritto e registrato da un gruppo che faceva ancora i conti con lo shock, l'affermazione, il disagio, la soddisfazione e lo scombussolamento di vedere realizzati tutti i propri sogni. "A long December" divenne un hit, e se le ragazze che adesso popolavano i sogni di Adam erano famose quanto lui, le emozioni gli suscitavano non erano meno universali. I Counting Crows stavano riacquistando il loro equilibrio e capendo come andare avanti. Così superarono il rientro.

Il terzo album, "This Desert Life", fu registrato da una band conscia dei propri mezzi e di essere lì per restare a lungo. "Hanginaround" era il pezzo più gioiosamente chiassoso che la band avesse mai fatto per la radio, e annunciava ai quattro venti che i ragazzi sapevano di essere fortunati. Uno degli errori che i Counting Crows evitarono fu quello di lasciare che le pressioni e le aspettative li spingessero in un circolo sempre più ristretto. Un sacco di grandi band smettono di essere delle band per degli egoismi e dei giochi di potere interni. I gruppi di successo tendono a contrarsi, a diventare un piccolo nucleo di partner elettori circondati da gregari che, cercando di controllare tutto, finiscono col soffocare la propria creatività.

I Counting Crows funzionavano in tutt'altro modo. Sono sempre stati un collettivo aperto, hanno continuato ad invitare altri musicisti nel loro gruppo. Tutti riconoscevano ad Adam la visione guida al centro dell'impresa, ma la musica si avvaleva della libertà di ognuno di dare il proprio contributo. Non è un caso che il loro primo album si apra con "Round here", manifesto cantato da una casa piena di compagni (anche se il tipo della canzone sembrava svanire in mezzo alla comitiva), o che il video di "Mr. Jones" immortali una band stipata in una stanzetta, o che i Counting Crows abbiano registrato tutti i loro album in grandi case, dove vivevano e lavoravano allo stesso tempo. Da "We stay up very late" a "We stand up at the Palace", le canzoni dei Counting Crows sono piene di "noi", piene di un senso di comunità.

Questo spirito di entusiasmante, talvolta sdolcinato, cameratismo è essenziale per i Counting Crows almeno quanto la solitudine nella voce di Adam, ed è la sovrapposizione di questi due elementi contrapposti - la gang e il solitario - a dare alla musica la sua risonanza. Le persone che paragonavano il ruolo di Adam nei Counting Crows a quello di Robbie Robertson nella Band si sbagliavano. Adam non era Robbie; era Richard Manuel. Lui non era Rod Stewart nei Faces: era più Ronnie Lane. Era parte del gruppo, ma allo stesso tempo ne era al di fuori. Il resto della gang era essenziale per i Counting Crows quanto la nuda emozione di Adam. I Counting Crows sono sempre stati un'impresa di gruppo.

Tutto ebbe inizio quando Adam venne presentato a David Bryson, chitarrista, compositore e produttore discografico locale. Andarono subito d'accordo ed iniziarono a scrivere e ad esibirsi insieme in giro per San Francisco. David produsse un demo delle loro canzoni, per il quale ognuno dei due scelse i suoi musicisti preferiti; Charlie Gillingham, amico di Adam, alle tastiere; il vecchio compagno di band di David, Matt Malley, al basso; il loro comune amico Steve Bowman.

Questa formazione incise il primo album dei Counting Crows, che fu prodotto da T-Bone Burnett. La band cercava un altro chitarrista per gli show dal vivo. Dan Vickrey si unì ai Counting Crows mentre questi erano ancora una band agli esordi e ne era diventato un membro quando avevano ormai raggiunto la cresta dell'onda. Steve Bowman lasciò la band prima del secondo album e fu rimpiazzato da Ben Mize. David Immerglück era un vecchio amico del gruppo. Aveva fatto in modo di apparire in entrambi i primi album. Immerglück partecipò alle registrazioni di "This desert life" e fu inserito ufficialmente nella band per il quarto album, "Hard Candy". Mentre il 2002 volgeva al termine, Ben Mize decise di ritirarsi nella sua casa in Georgia. Rimase con la band abbastanza a lungo da permetterle di scegliere un rimpiazzo e infine la scelta cadde sull'ex batterista di Sheryl Crow e Ben Folds, Jim Bogios, ancora un altro vecchio amico dell'Area della Baia. Tutti i membri dei Counting Crows danno un contributo alla scrittura delle canzoni. Tutti cantano. Si scambiano gli strumenti da canzone a canzone. Sono una vera band, anche se Adam è il volto pubblico.

"La celebrità dà ad Adam parecchia merda con cui fare i conti", dichiarò Dave Bryson mentre preparavano il secondo album, "ma gli dà anche potere. Se io lasciassi la band penso che ci sarebbe una differenza notevole, ma la maggior parte della gente non lo noterebbe. Adam è il volto della band e, anche se non viene mai detto, questo gli conferisce molto potere all'interno della band".

Ma questo caricava anche le sue spalle di molta responsabilità. Il contratto discografico dei Counting Crows ha seguito i passaggi della loro etichetta dalla MCA alla Universal, dalla DCG alla Interscope, dalla Seagram alla Vivendi ed ora di nuovo alla Geffen. Quando la band presentò "This desert life", i nuovi capi volevano apportare cambiamenti affinché la loro la loro musica si adattasse di più agli standard radiofonici. Adam disse di no, pensava che l'album andasse bene così com'era. Tutti concordavano che "Mrs. Potter's Lullaby" sarebbe stato un sicuro successo se solo Adam avesse acconsentito a ridurlo ad una durata radiofonica. Adam disse di no. I Counting Crows avevano un seguito abbastanza grande ed abbastanza denaro per fare quello che volevano con la loro musica, ma mentre l'era delle Britney e degli N'Sync seppelliva i fantasmi della rivoluzione alternativa, essi pagavano un prezzo per la loro ostinazione. Ogni album dei Counting Crows vendeva meno del precedente. Un idiota dell'industria discografica disse: "Le scarpe di Adam Duritz devono essere piene di buchi stando a tutte le volte che si è sparato su un piede". Ma forse i Counting Crows avevano notato che chi tentava disperatamente di estendere il firmamento pop finiva nelle ceste delle rimanenze o nella sezione "Dove sono adesso?", mentre da Neil Young ai REM, gli artisti che seguivano la musica potevano contare sulla fedeltà di una platea affezionata, finendo alla lunga con l'apparire più forti.

Se la nuova mentalità pop richiedeva nuove strategie, i Counting Crows avrebbero provato ad aggirare l'ostacolo. "American Girls" fu lanciato come colonna sonora di uno spot della Coca-Cola, il che infastidì qualche fan ma funzionò: costituì un traino per i Counting Crows sulle frequenze radiofoniche dominate dai vecchi Moschettieri.

"Sono sinceramente dispiaciuto se ciò infastidisce alcuni di voi", ha scritto Adam sulle pagine del sito web della band, "ma queste sono opportunità. Finché facciamo musica come l'abbiamo sempre fatta, e finché le logiche del business non intaccano il modo di fare la nostra arte, penso che siate davvero ingiusti ad accusarci di esserci venduti".

"American Girls" funzionò. Fece tornare i Counting Crows nel mainstream. La band sfruttò l'occasione per piazzare un hit con una cover di Joni Mitchell, "Big Yellow taxi", una canzone che stranamente finisce sempre col diventare un singolo per artisti che generalmente si scrivono le proprie canzoni, da Bob Dylan a Janet Jackson. In questa raccolta la band ha incluso una canzone nuova, "She don't want nobody near", la cover dei Grateful Dead "Friend of the Devil" e "Einstein on the beach", un demo risalente ai giorni di San Francisco che in verità fu trasmessa parecchio durante la febbre post - Mr. Jones.

Ascoltando questa raccolta di canzoni del primo decennio dei Counting Crows, quello che è più evidente è come, nonostante tutti i cambiamenti, la visione rimanga la stessa. È come se i Counting Crows fossero stati gli stessi fin dall'inizio, ma abbiano rivelato di più di loro stessi con ogni nuova uscita. È come un film che inizia con un intenso primo piano su una figura isolata e che lentamente si allarga per rivelare una città intera. Ci sono voluti dieci anni per dare un quadro completo.

Ecco un'altra istantanea:

Una sera del 1996 Adam e Dan andarono in un club di Manhattan per sentire i Posies. Più tardi uscirono per andare a mangiare con alcuni amici. Uno di questi amici, la scrittrice Lynn Snowden, si mise a scherzare sulla febbre da Olimpiadi che era nell'aria. "Punta all'oro!", ripetè mentre in strada sfrecciava una macchina carica di studenti urlanti. "Come se vincere un bronzo non fosse grande lo stesso."

"Oh no", disse sinceramente Adam. "Non sarei mai appagato se conquistassi un bronzo. Impazzirei sapendo che sono stato così vicino ad essere il migliore. Farei di tutto per essere il migliore. Porterei la band alla morte. Chiedilo a Dan".

Dan sorrise ed annuì. Adam disse "Non sarei mai felice con un bronzo".

"Be' ", disse qualcuno, "tu vai per il platino..."

"No", disse Adam, "Non riguarda le vendite dei dischi. È pensare che potevi…"

"Fare qualcosa di grande", disse Snowden.

"Si", disse Adam. "E mi ucciderei pur di farlo".

 


Traduzione di Gianni Festa & Chiara Donegal

 

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