IL RISPETTO DELLA VITA UMANA NASCENTE E LA DIGNITÀ DELLA PROCREAZIONE.
PREMESSA
La Congregazione per la Dottrina della Fede è stata interpellata da diverse Conferenze Episcopali o da singoli
vescovi da teologi, medici e uomini di scienza, in merito alla conformità con i principi della morale cattolica
delle tecniche biomediche che consentono di intervenire nella fase iniziale della vita dell'essere umano e nei
processi stessi della procreazione. La presente Istruzione, che è frutto di vasta consultazione e in particolare di
una attenta valutazione delle dichiarazioni di episcopati, non intende riproporre tutto l'insegnamento della
Chiesa sulla dignità della vita umana nascente e della procreazione, ma offrire, alla luce della precedente
dottrina del Magistero, delle risposte specifiche ai principali interrogativi sollevati in proposito. L'esposizione
viene ordinata nella maniera seguente: un'introduzione richiamerà i principi fondamentali di carattere
antropologico e morale, necessari per un'adeguata valutazione dei problemi e per l'elaborazione delle risposte a
tali interrogativi; la prima parte avrà per argomento il rispetto dell'essere umano a partire dal primo momento
della sua esistenza; la seconda parte affronterà gli interrogativi morali posti dagli interventi della tecnica sulla
procreazione umana; nella terza parte verranno offerti alcuni orientamenti sui rapporti che intercorrono tra legge
morale e legge civile a proposito del rispetto dovuto agli embrioni e feti umani* in relazione alla legittimità delle
tecniche di procreazione artificiale.
* I termini di «zigote», «pre-embrione», «embrione» e «feto» possono indicare nel vocabolario della biologia
stadi successivi dello sviluppo di un essere umano. La presente Istruzione usa liberamente di questi termini,
attribuendo ad essi un'identica rilevanza etica, per designare il frutto, visibile o non, della generazione umana,
dal primo momento della sua esistenza fino alla nascita. La ragione di questo uso viene chiarita dal testo (cf. I,
1).
INTRODUZIONE
1. La ricerca biomedica e l'insegnamento della Chiesa
Il dono della vita, che Dio Creatore e Padre ha affidato all'uomo, impone a questi di prendere coscienza del
suo inestimabile valore e di assumere la responsabilità: questo principio fondamentale dev'essere posto al
centro della riflessione, per chiarire e risolvere i problemi morali sollevati dagli interventi artificiali sulla vita
nascente e sui processi della procreazione. Grazie al progresso delle scienze biologiche e mediche, L'uomo
può disporre di sempre più efficaci risorse terapeutiche, ma può anche acquisire poteri nuovi dalle conseguenze
imprevedibili sulla vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi. Diversi procedimenti consentono
oggi d'intervenire non soltanto per assistere, ma anche per dominare i processi della procreazione. Tali tecniche
possono consentire all'uomo di «prendere in mano il proprio destino», ma lo espongono anche «alla tentazione
di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura». Per quanto possano costituire un progresso a
servizio dell'uomo, esse comportano anche dei rischi gravi. Da parte di molti, viene espresso cosi un urgente
appello, affinché siano salvaguardati, negli interventi sulla procreazione, i valori e i diritti della persona umana.
Le richieste di chiarificazione e orientamento non provengono soltanto dai fedeli, ma anche da parte di quanti
riconoscono comunque alla Chiesa, «esperta in umanità», una missione al servizio della «civiltà dell'amore» e
della vita. Il Magistero della Chiesa non interviene in nome di una competenza particolare nell'ambito delle
scienze sperimentali; ma, dopo aver preso conoscenza dei dati della ricerca e della tecnica, intende proporre in
virtù della propria missione evangelica e del suo dovere apostolico, la dottrina morale rispondente alla dignità
della persona e alla sua vocazione integrale, esponendo i criteri di giudizio morale sulle applicazioni della
ricerca scientifica e della tecnica, in particolare per ciò che riguarda la vita umana e i suoi inizi. Tali criteri sono
il rispetto, la difesa e la promozione dell'uomo, il suo «diritto primario e fondamentale» alla vita, la sua dignità di
persona, dotata di un'anima spirituale, di responsabilità morale e chiamata alla comunione beatifica con Dio.
L'intervento della Chiesa anche in quest'ambito è ispirato all'amore che essa deve all'uomo aiutandolo a
riconoscere e rispettare i suoi diritti e i suoi doveri. Tale amore si alimenta alle sorgenti della carità di Cristo:
contemplando il mistero del Verbo Incarnato, la Chiesa conosce anche il «mistero dell'uomo»; annunciando il
Vangelo della salvezza, rivela all'uomo la sua dignità e lo invita a scoprire pienamente la sua verità. La Chiesa
ripropone cosi la legge divina per fare opera di verità e di liberazione. È infatti per bontà--per indicare il
cammino della vita--che Dio dà agli uomini i suoi comandamenti e la grazia per osservali; ed è pure per bontà--
per aiutarli a perseverare nello stesso cammino--che Dio offre sempre a tutti il suo perdono. Cristo ha
compassione delle nostre fragilità: Egli è nostro Creatore e nostro Redentore. Che il suo Spirito apra gli animi
al dono della pace di Dio e all'intelligenza dei suoi precetti.
2. La scienza e la tecnica al servizio della persona umana
Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza: «maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27), affidando loro il
compito di «dominare la terra» (Gen 1, 28). La ricerca scientifica di base e quella applicata costituiscono
un'espressione significativa di questa signoria dell'uomo sul creato. La scienza e la tecnica, preziose risorse
dell'uomo quando si pongono al suo servizio e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti, non
possono da sole indicare il senso dell'esistenza e del progresso umano. Essendo ordinate all'uomo da cui
traggono origine e incremento, attingono dalla persona e dai suoi valori morali l'indicazione della loro finalità e
la consapevolezza dei loro limiti. Sarebbe, perciò, illusorio rivendicare la neutralità morale della ricerca
scientifica e delle sue applicazioni; d'altro canto non si possono desumere i criteri di orientamento dalla
semplice efficienza tecnica, dall'utilità che possono arrecare ad alcuni a danno di altri o, peggio ancora, dalle
ideologie dominanti. Pertanto la scienza e la tecnica richiedono, per il loro stesso intrinseco significato, il
rispetto incondizionato dei criteri fondamentali della moralità: debbono essere, cioè, al servizio della persona
umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero e integrale secondo il progetto e la volontà di Dio. Il
rapido sviluppo delle scoperte tecnologiche rende più urgente questa esigenza di rispetto dei criteri ricordati: la
scienza senza la coscienza ad altro non può portare che alla rovina dell'uomo. «L'epoca nostra, più ancora che
i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue nuove scoperte. È in
pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi».
3. Antropologia e interventi in campo biomedico
Quali criteri morali si devono applicare per chiarire i problemi posti oggi nell'ambito della biomedicina? La
risposta a questo interrogativo suppone un'adeguata concezione della natura della persona umana nella sua
dimensione corporea. Infatti, è soltanto nella linea della sua vera natura che la persona umana può realizzarsi
come «totalità unificata»: ora questa natura è nello stesso tempo corporale e spirituale. In forza della sua unione
sostanziale con un'anima spirituale, il corpo umano non può essere considerato solo come un complesso di
tessuti, organi e funzioni, né può essere valutato alla stessa stregua del corpo degli animali, ma è parte
costitutiva della persona che attraverso di esso si manifesta e si esprime. La legge morale naturale esprime e
prescrive le finalità, i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona umana.
Pertanto essa non può essere concepita come normatività semplicemente biologica, ma deve essere definita
come l'ordine razionale secondo il quale l'uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e regolare la sua vita e i suoi
atti e, in particolare, a usare e disporre del proprio corpo. Una prima conseguenza può essere dedotta da tali
principi: un intervento sul corpo umano non raggiunge soltanto i tessuti, gli organi e le loro funzioni, ma
coinvolge anche a livelli diversi la stessa persona; comporta quindi un significato e una responsabilità morali, in
modo implicito forse, ma reale. Giovanni Paolo II ribadiva con forza all'Associazione medica mondiale: «Ogni
persona umana, nella sua singolarità irrepetibile, non è costituita soltanto dallo spirito ma anche dal corpo, cosi
nel corpo e attraverso il corpo viene raggiunta la persona stessa nella sua realtà concreta. Rispettare la dignità
dell'uomo comporta di conseguenza salvaguardare questa identità dell'uomo corpore et anima unus, come
affermava il Concilio Vaticano II (Cost. Gaudium et Spes, n. 14, 1). E sulla base di questa visione
antropologica che si devono trovare i criteri fondamentali per le decisioni da prendere, quando si tratta
d'interventi non strettamente terapeutici, per esempio gli interventi miranti al miglioramento della condizione
biologica umana». La biologia e la medicina nelle loro applicazioni concorrono al bene integrale della vita
umana quando vengono in aiuto della persona colpita da malattia e infermità nel rispetto della sua dignità di
creatura di Dio. Nessun biologo o medico può ragionevolmente pretendere, in forza della sua competenza
scientifica, di decidere dell'origine e del destino degli uomini. Questa norma si deve applicare in maniera
particolare nell'ambito della sessualità e della procreazione, dove l'uomo e la donna pongono in atto i valori
fondamentali dell'amore e della vita. Dio, che è amore e vita, ha inscritto nell'uomo e nella donna la vocazione a
una partecipazione speciale al suo mistero di comunione personale e alla sua opera di Creatore e di Padre. Per
questo il matrimonio possiede specifici beni e valori di unione e di procreazione senza possibilità di confronto
con quelli che esistono nelle forme inferiori della vita. Tali valori e significati di ordine personale determinano
dal punto di vista morale il senso e i limiti degli interventi artificiali sulla procreazione e sull'origine della vita
umana. Questi interventi non sono da rifiutare in quanto artificiali. Come tali essi testimoniano le possibilità
dell'arte medica, ma si devono valutare sotto il profilo morale in riferimento alla dignità della persona umana,
chiamata a realizzare la vocazione divina al dono dell'amore e al dono della vita.
4. Criteri fondamentali per un giudizio morale
I valori fondamentali connessi con le tecniche di procreazione artificiale umana sono due: la vita dell'essere
umano chiamato all'esistenza e l'originalità della sua trasmissione nel matrimonio. Il giudizio morale su tali
metodiche di procreazione artificiale dovrà quindi essere formulato in riferimento a questi valori. La vita fisica,
per cui ha inizio la vicenda umana nel mondo, non esaurisce certamente in sé tutto il valore della persona né
rappresenta il bene supremo dell'uomo che è chiamato all'eternità. Tuttavia ne costituisce in un certo qual modo
il valore «fondamentale», proprio perché sulla vita fisica si fondano e si sviluppano tutti gli altri valori della
persona. L'inviolabilità del diritto alla vita dell'essere umano innocente «dal momento del concepimento alla
morte» è un segno e un'esigenza dell'inviolabilità stessa della persona, alla quale il Creatore ha fatto il dono
della vita. Rispetto alla trasmissione delle altre forme di vita nell'universo, la trasmissione della vita umana ha
una sua originalità, che deriva dalla originalità stessa della persona umana. «La trasmissione della vita umana è
affidata dalla natura a un atto personale e cosciente e, come tale, soggetto alle santissime leggi di Dio: leggi
immutabili e inviolabili che vanno riconosciute e osservate. È per questo che non si possono usare mezzi e
seguire metodi che possono essere leciti nella trasmissione della vita delle piante e degli animali». I progressi
della tecnica hanno oggi reso possibile una procreazione senza rapporto sessuale mediante l'incontro in vitro
delle cellule germinali antecedentemente prelevate dall'uomo e dalla donna. Ma ciò che è tecnicamente
possibile non è per ciò stesso moralmente ammissibile. La riflessione razionale sui valori fondamentali della vita
e della procreazione umana è perciò indispensabile per formulare la valutazione morale a riguardo di tali
interventi della tecnica sull'essere umano fin dai primi stadi del suo sviluppo.
5. Insegnamenti del magistero
Da parte sua il Magistero della Chiesa, anche in questo ambito, offre alla ragione umana la luce della
Rivelazione: la dottrina sull'uomo insegnata dal Magistero contiene molti elementi che illuminano i problemi che
qui vengono affrontati. Dal momento del concepimento, la vita di ogni essere umano va rispettata in modo
assoluto, perché l'uomo è sulla terra l'unica creatura che Dio ha «voluto per se stesso», e l'anima spirituale di
ciascun uomo è «immediatamente creata» da Dio; tutto il suo essere porta l'immagine del Creatore. La vita
umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta «L'azione creatrice di Dio» e rimane per sempre in una
relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine:
nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto il distruggere direttamente un essere umano
innocente.La procreazione umana richiede una collaborazione responsabile degli sposi con l'amore fecondo di
Dio; il dono della vita umana deve realizzarsi nel matrimonio mediante gli atti specifici ed esclusivi degli sposi,
secondo le leggi inscritte nelle loro persone e nella loro unione.
PARTE I
IL RISPETTO DEGLI EMBRIONI UMANI
Un'attenta riflessione su questo insegnamento del Magistero e sui dati di ragione sopra richiamati permette di
rispondere ai molteplici problemi morali posti dagli interventi tecnici sull'essere umano nelle fasi iniziali della sua
vita e sui processi del suo concepimento.
1. Quale rispetto è dovuto all'embrione umano, tenuto conto della sua natura e della sua identità?
L'essere umano è da rispettare--come una persona-- fin dal primo istante della sua esistenza. La messa in atto
dei procedimenti di fecondazione artificiale ha reso possibili diversi interventi sugli embrioni e sui feti umani. Gli
scopi perseguiti sono di diverso genere: diagnostici e terapeutici, scientifici e commerciali. Da tutto ciò
scaturiscono gravi problemi. Si può parlare di un diritto alla sperimentazione sugli embrioni umani in vista della
ricerca scientifica? Quali normative o quale legislazione elaborare in questa materia? La risposta a tali problemi
suppone una riflessione approfondita sulla natura e sull'identità propria--si parla di «statuto»-- dell'embrione
umano. Da parte sua la Chiesa nel Concilio Vaticano II ha proposto nuovamente all'uomo contemporaneo la
sua dottrina costante e certa secondo cui: «la vita, una volta concepita, dev'essere protetta con la massima
cura; e l'aborto come l'infanticidio, sono abominevoli delitti». Più recentemente la Carta dei diritti della famiglia,
pubblicata dalla Santa Sede, ribadiva: «La vita umana dev'essere rispettata e protetta in modo assoluto dal
momento del concepimento». Questa Congregazione conosce le discussioni attuali sull'inizio della vita umana,
sull'individualità dell'essere umano e sull'identità della persona umana. Essa richiama gli insegnamenti contenuti
nella Dichiarazione sull'aborto procurato: «Dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una nuova vita
che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto.
Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre... la scienza genetica
moderna fornisce preziose conferme.
Essa ha mostrato come dal primo istante si trova fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: un uomo,
quest'uomo-individuo con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata
l'avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo per impostarsi e per trovarsi
pronta ad agire». Questa dottrina rimane valida e viene peraltro confermata, se ve ne fosse bisogno, dalle
recenti acquisizioni della biologia umana la quale riconosce che nello zigote* derivante dalla fecondazione si è
già costituita l'identità biologica di un nuovo individuo umano. Certamente nessun dato sperimentale può essere
per sé sufficiente a far riconoscere un'anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull'embrione umano
forniscono un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo
comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana? Il Magistero non si è
espressamente impegnato su un'affermazione d'indole filosofica, ma ribadisce in maniera costante la condanna
morale di qualsiasi aborto procurato. Questo insegnamento non è mutato ed è immutabile. Pertanto il frutto
della generazione umana dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote,
esige il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità corporale e
spirituale. L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da
quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di
ogni essere umano innocente alla vita. Questo richiamo dottrinale offre il criterio fondamentale per la soluzione
dei diversi problemi posti dallo sviluppo delle scienze biomediche in questo campo: poiché deve essere trattato
come persona, l'embrione dovrà anche essere difeso nella sua integrità, curato e guarito, nella misura del
possibile, come ogni altro essere umano nell'ambito dell'assistenza medica.
* Lo zigote è la cellula derivante dalla fusione dei nuclei dei due gameti.
2. La diagnosi prenatale è moralmente lecita?
Se la diagnosi prenatale rispetta la vita e l'integrità dell'embrione e del feto umano ed è orientata alla sua
salvaguardia o alla sua guarigione individuale, la risposta è affermativa. La diagnosi prenatale può infatti far
conoscere le condizioni dell'embrione e del feto quando è ancora nel seno della madre; permette, o consente di
prevedere, alcuni interventi terapeutici, medici o chirurgici, più precocemente e più efficacemente. Tale diagnosi
è lecita se i metodi impiegati, con il consenso dei genitori adeguatamente informati, salvaguardano la vita e
l'integrità dell'embrione e di sua madre, non facendo loro correre rischi sproporzionati. Ma essa è gravemente
in contrasto con la legge morale quando contempla l'eventualità, in dipendenza dai risultati, di provocare un
aborto: una diagnosi attestante l'esistenza di una malformazione o di una malattia ereditaria non deve equivalere
a una sentenza di morte. Pertanto la donna che richiedesse la diagnosi con l'intenzione determinata di
procedere all'aborto nel caso che l'esito confermi l'esistenza di una malformazione o anomalia, commetterebbe
un'azione gravemente illecita. Parimenti agirebbero in modo contrario alla morale il coniuge o i parenti o
chiunque altro, qualora consigliassero o imponessero la diagnosi alla gestante con lo stesso intendimento di
arrivare eventualmente all'aborto. Così pure sarebbe responsabile di illecita collaborazione lo specialista che
nel condurre la diagnosi e nel comunicarne l'esito contribuisse volutamente a stabilire o favorire il collegamento
tra diagnosi prenatale e aborto. Si deve infine condannare, come violazione del diritto alla vita nei confronti del
nascituro e come prevaricazione sui diritti e doveri prioritari dei coniugi, una direttiva o un programma delle
autorità civili e sanitarie o di organizzazioni scientifiche che, in qualsiasi modo, favorisse la connessione tra
diagnosi prenatale e aborto oppure addirittura inducesse le donne gestanti a sottoporsi alla diagnosi prenatale
pianificata allo scopo di eliminare i feti affetti o portatori di malformazioni o malattie ereditarie.
3. Gli interventi terapeutici sull'embrione umano sono leciti?
Come per ogni intervento medico sui pazienti, si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione umano a patto
che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui rischi sproporzionati ma siano finalizzati
alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale.
Qualunque sia il genere di terapia medica, chirurgica o di altro tipo, è richiesto il consenso libero e informato
dei genitori, secondo le regole deontologiche previste nel caso di bambini. L'applicazione di questo principio
morale può richiedere delicate e particolari cautele trattandosi di vita embrionale o di feti. La legittimità e i
criteri di tali interventi sono stati chiaramente espressi da Giovanni Paolo II- «Un intervento strettamente
terapeutico che si prefigga come obiettivo la guarigione di diverse malattie, come quelle dovute a difetti
cromosomici, sarà, in linea di principio, considerato come auspicabile, supposto che tenda a realizzare la vera
promozione del benessere personale dell'individuo, senza arrecare danno alla sua integrità o deteriorarne le
condizioni di vita. Un tale intervento si colloca di fatto nella logica della tradizione morale cristiana».
4. Come valutare moralmente la ricerca e la sperimentazione* sugli embrioni e sui feti umani?
La ricerca medica deve astenersi da interventi sugli embrioni vivi a meno che non ci sia la certezza morale di
non arrecare danno né alla vita né all'integrità del nascituro e della madre, e a condizione che i genitori abbiano
accordato il loro consenso, libero e informato, per l'intervento sull'embrione. Ne consegue che ogni ricerca,
anche se limitata alla semplice osservazione dell'embrione, diventerebbe illecita qualora, per i metodi impiegati
o per gli effetti indotti, implicasse un rischio per l'integrità fisica o la vita dell'embrione. Per quanto riguarda la
sperimentazione, presupposta la distinzione generale tra quella con finalità non direttamente terapeutica e quella
chiaramente terapeutica per il soggetto stesso, nella fattispecie occorre distinguere anche tra la sperimentazione
attuata sugli embrioni ancora vivi e la sperimentazione attuata su embrioni morti. Se essi sono vivi, viabili o non,
devono essere rispettati come tutte le persone umane, la sperimentazione non direttamente terapeutica sugli
embrioni è illecita. Nessuna finalità, anche in se stessa nobile, come la previsione di una utilità per la scienza,
per altri esseri umani o per la società, può in alcun modo giustificare la sperimentazione sugli embrioni o feti
umani vivi, viabili e non, nel seno materno o fuori di esso. Il consenso informato, normalmente richiesto per la
sperimentazione clinica sull'adulto, non può essere concesso dai genitori i quali non possono disporre né
dell'integrità fisica né della vita del nascituro. D'altra parte la sperimentazione sugli embrioni o feti comporta
sempre il rischio, anzi, il più delle volte la previsione certa di un danno per la loro integrità fisica o addirittura
della loro morte. Usare l'embrione umano, o il feto, come oggetto o strumento di sperimentazione rappresenta
un delitto nei confronti della loro dignità di esseri umani che hanno diritto allo stesso rispetto dovuto al bambino
già nato e ad ogni persona umana.
La Carta dei diritti della famiglia, pubblicata dalla Santa Sede, afferma: «Il rispetto per la dignità dell'essere
umano esclude ogni sorta di manipolazione sperimentale o sfruttamento dell'embrione umano». La prassi di
mantenere in vita degli embrioni umani, in vivo o in vitro, per scopi sperimentali o commerciali, è del tutto
contraria alla dignità umana. Nel caso della sperimentazione chiaramente terapeutica, qualora si trattasse cioè
di terapie sperimentali impiegate a beneficio dell'embrione stesso allo scopo di salvare in un tentativo estremo
la sua vita, e in mancanza di altre terapie valide, può essere lecito il ricorso a farmaci o a procedure non ancora
del tutto convalidate. I cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere
rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di mutilazioni o
autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre va sempre
fatta salva l'esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l'aborto volontario e che sia evitato il
pericolo di scandalo. Anche nel caso di feti morti, come per i cadaveri di persone adulte, ogni pratica
commerciale deve essere ritenuta illecita e deve essere proibita.
*Poiché i termini «ricerca» e «sperimentazione» sono frequentemente usati in modo equivalente e ambiguo, si
ritiene di dover precisare il significato loro attribuito nel presente documento.
I) Per ricerca s'intende qualsiasi procedimento induttivo-deduttivo, inteso a promuovere l'osservazione
sistematica di un dato fenomeno in campo umano o verificare un'ipotesi emersa da precedenti osservazioni.
2) Per sperimentazione s'intende qualsiasi ricerca, in cui l'essere umano (nei diversi stadi della sua esistenza:
embrione, feto, bambino o adulto) rappresenta l'oggetto mediante il quale o sul quale s'intende verificare
l'effetto, al momento sconosciuto o ancora non ben conosciuto, di un dato trattamento (ad es. farmacologico,
teratogeno, chirurgico ecc.).
5. Come valutare moralmente l'uso a scopo di ricerca degli embrioni ottenuti mediante la
fecondazione in vitro?
Gli embrioni umani ottenuti in vitro sono esseri umani e soggetti di diritto: la loro dignità e il loro diritto alla vita
devono essere rispettati fin dal primo momento della loro esistenza. È immorale produrre embrioni umani
destinati a essere sfruttati come «materiale biologico» disponibile. Nella pratica abituale della fecondazione in
vitro non tutti gli embrioni vengono trasferiti nel corpo della donna; alcuni vengono distrutti. Così come
condanna l'aborto procurato, la Chiesa proibisce anche di attentare alla vita di questi esseri umani. È doveroso
denunciare la particolare gravità della distruzione volontaria degli embrioni umani ottenuti in vitro al solo scopo
di ricerca sia mediante fecondazione artificiale sia mediante «fissione gemellare». Agendo in tal modo il
ricercatore si sostituisce a Dio e, anche se non ne ha la coscienza, si fa padrone del destino altrui, in quanto
sceglie arbitrariamente chi far vivere e chi mandare a morte e sopprime esseri umani senza difesa. Le
metodiche di osservazione o di sperimentazione che causano danno o impongono dei rischi gravi e
sproporzionati agli embrioni ottenuti in vitro, sono moralmente illecite per le stesse ragioni. Ogni essere umano
va rispettato per se stesso, e non può essere ridotto a puro e semplice valore strumentale a vantaggio altrui.
Non è perciò conforme alla morale esporre deliberatamente alla morte embrioni umani ottenuti in vitro. In
conseguenza del fatto che sono stati prodotti in vitro, questi embrioni non trasferiti nel corpo della madre e
denominati «soprannumerari», rimangono esposti a una sorte assurda, senza possibilità di offrire loro sicure vie
di sopravvivenza lecitamente perseguibili.
6. Quale giudizio dare sugli altri procedimenti di manipolazione degli embrioni connessi con le
«tecniche di riproduzione umana»?
Le tecniche di fecondazione in vitro possono aprire la possibilità ad altre forme di manipolazione biologica o
genetica degli embrioni umani, quali: i tentativi o progetti di fecondazione tra gameti umani e animali e di
gestazione di embrioni umani in uteri di animali; l'ipotesi o il progetto di costruzione di uteri artificiali per
l'embrione umano. Questi procedimenti sono contrari alla dignità di essere umano propria dell'embrione e, nello
stesso tempo, ledono il diritto di ogni persona di essere concepita e di nascere nel matrimonio e dal
matrimonio. Anche i tentativi o le ipotesi volte a ottenere un essere umano senza alcuna connessione con la
sessualità mediante "fissione gemellare", clonazione, partenogenesi, sono da considerare contrarie alla morale,
in quanto contrastano con la dignità sia della procreazione umana sia dell'unione coniugale. Lo stesso
congelamento degli embrioni, anche se attuano per garantire una conservazione in vita dell'embrione --
crioconservazione-- costituisce un' offesa al rispetto dovuto agli esseri umani, in quanto li espone a gravi rischi
di morte o di danno per la loro integrità fisica, li priva almeno temporaneamente dell'accoglienza e della
gestazione materna e li pone in una situazione suscettibile di ulteriori offese e manipolazioni. Alcuni tentativi
d'intervento sul patrimonio cromosomico o genetico non sono terapeutici ma mirano alla produzione di esseri
umani selezionati secondo il sesso o altre qualità prestabilite. Queste manipolazioni sono contrarie alla dignità
personale dell'essere umano, alla sua integrità e alla sua identità. Non possono quindi in alcun modo essere
giustificate in vista di eventuali conseguenze benefiche per l'umanità futura. Ogni persona deve essere rispettata
per se stessa: in ciò consiste la dignità e il diritto di ogni essere umano fin dal suo inizio.
PARTE II
INTERVENTI SULLA PROCREAZIONE UMANA
Per «procreazione artificiale» o «fecondazione artificiale» si intendono qui le diverse procedure tecniche volte a
ottenere un concepimento umano in maniera diversa dall'unione sessuale dell'uomo e della donna. L'istruzione
tratta della fecondazione di un ovulo in provetta (fecondazione in vetro) e dell'inseminazione artificiale mediante
trasferimento, nelle vie genitali della donna, dello sperma precedentemente raccolto. Un punto preliminare per
la valutazione morale di tali tecniche è costituito dalla considerazione delle circostanze e delle conseguenze che
esse comportano in ordine al rispetto dovuto all'embrione umano. L'affermarsi della pratica della fecondazione
in vitro ha richiesto innumerevoli fecondazioni e distruzioni di embrioni umani. Ancora oggi, presuppone
abitualmente una iperovulazione della donna: più ovuli sono prelevati, fecondati e poi coltivati in vitro per alcuni
giorni. Abitualmente non sono trasferiti tutti nelle vie genitali della donna; alcuni embrioni, chiamati solitamente
«soprannumerari», vengono distrutti o congelati. Fra gli embrioni impiantati talora alcuni sono sacrificati per
diverse ragioni eugenetiche, economiche o psicologiche. Tale distruzione volontaria di esseri umani o la loro
utilizzazione a scopi diversi, a detrimento della loro integrità e della loro vita, è contraria alla dottrina già
ricordata a proposito dell'aborto procurato. Il rapporto tra fecondazione in vitro ed eliminazione volontaria di
embrioni umani si verifica troppo frequentemente. Ciò è significativo: con questi procedimenti, dalle finalità
apparentemente opposte, la vita e la morte vengono sottomesse alle decisioni dell'uomo, che viene così a
costituirsi donatore di vita e di morte su comando. Questa dinamica di violenza e di dominio può rimanere non
avvertita da parte di quegli stessi che, vedendola utilizzare, vi si assoggettano. I dati di fatto ricordati e la fredda
logica che li collega, devono essere considerati per un giudizio morale sulla FIVET (fecondazione in vitro e
trasferimento dell'embrione): la mentalità abortiva che l'ha resa possibile, conduce così, lo si voglia o no, al
dominio dell'uomo sulla vita e sulla morte dei suoi simili, che può portare ad un eugenismo radicale. Tuttavia
abusi del genere non esimono da un'approfondita e ulteriore riflessione etica sulle tecniche di procreazione
artificiale considerate in se stesse, astraendo, per quanto è possibile, dalla distruzione degli embrioni prodotti in
vitro. La presente Istruzione prenderà in considerazione pertanto in primo luogo i problemi posti dalla
fecondazione artificiale eterologa (II, 1-3)*, e successivamente quelli che sono collegati con la fecondazione
artificiale omologa (Il, 4-6)**. Prima di formulare il giudizio etico su ciascuna di esse, saranno considerati i
principi e i valori che determinano la valutazione morale di ciascuna di queste procedure.
*L'istruzione intende, con la denominazione di Fecondazione o procreazione artificiale eterologa le tecniche
volte a ottenere artificialmente un concepimento umano a partire da gameti provenienti almeno da un donatore
diverso dagli sposi, che sono uniti in matrimonio. Tali tecniche possono essere di due tipi:
a) FIVET eterologa: la tecnica volta a ottenere un concepimento umano attraverso l'incontro in vitro di gameti
prelevati almeno da un donatore diverso dai due sposi uniti da matrimonio.
b) Inseminazione artificiale eterologa: la tecnica volta a ottenere un concepimento umano attraverso il
trasferimento nelle vie genitali della donna dello sperma precedentemente raccolto da un donatore diverso dal
marito.
**L'istruzione intende per Fecondazione o procreazione artificiale omologa la tecnica volta a ottenere un
concepimento umano a partire dai gameti di due sposi uniti in matrimonio. La fecondazione artificiale omologa
può essere attuata con due diverse metodiche:
a) FIVET omologa: la tecnica diretta a ottenere un concepimento umano mediante l'incontro in vitro dei gameti
degli sposi uniti in matrimonio.
b) Inseminazione artificiale omologa: la tecnica diretta a ottenere un concepimento umano mediante il
trasferimento, nelle vie genitali di una donna sposata, dello sperma precedentemente raccolto del marito.
A. FECONDAZIONE ARTIFICIALE ETEROLOGA
1. Perché la procreazione umana deve aver luogo nel matrimonio?
Ogni essere umano va accolto sempre come un dono e una benedizione di Dio. Tuttavia dal punto di vista
morale una procreazione veramente responsabile nei confronti del nascituro deve essere il frutto del
matrimonio. La procreazione umana possiede infatti delle caratteristiche specifiche in virtù della dignità dei
genitori e dei figli: la procreazione di una nuova persona, mediante la quale l'uomo e la donna collaborano con
la potenza del Creatore, dovrà essere il frutto e il segno della mutua donazione personale degli sposi, del loro
amore e della loro fedeltà. La fedeltà degli sposi, nell'unità del matrimonio, comporta il reciproco rispetto del
loro diritto a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro. Il figlio ha diritto ad essere concepito,
portato in grembo, messo al mondo ed educato nel matrimonio: è attraverso il riferimento sicuro e riconosciuto
ai propri genitori che egli può scoprire la propria identità e maturare la propria formazione umana. I genitori
trovano nel figlio una conferma e un completamento della loro donazione reciproca: egli è l'immagine vivente
del loro amore, il segno permanente della loro unione coniugale, la sintesi viva e indissolubile della loro
dimensione paterna e materna. In forza della vocazione e delle responsabilità sociali della persona, il bene dei
figli e dei genitori contribuisce al bene della società civile; la vitalità e l'equilibrio della società richiedono che i
figli vengano al mondo in seno a una famiglia e che questa sia stabilmente fondata sul matrimonio. La tradizione
della Chiesa e la riflessione antropologica riconoscono nel matrimonio e nella sua unità indissolubile il solo
luogo degno di una procreazione veramente responsabile.
2. La fecondazione artificiale eterologa è conforme alla dignità degli sposi e alla verità del
matrimonio?
Nella FlVET e nell'inseminazione artificiale eterologa il concepimento umano viene ottenuto mediante l'incontro
di gameti di almeno un donatore diverso dagli sposi che sono uniti in matrimonio. La fecondazione artificiale
eterologa è contraria all'unità del matrimonio, alla dignità degli sposi, alla vocazione propria dei genitori e al
diritto del figlio ad essere concepito e messo al mondo nel matrimonio e dal matrimonio. Il rispetto dell'unità del
matrimonio e della fedeltà coniugale esige che il figlio sia concepito nel matrimonio; il legame esistente tra i
coniugi attribuisce agli sposi, in maniera oggettiva e inalienabile, il diritto esclusivo a diventare padre e madre
soltanto l'uno attraverso l'altro. Il ricorso ai gameti di una terza persona, per avere a disposizione lo sperma o
l'ovulo, costituisce una violazione dell'impegno reciproco degli sposi e una mancanza grave nei confronti di
quella proprietà essenziale del matrimonio, che è la sua unità. La fecondazione artificiale eterologa lede i diritti
del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturazione della sua
identità personale. Essa costituisce inoltre un'offesa alla vocazione comune degli sposi che sono chiamati alla
paternità e maternità: priva oggettivamente la fecondità coniugale della sua unità e della sua integrità; opera e
manifesta una rottura fra parentalità genetica, parentalità gestazionale e responsabilità educativa. Tale
alterazione delle relazioni personali all'interno della famiglia si ripercuote nella società civile: ciò che minaccia
l'unità e la stabilità della famiglia è sorgente di dissensi, di disordine e di ingiustizie in tutta la vita sociale. Queste
ragioni portano a un giudizio morale negativo sulla fecondazione artificiale eterologa: pertanto è moralmente
illecita la fecondazione di una donna con lo sperma di un donatore diverso da suo marito e la fecondazione con
lo sperma del marito di un ovulo che non proviene dalla sua sposa. Inoltre la fecondazione artificiale di una
donna non sposata, nubile o vedova, chiunque sia il donatore, non può essere moralmente giustificata. Il
desiderio di avere un figlio, l'amore tra gli sposi che aspirano a ovviare a una sterilità non altrimenti superabile,
costituiscono motivazioni comprensibili, ma le intenzioni soggettivamente buone non rendono la fecondazione
artificiale eterologa né conforme alle proprietà oggettive e inalienabili del matrimonio né rispettosa dei diritti del
figlio e degli sposi.
3. La maternità «sostitutiva»* è moralmente lecita?
No, per le medesime ragioni che portano a rifiutare la fecondazione artificiale etorologa: è contraria, infatti,
all'unità del matrimonio e alla dignità della procreazione della persona umana. La maternità sostitutiva
rappresenta una mancanza oggettiva di fronte agli obblighi dell'amore materno, della fedeltà coniugale e della
maternità responsabile; offende la dignità e il diritto del figlio ad essere concepito, portato in grembo, messo al
mondo ed educato dai propri genitori; essa instaura, a detrimento delle famiglie, una divisione fra gli elementi
fisici, psichici e morali che le costituiscono.
*Sotto la denominazione di madre sostitutiva l'istituzione intende comprendere:
a) la donna che porta in gestazione un embrione impiantato nel suo utero e che le è geneticamente estraneo,
perché ottenuto mediante l'unione di gameti di «donatori», con l'impegno di consegnare il bambino una volta
nato a chi ha commissionato o pattuito tale gestazione;
b) la donna che porta in gestazione un embrione alla cui procreazione ha concorso con il dono del proprio
ovulo, fecondato mediante inseminazione con lo sperma di un uomo diverso da suo marito, con l'impegno di
consegnare il figlio, una volta nato, a chi ha commissionato o pattuito la gestazione.
B. FECONDAZIONE ARTIFICIALE OMOLOGA
Dichiarata inaccettabile la fecondazione artificiale eterologa, ci si chiede come valutare moralmente i
procedimenti di fecondazione artificiale omologa: FIVET e inseminazione artificiale fra gli sposi. Occorre
chiarire preliminarmente una questione di principio.
4. Quale legame è richiesto dal punto di vista morale tra procreazione e atto coniugale?
a) L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla procreazione umana afferma la «connessione inscindibile,
che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il
significato unitivo e il significato procreativo. Infatti per la sua intima struttura, l'atto coniugale, mentre unisce
con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell'essere
stesso dell'uomo e della donna». Questo principio, fondato sulla natura del matrimonio e sull'intima connessione
dei suoi beni, comporta delle conseguenze ben note sul piano della paternità e maternità responsabili.
«Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l'atto coniugale conserva
integralmente il senso del mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all'altissima vocazione dell'uomo alla
paternità». La medesima dottrina relativa al legame esistente fra i significati dell'atto coniugale e fra i beni del
matrimonio chiarisce il problema morale della fecondazione artificiale omologa, poiché «non è mai permesso
separare questi diversi aspetti al punto da escludere positivamente o l'intenzione procreativa o il rapporto
coniugale». La contraccezione priva intenzionalmente l'atto coniugale della sua apertura alla procreazione e
opera in tal modo una dissociazione volontaria delle finalità del matrimonio. La fecondazione artificiale
omologa, perseguendo una procreazione che non è frutto di un atto specifico di unione coniugale, opera
obiettivamente una separazione analoga tra i beni e i significati del matrimonio. Pertanto la fecondazione è
voluta lecitamente quando è il termine di un «atto coniugale per sé idoneo alla generazione della prole, al quale
il matrimonio è ordinato per sua natura e per il quale i coniugi divengono una sola carne». Ma la procreazione è
privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell'atto
coniugale, e cioè del gesto specifico dell'unione degli sposi.
b) Il valore morale dell'intimo legame esistente fra i beni del matrimonio e fra i significati dell'atto coniugale si
fonda sull'unità dell'essere umano, unità risultante di corpo e anima spirituale. Gli sposi si esprimono
reciprocamente il loro amore personale nel «linguaggio del corpo», che comporta chiaramente «significati
sponsali» e parentali insieme. L'atto coniugale, con il quale gli sposi si manifestano reciprocamente il dono di
sé, esprime simultaneamente l'apertura al dono della vita: è un atto inscindibilmente corporale e spirituale. E nel
loro corpo e per mezzo del loro corpo che gli sposi consumano il matrimonio e possono diventare padre e
madre. Per rispettare il linguaggio dei corpi e la loro naturale generosità, l'unione coniugale deve avvenire nel
rispetto dell'apertura alla procreazione, e la procreazione di una persona deve essere il frutto e il termine
dell'amore sponsale. L'origine dell'essere umano risulta così da una procreazione «legata all'unione non
solamente biologica ma anche spirituale dei genitori uniti dal vincolo del matrimonio». Una fecondazione
ottenuta fuori del corpo degli sposi rimane per ciò stesso privata dei significati e dei valori che si esprimono nel
linguaggio del corpo e nell'unione delle persone umane.
c) Soltanto il rispetto del legame, che esiste fra i significati dell'atto coniugale, e il rispetto dell'unità dell'essere
umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona. Nella sua origine unica e irrepetibile il
figlio dovrà essere rispettato e riconosciuto come uguale in dignità personale a coloro che gli donano la vita. La
persona umana dev'essere accolta nel gesto di unione e di amore dei suoi genitori, la generazione di un figlio
dovrà perciò essere il frutto della donazione reciproca che si realizza nell'atto coniugale in cui gli sposi
cooperano come servitori e non come padroni, all'opera dell'Amore Creatore. L'origine di una persona umana
è in realtà il risultato di una donazione. Il concepito dovrà essere il frutto dell'amore dei suoi genitori. Non può
essere voluto né concepito come il prodotto di un intervento di tecniche mediche e biologiche: ciò
equivarrebbe a ridurlo a diventare l'oggetto di una tecnologia scientifica. Nessuno può sottoporre la venuta al
mondo di un bambino a delle condizioni di efficienza tecnica valutabili secondo parametri di controllo e di
dominio. La rilevanza morale del legame esistente tra i significati dell'atto coniugale e tra i beni del matrimonio,
l'unità dell'essere umano e la dignità della sua origine esigono che la procreazione di una persona umana debba
essere perseguito come il frutto dell'atto coniugale specifico dell'amore fra gli sposi. Il legame esistente fra
procreazione e atto coniugale si rivela, perciò, di grande importanza sul piano antropologico e morale e
chiarisce le posizioni del Magistero a proposito della fecondazione artificiale omologa.
5. La fecondazione omologa in vitro è moralmente lecita?
La risposta a questa domanda è strettamente dipendente dai principi ora ricordati. Non si possono certamente
ignorare le legittime aspirazioni degli sposi sterili; per alcuni il ricorso alla FIVET omologa appare come l'unico
mezzo per ottenere un figlio sinceramente desiderato: ci si domanda se in queste situazioni la globalità della vita
coniugale non basti ad assicurare la dignità confacente alla procreazione umana. Si riconosce che la FIVET
certamente non può supplire all'assenza dei rapporti coniugali e non può essere preferita, considerati i rischi
che si possono verificare per il figlio e i disagi della procedura agli atti specifici dell'unione coniugale. Ma ci si
chiede se nell'impossibilità di rimediare in altro modo alla sterilità, che è causa di sofferenza, la fecondazione
omologa in vitro non possa costituire un aiuto, se non addirittura una terapia, per cui ne potrebbe essere
ammessa la liceità morale. Il desiderio di un figlio--o quanto meno la disponibilità a trasmettere la vita--è un
requisito necessario dal punto di vista morale per una procreazione umana responsabile. Ma questa intenzione
buona non è sufficiente per dare una valutazione morale positiva della fecondazione in vitro tra gli sposi. Il
procedimento della FlVET deve essere giudicato in se stesso, e non può mutuare la sua qualificazione morale
definitiva né dall'insieme della vita coniugale nella quale esso si iscrive né dagli atti coniugali che possono
precederlo o seguirlo. È già stato ricordato come, nelle circostanze in cui è abitualmente praticata, la FIVET
implichi la distruzione di esseri umani, fatto questo che è contro la dottrina già richiamata sulla illiceità
dell'aborto. Ma anche nel caso in cui si mettesse in atto ogni cautela per evitare la morte degli embrioni umani,
la FIVET omologa attua la dissociazione dei gesti che sono destinati alla fecondazione umana dall'atto
coniugale. La natura propria della FlVET omologa, pertanto, dovrà anche essere considerata astraendo dal
legame con l'aborto procurato. La FIVET omologa è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di
terze persone la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell'intervento; essa affida la vita e
l'identità dell'embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull'origine e sul
destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e all'uguaglianza che
dev'essere comune a genitori e figli. Il concepimento in vitro è il risultato dell'azione tecnica che presiede alla
fecondazione; essa non è né di fatto ottenuta né positivamente voluta come l'espressione e il frutto di un atto
specifico dell'unione coniugale. Nella FlVET omologa, perciò, pur considerata nel contesto dei rapporti
coniugali di fatto esistenti la generazione della persona umana è oggettivamente privata della sua perfezione
propria: quella di essere, cioè, il termine e il frutto di un atto coniugale in cui gli sposi possono farsi
«cooperatori con Dio per il dono della vita a una nuova persona». Queste ragioni permettono di comprendere
perché l'atto di amore coniugale sia considerato nell'insegnamento della Chiesa come l'unico luogo degno della
procreazione umana. Per le stesse ragioni il cosiddetto «caso semplice», cioè una procedura di FIVET
omologa, che sia purificata da ogni compromissione con la prassi abortiva della distruzione di embrioni e con la
masturbazione, rimane una tecnica moralmente illecita perché priva la procreazione umana della dignità che le è
propria e connaturale. Certamente la FIVET omologa non è gravata di tutta quella negatività etica che si
riscontra nella procreazione extraconiugale; la famiglia e il matrimonio continuano a costituire l'ambito della
nascita e dell'educazione dei figli. Tuttavia, in conformità con la dottrina tradizionale relativa ai beni del
matrimonio e alla dignità della persona, la Chiesa rimane contraria, dal punto di vista morale, alla fecondazione
omologa in vitro; questa è in se stessa illecita e contrastante con la dignità della procreazione e dell'unione
coniugale, anche quando tutto sia messo in atto per evitare la morte dell'embrione umano. Pur non potendo
essere approvata la modalità con cui viene ottenuto il concepimento umano nella FIVET, ogni bambino che
viene al mondo dovrà comunque essere accolto come un dono vivente della Bontà divina e dovrà essere
educato con amore.
6. Come valutare dal punto di vista morale l'inseminazione artificiale omologa?
L'inseminazione artificiale omologa all'interno del matrimonio non può essere ammessa, salvo il caso in cui il
mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell'atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché
esso raggiunga il suo scopo naturale. L'insegnamento del Magistero a questo proposito è stato già esplicitato:
esso non è soltanto espressione di circostanze storiche particolari, ma si fonda sulla dottrina della Chiesa in
tema di connessione fra unione coniugale e procreazione, e sulla considerazione della natura personale dell'atto
coniugale e della procreazione umana. «L'atto coniugale, nella sua struttura naturale, è un'azione personale, una
cooperazione simultanea e immediata dei coniugi, la quale, per la stessa natura degli agenti e la proprietà
dell'atto, è l'espressione del dono reciproco, che, secondo la parola della Scrittura, effettua l'unione "in una
carne sola"». Pertanto la coscienza morale «non proscrive necessariamente l'uso di taluni mezzi artificiali
destinati unicamente sia a facilitare l'atto naturale, sia a procurare il raggiungimento del proprio fine all'atto
naturale normalmente compiuto». Se il mezzo tecnico facilita l'atto coniugale o l'aiuta a raggiungere i suoi
obiettivi naturali, può essere moralmente accettato. Qualora, al contrario, l'intervento si sostituisca all'atto
coniugale, esso è moralmente illecito. L'inseminazione artificiale sostitutiva dell'atto coniugale è proibita in
ragione della dissociazione volontariamente operata tra i due significati dell'atto coniugale. La masturbazione,
mediante la quale viene normalmente procurato lo sperma, è un altro segno di tale dissociazione; anche quando
è posto in vista della procreazione, il gesto rimane privo del suo significato unitivo: «gli manca... La relazione
sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, "in un contesto di vero amore, l'integro senso della
mutua donazione e della procreazione umana"».
7. Quale criterio morale proporre circa l'intervento del medico nella procreazione umana?
L'atto medico non dev'essere valutato soltanto in rapporto alla sua dimensione tecnica, ma anche e soprattutto
in relazione alla sua finalità, che è il bene delle persone e la loro salute corporea e psichica. I criteri morali per
l'intervento medico nella procreazione si deducono dalla dignità delle persone umane, della loro sessualità e
della loro origine. La medicina che voglia essere ordinata al bene integrale della persona deve rispettare i valori
specificamente umani della sessualità. Il medico è al servizio delle persone e della procreazione umana: non ha
facoltà di disporre né di decidere di esse. L'intervento medico è rispettoso della dignità delle persone quando
mira ad aiutare l'atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine,
una volta che sia stato normalmente compiuto. Al contrario, talvolta accade che l'intervento medico
tecnicamente si sostituisca all'atto coniugale per ottenere una procreazione che non è né il suo risultato né il suo
frutto: in questo caso l'atto medico non risulta, come dovrebbe, al servizio dell'unione coniugale, ma si
appropria della funzione procreatrice e così contraddice alla dignità e ai diritti inalienabili degli sposi e del
nascituro. L'umanizzazione della medicina, che viene oggi insistentemente richiesta da tutti, esige il rispetto
dell'integrale dignità della persona umana in primo luogo nell'atto e nel momento in cui gli sposi trasmettono la
vita a una nuova persona. È logico pertanto rivolgere anche un pressante appello ai medici e ai ricercatori
cattolici perché rendano un'esemplare testimonianza del rispetto dovuto all'embrione umano e alla dignità della
procreazione. Il personale medico e curante degli ospedali e delle cliniche cattoliche è in modo speciale invitato
a fare onore agli obblighi morali contratti, spesso anche a titolo di statuto. I responsabili di questi ospedali e
cliniche cattoliche, che sono sovente religiosi, avranno a cuore di assicurare e promuovere un'attenta
osservanza delle norme morali richiamate nella presente Istruzione.
8. La sofferenza per la sterilità coniugale
La sofferenza degli sposi che non possono avere figli o che temono di mettere al mondo un figlio handicappato,
è una sofferenza che tutti debbono comprendere e adeguatamente valutare. Da parte degli sposi il desiderio di
un figlio è naturale: esprime la vocazione alla paternità e alla maternità inscritta nell'amore coniugale. Questo
desiderio può essere ancora più forte se la coppia è affetta da sterilità che appaia incurabile. Tuttavia il
matrimonio non conferisce agli sposi il diritto ad avere un figlio, ma soltanto il diritto a porre quegli atti naturali
che di per sé sono ordinati alla procreazione. Un vero e proprio diritto al figlio sarebbe contrario alla sua
dignità e alla sua natura. Il figlio non è un qualche cosa di dovuto e non può essere considerato come oggetto
di proprietà: è piuttosto un dono, «il più grande» e il più gratuito del matrimonio, ed è testimonianza vivente
della donazione reciproca dei suoi genitori A questo titolo il figlio ha il diritto--come è stato ricordato--di
essere il frutto dell'atto specifico dell'amore coniugale dei suoi genitori e ha anche il diritto a essere rispettato
come persona dal momento del suo concepimento. Tuttavia la sterilità, qualunque ne sia la causa e la prognosi,
è certamente una dura prova. La comunità dei credenti è chiamata a illuminare e sostenere la sofferenza di
coloro che non possono realizzare una legittima aspirazione alla maternità e paternità. Gli sposi che si trovano
in queste dolorose situazioni sono chiamati a scoprire in esse l'occasione per una particolare partecipazione alla
croce del Signore, fonte di fecondità spirituale. Le coppie sterili non devono dimenticare che «anche quando la
procreazione non è possibile, non per questo la vita coniugale perde il suo valore. La sterilità fisica infatti può
essere occasione per gli sposi per rendere altri servizi importanti alla vita delle persone umane, quali ad
esempio l'adozione, le varie forme di opere educative, l'aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o
handicappati». Molti ricercatori si sono impegnati nella lotta contro la sterilità. Salvaguardando pienamente la
dignità della procreazione umana, alcuni sono arrivati a risultati che in precedenza sembravano irraggiungibili.
Gli uomini di scienza vanno quindi incoraggiati a proseguire nelle loro ricerche, allo scopo di prevenire le cause
della sterilità e potervi rimediare, in modo che le coppie sterili possano riuscire a procreare nel rispetto della
loro dignità personale e di quella del nascituro.
PARTE III
MORALE E LEGGE CIVILE
VALORI E OBBLIGHI MORALI CHE LA LEGISLAZIONE CIVILE DEVE RISPETTARE
E SANCIRE IN QUESTA MATERIA
Il diritto inviolabile alla vita di ogni individuo umano innocente, i diritti della famiglia e dell'istituzione
matrimoniale costituiscono dei valori morali fondamentali, perché riguardano la condizione naturale e la
vocazione integrale della persona umana; nello stesso tempo sono elementi costitutivi della società civile e del
suo ordinamento. Per questo motivo le nuove possibilità tecnologiche, apertesi nel campo della biomedicina,
richiedono l'intervento delle autorità politiche e del legislatore, perché un ricorso incontrollato a tali tecniche
potrebbe condurre a conseguenze non prevedibili e dannose per la società civile. Il riferimento alla coscienza di
ciascuno e all'autoregolamentazione dei ricercatori non può essere sufficiente per il rispetto dei diritti personali
e dell'ordine pubblico. Se il legislatore, responsabile del bene comune, mancasse di vigilare, potrebbe venire
espropriato delle sue prerogative da parte di ricercatori che pretendessero di governare l'umanità in nome delle
scoperte biologiche e dei presunti processi di «miglioramento» che ne deriverebbero. L'«eugenismo» e le
discriminazioni fra gli esseri umani potrebbero trovarsi legittimate: ciò costituirebbe una violenza e un'offesa
grave all'uguaglianza, alla dignità e ai diritti fondamentali della persona umana. L'intervento dell'autorità politica
si deve ispirare ai principi razionali che regolano i rapporti tra legge civile e legge morale. Compito della legge
civile è assicurare il bene comune delle persone attraverso il riconoscimento e la difesa dei diritti fondamentali,
la promozione della pace e della pubblica moralità. In nessun ambito di vita la legge civile può sostituirsi alla
coscienza né può dettare norme su ciò che esula dalla sua competenza; essa deve talvolta tollerare in vista
dell'ordine pubblico ciò che non può proibire senza che ne derivi un danno più grave. Tuttavia i diritti
inalienabili della persona dovranno essere riconosciuti e rispettati da parte della società civile e dell'autorità
politica; tali diritti dell'uomo non dipendono né dai singoli individui né dai genitori e neppure rappresentano una
concessione della società e dello Stato: appartengono alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza
dell'atto creativo da cui ha preso origine. Fra tali diritti fondamentali bisogna a questo proposito ricordare:
a) il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal momento del concepimento alla morte;
b) i diritti della famiglia e del matrimonio come istituzione e, in questo ambito, il diritto per il figlio ad essere
concepito, messo al mondo ed educato dai suoi genitori.
Su ciascuna di queste due tematiche occorre qui svolgere qualche considerazione ulteriore. In diversi Stati
alcune leggi hanno autorizzato la soppressione diretta di innocenti: nel momento in cui una legge positiva priva
una categoria di esseri umani della protezione che la legislazione civile deve loro accordare lo Stato viene a
negare l'uguaglianza di tutti davanti alla legge. Quando lo Stato non pone la sua forza al servizio dei diritti di
ciascun cittadino, e in particolare di chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno Stato di diritto.
L'autorità politica di conseguenza non può approvare che degli esseri umani siano chiamati all'esistenza
mediante procedure tali da esporli ai gravissimi rischi sopra ricordati. Il riconoscimento eventualmente
accordato dalla legge positiva e dalle autorità politiche alle tecniche di trasmissione artificiale della vita e alle
sperimentazioni connesse renderebbe più ampia la breccia aperta dalla legalizzazione dell'aborto.Come
conseguenza del rispetto e della protezione che vanno assicurate al nascituro, a partire dal momento del suo
concepimento, la legge dovrà prevedere appropriate sanzioni penali per ogni deliberata violazione dei suoi
diritti. La legge non potrà tollerare--anzi dovrà espressamente proibire--che degli esseri umani, sia pure allo
stadio embrionale, siano trattati come oggetto di sperimentazione, mutilati o distrutti, con il pretesto che
risulterebbero superflui o incapaci di svilupparsi normalmente. L'autorità politica è tenuta a garantire
all'istituzione familiare, sulla quale la società si fonda, la protezione giuridica alla quale essa ha diritto. per il fatto
stesso che è al servizio delle persone, l'autorità politica dovrà essere anche a servizio della famiglia. La legge
civile non potrà accordare la sua garanzia a quelle tecniche di procreazione artificiale che sottraggono a
beneficio di terze persone (medici, biologi, poteri economici o governativi) ciò che costituisce un diritto inerente
alla relazione fra gli sposi e non potrà perciò legalizzare il dono di gameti tra persone che non siano
legittimamente unite in matrimonio. La legislazione dovrà proibire inoltre, in forza del sostegno che è dovuto alla
famiglia, le banche di embrioni l'inseminazione post mortem e la «maternità sostitutiva». Rientra nei doveri
dell'autorità pubblica operare in modo che la legge civile sia regolata sulle norme fondamentali dalla legge
morale in ciò che concerne i diritti dell'uomo, della vita umana e dell'istituzione familiare. Gli uomini politici
dovranno impegnarsi, attraverso il loro intervento sull'opinione pubblica, ad ottenere su tali punti essenziali il
consenso più vasto possibile nella società e a consolidarlo laddove esso rischiasse di essere indebolito e di
venir meno. In molti paesi la legalizzazione dell'aborto e la tolleranza giuridica verso le coppie non sposate
rendono più difficile ottenere il rispetto dei diritti fondamentali richiamati in questa Istruzione. Ci si augura che
gli Stati non si assumano la responsabilità di rendere ancora più gravi queste situazioni di ingiustizia socialmente
dannose. Al contrario, c'è da auspicare che le nazioni e gli Stati prendano coscienza di tutte le implicazioni
culturali, ideologiche e politiche connesse con le tecniche di procreazione artificiale e sappiano trovare la
saggezza e il coraggio necessari per emanare leggi più giuste e rispettose della vita umana e dell'istituzione
familiare. La legislazione civile di numerosi Stati conferisce oggi agli occhi di molti una legittimazione indebita di
certe pratiche; essa si dimostra incapace di garantire quella moralità, che è conforme alle esigenze naturali della
persona umana e alle «leggi non scritte» impresse dal Creatore nel cuore dell'uomo. Tutti gli uomini di buona
volontà devono impegnarsi in particolare nell'ambito della loro professione e nell'esercizio dei loro diritti civili
perché siano riformate le leggi civili moralmente inaccettabili e corrette le pratiche illecite. Inoltre deve essere
sollevata e riconosciuta l' "obiezione di coscienza" di fronte a tali leggi Ancora più, comincia a imporsi con
acutezza alla coscienza morale di molti, specialmente fra gli specialisti delle scienze biomediche, l'istanza per
una resistenza passiva alla legittimazione di pratiche contrarie alla vita e alla dignità dell'uomo.
CONCLUSIONE
La diffusione delle tecnologie d'intervento sui processi della procreazione umana solleva gravissimi problemi
morali in relazione al rispetto dovuto all'essere umano fin dal suo concepimento e alla dignità della persona,
della sua sessualità e della trasmissione della vita. Con questo documento, la Congregazione per la Dottrina
della Fede, adempiendo al suo compito di promuovere e tutelare l'insegnamento della Chiesa in cosi grave
materia, rivolge un nuovo accorato invito a tutti coloro che, in ragione del loro ruolo e del loro impegno,
possono esercitare un influsso positivo perché, nella famiglia e nella società, sia accordato il dovuto rispetto alla
vita e all'amore: ai responsabili della formazione delle coscienze e dell'opinione pubblica, ai cultori della scienza
e ai professionisti della medicina, ai giuristi e agli uomini politici. Essa auspica che tutti comprendano
l'incompatibilità che sussiste tra il riconoscimento della dignità della persona umana e il disprezzo della vita e
dell'amore, tra la fede nel Dio vivente e la pretesa di voler decidere arbitrariamente dell'origine e della sorte di
un essere umano. In particolare la Congregazione per la Dottrina della Fede rivolge un fiducioso invito e un
incoraggiamento ai teologi e, in particolare, ai moralisti perché approfondiscano e rendano sempre più
accessibili ai fedeli i contenuti dell'insegnamento del Magistero della Chiesa, alla luce di una valida antropologia
in materia di sessualità e matrimonio nel contesto del necessario approccio interdisciplinare. Si potranno così
comprendere sempre meglio le ragioni e la validità di questo insegnamento: difendendo l'uomo contro gli
eccessi del suo stesso potere, la Chiesa di Dio gli ricorda i titoli della sua vera nobiltà; solo in tal modo si potrà
assicurare all'umanità di domani la possibilità di vivere e di amare in quella dignità e libertà che derivano dal
rispetto della verità. Le precise indicazioni che vengono offerte nella presente Istruzione non intendono quindi
arrestare lo sforzo di riflessione, ma piuttosto favorirne un rinnovato impulso, nella fedeltà irrinunciabile alla
dottrina della Chiesa. Alla luce della verità sul dono della vita umana e dei principi morali che ne conseguono,
ciascuno è invitato ad agire, nell'ambito della responsabilità che gli è propria, come il buon samaritano e a
riconoscere anche il più piccolo tra i figli degli uomini come suo prossimo (Cf Lc 10, 29-37). La parola di
Cristo trova qui una risonanza nuova e particolare: «Ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete
fatto a Me». (Mt 25, 40).
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza accordata al sottoscritto Prefetto dopo la
riunione plenaria di questa Congregazione, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la
pubblicazione.
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 22 febbraio 1987, Festa della Cattedra di
S. Pietro Apostolo.