HOME PAGE
|
I FONDAMENTI
DELL'ATEISMO MARXISTA
Evidentemente
fra comunismo e ateismo, nella pura esigenza formale che questi due termini
comportano non c'è assoluta solidarietà
di principio: il comunismo indica un certo tipo di teoria sociale
sull'acquisto e distribuzione dei beni materiali in funzione del lavoro
umano; l'ateismo è l'atteggiamento che prende l'uomo circa l'ammissione di
un Principio assoluto dell'universo e della storia dell'uomo. Anche
storicamente si sono avuti delle forme o concezioni comuniste della vita
(Platone, certe sette platonico-pitagoriche e gnostiche, alcune eresie
medievali, Fourier...) nelle quali il collettivismo dei beni materiali è
piuttosto richiesto da un teologismo che intende la fraternità umana in Dio
nel suo significato più immediato di «comunità»
come « comunione v integrale. E l'ateismo d'altronde è stato più spesso,
come il materialismo che ne è la più frequente matrice, la filosofìa
degli aristocratici della cultura e dei detentori della finanza: un fenomeno
quindi di «
saturità
» o se si vuole, d'insensibilità spirituale ch'è tipicamente
capitalistico. Ciò non toglie nulla alla tesi di Max Weber che il
capitalismo moderno sia un prodotto del Protestantesimo ovvero della
dissociazione operata dal principio della Riforma fra coscienza pratica e
coscienza teoretica: prima di Max Weber lo stesso Kierkegaard aveva
osservato che il proletariato moderno era una derivazione diretta della
concezione protestantica della vita secondo la quale l'uomo, assicurato il
suo conto con Dio con la sola fides poteva a suo agio ingolfarsi nei piaceri
e negli affari di questa vita.
L'ateismo
marxista ha visto in questa dissociazione di comunismo e ateismo
un'incongruenza in cui sta il doloroso equivoco che proprio il principio
della libertà del ceto degli sfruttati, appartenga invece agli sfruttatori,
i ricchi e i padroni, i quali lasciano la religione ai paria della vita per
abbrutirli nella soggezione con la minaccia d'inesistenti pene nell'altra
vita o col falso miraggio di un'eterna felicità in un fantastico aldilà.
L'ateismo
significa perciò, nell'ideologia marxista, non tanto la polemica diretta
contro la Teologia e la Rivelazione divina quanto lo svuotamento del senso
ontologico che può avere la coscienza umana come rapporto verso la
trascendenza: in questo senso, e così lo intendono di solito i dottrinari
del marxismo, l'ateismo marxista è l'unica conclusione logica della
filosofia moderna e particolarmente dell'Idealismo trascendentale di Hegel
anche se Hegel per suo conto questa conclusione non l'ha proposta ovvero
l'ha accortamente mascherata (è noto che l'hegelismo fu subito accusato di
ateismo!). L'ateismo procede principalmente da due posizioni ideologiche che
intaccano i due attributi fondamentali di Dio, la spiritualità e la
personalità con la sua distinzione dal finito. Così il materialismo di
tutti Ì tempi, dalla sua prima affermazione teoretica nell'atomismo di
Democrito alle raffinate posizioni dell'Illuminismo francese, considera lo
spirito come uno pseudo-concetto e chiude inesorabilmente l'esistenza umana
nel cerchio della temporalità. Il panteismo si presenta invece come fautore
dell'assoluto e dell'eterno e tutto riporta all'unità suprema dell'essere:
ma la realtà di quest'assoluto è immanente ai suoi modi e alle sue forme o
piuttosto queste svaniscono in esso. Dio non è una Persona che viva la sua
vita suprema, ma è ridotto al punto di riferimento di quell'assoluto
teoretico o deontologico di cui ha bisogno la coscienza umana per affermare
i suoi valori: Dio è la realtà del finito che sarebbe mera parvenza se non
si rapportasse all'assoluto, ma anche l'assoluto nulla è fuori dei suoi
modi o forme. Potremmo quasi dire che nel panteismo metafisico di Spinoza,
come in quello trascendentale degli Idealisti, il mondo non ha verità fuori
di Dio e Dio non ha realtà fuori del mondo della natura e della storia.
All'ateismo meta- fisico di Spinoza spetta d'aver operato la riduzione
dell'essere nella forma d'immanenza quiescente, per cosi dire, conchiudendo
dentro l'appello della soggettività cartesiana, l'aspirazione del
materialismo stoico della filosofia classica. All'ateismo dell'idealismo
tedesco e specialmente hegeliano spetta d'aver resa presente tale immanenza
di Dio in ogni punto e momento del finito, muovendosi coi movimenti stessi
del finito (dialettica trascendentale) come risoluzione definitiva dello
"io penso". Che lo "orizzonte teoretico" dell'ateismo
marxista sia da vedere nell'influenza combinata di Spinoza-Hegel, mediata
dall'autocoscienza kantiana, è un punto su cui i marxisti teorici insistono
di continuo e che i loro avversar! dovrebbero prendere in seria
considerazione se non vogliono colpir l'aria, come spesso avviene, con le
loro facili diatribe. Una volta ch'è prospettato su questo suo sfondo
storico-dottrinale, l'ateismo marxista può anche rappresentare uno sforzo
di coerenza e di sincerità per uscire dall'equivoco di una situazione in
cui altri si ostinano a permanere
contro la
logica dei principi. Così oggi non abbiamo soltanto forme di marxismo in
lotta fra loro sul piano politico, benché professino l'identico
materialismo storico e quindi l'ateismo dichiarato (socialismo dì sinistra
come di destra, trotzkismo, ecc.), ma gli stessi partiti più direttamente
impegnati ad avversare il collettivismo sociale marxista, come i partiti
liberali, repubblicani... dei più vari indirizzi o ignorano o avversano
direttamente la necessità del momento teologico per la situazione e la
soluzione dell'essere dell'uomo. E, bisogna riconoscere, dal punto di vista
strettamente teoretico, i marxisti contro simili avversar! hanno facilmente
buon gioco e non sarebbe troppo esigere un po' di coerenza dai i chierici »
della cultura, fìn quando si è ancora in tempo. La lezione che il marxismo
consequenziario sta dando all'umanità e la minaccia ch'esso alimenta nella
vita internazionale dovrebbe aprire gli occhi sui reali motivi di un disagio
che diventa sempre più insopportabile e che fa spesso sospettare se gli
avversar! del marxismo non alimentino la loro opposizione dalla sfrenata
cupidigia per godere in pienezza quella vita terrena di cui i marxisti
affermano, almeno in linea di principio, che tutti gli uomini devono essere
partecipi in virtù dell'identica comune natura.
Mi limiterò a toccare i tre momenti decisivi dell'ateismo marxista: Hegel,
Feuerbach, Marx, che a un secolo di distanza rappresentano ancora i momenti
cruciali del dramma che attraversiamo e da cui forse dipenderà la sorte di
questo povero genere umano per molti secoli.
L'episodio
più clamoroso dell'ateismo nel pensiero moderno è stata la Atheismusstreit
in cui fu coinvolto lo stesso Fichte nel 1798-99 ma che fu dovuta
principalmente a Karl Forberg suo amico e collaboratore del « Philosophisches
Journal » che Fichte dirigeva assieme al Niethammer.
Il
Forberg vi aveva pubblicato nel 1798 un ampio articolo su Lo sviluppo
del concetto di religione, nel quale, ribadendo l'impossibilità
della ragion teoretica di attingere l'assoluto ontologico, presentava la
sfera dei valori umani, della moralità e del dovere, come unica e concreta
istanza della religione
dell'uomo » la quale perciò poteva ben dirsi una • religione senza Dio
». Dell'esistenza di Dio, osserva Forberg, non abbiamo nessuna evidenza ne
dall'esperienza ne dalla speculazione; l'esistenza del male, che si
manifesta dovunque, mostra nel mondo la presenza del diavolo piuttosto che
quella di Dio. Cade così la "teoria del sentimento" (Jacobi) come
valore probativo dell'argomento teleologico kantiano perché allo
stato attuale del mondo, sia fisico come morale, Satana non ha minor diritto
alla presidenza dell'universo di quanto non ne abbia Dio ! Unica fonte della
religione resta allora la coscienza morale (Gesinnung) intesa come e
il desiderio del buon cuore per il trionfo del bene », un desiderio ch'è
fede o fiducia (Glaube) nell'ordine morale e che non è una mera e
vuota chimera (eine blosse und leere Schimare) ma speranza implicita
già nell'aspirazione per un ordine etico del cosmo. La religione pertanto
altro non è che « fede nel valore della buona causa, così come la
irreligione non è che disperazione per la buona causa: esiste un governo
morale del mondo, ed una divinità che governa il mondo secondo leggi morali
». Questa divinità non ha affatto un senso ontologico ma soltanto
deontologico, in quanto rappresenta il senso e lo scopo dell'agire umano, il
punto di riferimento ideale che da senso all'attività pratica: così si è
potuto giustamente vedere nella posizione del Forberg un'anticipazione della
filosofia dello « Als ob » di Vahinger. Moralismo puro senza
residui metafisici o, se piace, umanesimo
assoluto come lo rivendicherà Feuerbach dopo l'ubriacatura dell'idealismo
hegeliano. Quel che importa rilevare dall'episodio della Atheismusstreit
è la disarticolazione della moralità dalla metafisica e quindi dalla
teologia.
In
Hegel questa scissione o incompiutezza della coscienza filosofica sembra
comporsi nella superiore unità della speculazione in cui etica e
metafisica, filosofia e teologia s'incontrano e si fondono nell'identico
cammino e "risultato" ch'è lo Spirito. Compito della
considerazione filosofica è essenzialmente quello di eliminare
l'accidentale, il mero molteplice e l'accadere esteriore, per
"entrare" nell'universale, nel necessario, nell'Uno assoluto.
Quindi per Hegel la posizione di Kant va rovesciata; non solo è possibile
conoscere Dio, ma la conoscenza di Dio è la sostanza stessa del sapere
filosofico e corrisponde al precetto stesso della Sacra Scrittura quando
ordina non solo di amare Iddio ma anche di conoscerlo. Una nozione generica
di Dio, come Provvidenza del mondo, osserva Hegel, può bastare per la
coscienza ingenua...: parÌmenti volerlo confinare a principio ordinatore
della natura materiale, è relegare Dio nella sfera che meno gli è propria,
quella dell'aconcettualità e restringere la ragione a ciò che non è
divino, che è limitato e finito, alle bazzecole dell'empiria. Ma l'uomo,
proclama Hegel, sente anche la necessità superiore di avere una a domenica
della vita in cui si elevi al di sopra delle faccende feriali, occupandosi
del vero e recandoselo alla coscienza. E così se il nome di Dio non dev'essere
qualcosa di vuoto, dobbiamo riconoscere che Dio è benevolo ossia
comunicativo. Perché se nelle antiche concezioni dei Greci Dio è
presentato come invidioso, Aristotele ha detto che i poeti mentiscono molto
e che a Dio non può attribuire invidia e infatti per quanto Dio partecipi
di sé, nulla può perdere come non perde una fiamma quando un'altra viene
accesa da essa.
Il
"medio" in cui Dio si manifesta non può essere che il pensiero:
quanti hanno posto che la coscienza attinge Dio con l'intuizione e col
sentimento, ovvero (secondo la terminologia hegeliana) nella sfera
dell'immediatezza, abbassano Dio e la coscienza dell'uomo insieme : l'uomo
infatti si eleva al di sopra dell'animale precisamente in virtù della
ragione che domina il sentimento, e l'animale non ha nessuna religione.
Pertanto, conclude Hegel, quando Dio si rivela a lui, lo fa essenzialmente
in quanto è pensante:
Dio è l'essere in sé e per sé eterno, e ciò ch'è in sé e per sé
universale è oggetto del pensiero, non del sentimento, dove non può
trovarsi che come risonanza e derivazione dalla ragione e sotto la vigilanza
della ragione, che altrimenti si cadrebbe nella soggettività dell'arbitrio
e del libito. Ed eccoci alla dichiarazione finale che sembra uscita dalla
penna di uno degli apologeti dei primi secoli del Cristianesimo: "Nella
religione cristiana Dio si è rivelato, ha cioè concesso agli uomini di
conoscere la sua natura in modo di non essere più qualcosa di chiuso, di
segreto... E' divenuto manifesto quel che
sia la natura di Dio, Se si dice: 'Non sappiamo nulla di Dio'... la
religione cristiana diventa qualcosa di superfluo, di tardivo, di decadente.
" Nella
religione cristiana si sa che cosa sia Dio... La religione cristiana è
quella che ha manifestato agli uomini la natura e l'essenza di Dio. Così
noi. come cristiani, sappiamo ciò ch'è Dio. Esso non è più ora una realtà
sconosciuta: se continuiamo ad affermarlo, non siamo più cristiani. La
religione cristiana esige umiltà, di cui già parlammo, e cioè quella che
consiste nell'attingere la conoscenza di Dio non da sé, ma dalla sapienza e
conoscenza divina. I cristiani sono, così, iniziati ai misteri di Dio; e in
tal modo ci è data la chiave per intendere la storia del mondo.., (perché)
Dio non vuole avere per figli degli animi angusti e delle teste vuote, ma
esige che lo si conosca; vuole figli il cui spirito sia povero di sé ma
ricco della conoscenza di lui, e i quali pongano ogni valore in tale
conoscenza".
Tutto
questo sembrerebbe pacifico se Hegel non si affrettasse a precisare che
l'ambito proprio per la conoscenza del divino e quindi del compimento del
rapporto dell'uomo a Dio, non è propriamente la religione e la fede, ma la
filosofia e la storia del mondo. La fede infatti si arresta all'immediato e
non va oltre la sfera dell'intuizione da cui trae le immagini per
rappresentarsi la natura di Dio, per es. che Dio è Padre, Figlio, che il
Padre « genera » il Figlio, oppure che Dio si adira, che si pente..., o
che all'inizio della storia umana si trova la disobbedienza del primo Uomo
per avere mangiato il frutto proibito di un certo albero, ecc... Tutto
questo non è che simbolo e allegoria, che resta al di qua del vero pensiero
e in cui perciò l'unione con l'Assoluto è adombrata non realizzata, Hegel
ne trae la conseguenza che la religione è essenzialmente legata a tali
immagini, prese nella loro immediata significazione, e che perciò la
religione non può costituire . lo stadio definitivo dell'umana coscienza ne
la conoscenza vera della natura di Dio, ma soltanto un'immagine umbratile e
approssimativa. Soltanto la filosofia presenta la divinità nella pura forma
della suprema universalità e concretezza del reale come concetto puro e
identità assoluta con se stesso: si sa che nella graduazione hegeliana
della vita dello Spirito la Religione occupa il posto di mezzo fra l'Arte
che è direttamente legata alle immagini sensibili della realtà
spazio-temporale e la pura idealità della Filosofia, perché la Religione
conserva ancora la dualità in seno al reale (creatura e creatore, finito e
infinito, bene e male...) ed esprime Soggetto nel medio della
rappresentazione.
Nel
"sistema" dell'Idealismo oggettivo di Hegel (a cui basta accennare
dato lo scopo elementare della nostra disamina), il puro concetto di' Dio
ch'è oggetto della speculazione, è senz'altro il "risultato"
ovvero il termine logico della
"mediazione" (Vermittlung} del pensiero. E qui Hegel rimanda
all'esposizione che nella grande Logica fa del processo della mediazione.
Ridotto al nocciolo e in termini un po' accessibili, esso si può riassumere
nei punti seguenti: i) L'assoluto ovvero Dio va concepito come movimento e
processo, come l'unità dinamica cioè dialettica dei contrari. 2) Questa
unità è espressa dalla stessa Ragione umana in quanto essa esprime
l'oggettività assoluta ovvero l'identità suprema di forma e contenuto e »
risolve » in sé le sfere opposte della Natura (spazio) e dello Spinto
(tempo), 3) Dio è quindi il Concetto in quanto esso è la totalità del
divenire dell'essere e delle sue forme ovvero (in termini hegeliani) esso è
il « risultato • della mediazione del finito, la sua positività e
necessità. Quindi non meraviglia più la dichiarazione di Hegel : "A
questo modo Dio è anche il finito, ed io così sono l'Infinito. Dio ritorna
a sé nello Io come in quel che toglie se stesso come finito ed è Dio
soltanto come questo ritorno. Senza mondo Dio non è Dio". Mentre la
Religione considera l'Assoluto ch'è Dio dal punto di vista della coscienza
(e quindi come dualità nella rappresentazione), la Filosofia lo determina
come l'unità assoluta dei contrari, Idea, che non si rapporta che a se
stessa.
Venendo
perciò a toccare in concreto l'accusa di ateismo che spesso si fa alla
Filosofia, Hegel non la trova più fondata di quella di panteismo: per la
prima, nella Filosofia c'è troppo poco di Dio, per la seconda ce n'è
troppo assai. Egli osserva che l'accusa di ateismo presuppone una
rappresentazione determinata di un Dio pieno di contenuto e dipende dal
fatto che il pensiero rappresentativo non trova più nei concetti filosofici
le forme peculiari alle quali esso è legato (perché esse son proprie della
sfera inferiore della rappresentazione da cui la Filosofia si è invece
liberata). Perché la Filosofia esprime la verità nella sua forma assoluta
in cui perciò la forma inferiore (della rappresentazione, cioè della
religione) è tolta (aufgehoben) e insieme conservata nella sua verità: cioè
la Filosofia può ben riconoscere le sue proprie forme nelle categorie del
modo religioso di rappresentare e per tal guisa riconoscere il suo proprio
contenuto e rendergli giustizia. Ma l'inverso non ha luogo (cioè nel
rapporto della Religione verso la Filosofia); giacché « il modo religioso
di rappresentare non applica a se stesso la critica del pensiero e non
comprende se stesso, epperò nella sua immediatezza esclude gli altri modi».
Anche la "recente" accusa di panteismo di cui è oggetto la
filosofia, non sembra a Hegel più fondata, perché essa tradisce la povertà
della teologia che prende per unica fonte di conoscenza il sentimento
soggettivo e nega la conoscenza della natura di
Dio che testa qualcosa d'indeterminato che può essere indicato in
qualsiasi cosa, come nelle scimmie della religione indiana, nel bove della
egiziana, ecc.
La
cosiddetta a "elevazione della Filosofia al punto di vista puramente
speculativo del puro Concetto", proclamata da Hegel, è quindi soltanto
apparente, perché Hegel lavora all'ombra della teologia che poi vuoi
superare e così tutto svapora nel vuoto, e la natura e l'uomo; la natura,
perché la sua verità e realtà sensibile è ridotta a concetto, e l'uomo,
in quanto la sua realtà è pensata unicamente nella forma dell'universale
storico vestito di attributi teologici. Basta perciò demolire la
sovrastruttura teologica e
l'hegelismo cade sgonfiato delle sue pretese metafisiche e il suo Umanesimo
"masqué" si mostra nella immediatezza dei suoi rapporti
naturali e sersibili. La dialettica non è automovimento dello Spirito
assoluto, ma pro-cesso d'interazione fra la coscienza umana, nella sua
concretezza dei suoi fenomeni vitali e sociali, con la natura e di ogni
singolo con gli altri sin. Ecco la riforma quindi della dialettica
hegeliana, il ritorno dalla sfera dell'astrazione del concetto a quella
della concretezza della vita. Hegel ha constatato che ogni ente finito
presenta per il pensiero un "limite" e quindi si presenta come una
negatività: di qui la necessità di raggiungere una superiore positività
in cui esprimere la verità per sé. Ma questo limite, osserva Feuerbach, è
la stessa natura che circonda l'uomo che le metafisiche idealiste — come
prima il Cristianesimo — hanno misconosciuta nella sua autentica positività.
Hegel, una volta abbandonata la realtà della natura, non la può più
riguadagnare e finisce nel vuoto delle astrazioni .
La
filosofia hegeliana perciò, in quanto è l'espressione speculativa della
teologia cristiana, si risolve come questa in una
"mitologia" e cade con essa. Perciò Feuerbach precisa:
"L'essenza del Cristianesimo è l'essenza dell'uomo, ma dell'uomo che
conosce la natura, la materia, i corpi, il suo corpo, soltanto come un
limite, una negazione della sua essenza, e perciò
nel superamento (Aufhebung) di questo limite od almeno — poiché
l'uomo non si può liberare dalla natura — dalla trasformazione di questa
natura che corrisponda a questo ideale... pone il suo più alto scopo e
natura. La limitatezza, la deficienza, la non-verità del Cristianesimo,
anche come filosofia cristiana, è di non aver conosciuto la vera natura
dell'uomo. Poiché io sono contro il Cristianesimo nella misura in cui sono
per la natura dell'uomo: nego il Cristianesimo nella misura in cui affermo
la natura". Com'è che nasce allora la religione? Così:
"L'esistenza e l'oggettività di Dio altro non è che la natura la
quale, dopo che lì ha uccisi [gli idealisti, gli spiritualisti, i
teisti...], li perseguita come ombra, come spettro, una volta che
l'oggettività astratta è stata presa originariamente e essenzialmente come
divinità". Com'è che l'uomo arriva a questo a capovolgimento (Umkehrung)
di fondarsi sulla fede nell'oggettività di Dio così che la natura è
ridotta a un fantasma, a uno spettro? E' a causa della
"separazione" (Trennung}, risponde Feuerbach, che l'uomo
pone fra l'uomo e la natura, così che arriva alla concezione di un Dio
disumano e di una natura disumana.
Allora
"la natura, che non sia oggetto dell'uomo o della coscienza. è ora
senz'altro la cosa in sé kantiana, un astratto senza realtà, ma appunto
nella natura fa naufragio (scheiert) l'idealismo. La scienza ci
porta, almeno nella sua situazione attuale, necessariamente ad un punto dove
le condizioni dell'esistenza umana non sono ancor date, quando la natura,
cioè la terra, non era ancor oggetto di un occhio o di una coscienza umana,
quando la natura era un'essenza assolutamente non-umana. Ed è con
l'esistenza dell'uomo che la natura prende il suo senso". Perciò le
contraddizioni non sono inerenti alla filosofia come tale, ma derivano dal
primo falso passo di cercare la spiegazione della natura fuori della natura
e dell'uomo, indipendentemente dalla natura.
Feuerbach
poteva perciò riassumere la sua critica costruttiva alla filosofia
hegeliana con la formula: a La teologia è antropologia (Die Teleologie
ist Anthropologie). Cioè quel che noi chiamiamo Dio non è altro che
l'essenza umana divinizzata o assolutizzata e la storia delle religioni si
riduce in sostanza alla storia della umanità e così abbiamo tante
religioni quanti sono i popoli: ecco il primo principio. E mentre le divinità
delle religioni politeistiche si fermarono al gruppo etnico ipostatizzando
lo spirito nazionale, il Cristianesimo divenne cosmopolita e poté concepire
Dio come l'umanità divinizzata. Secondo principio: c'è però una realtà
indipendente dall'uomo da cui l'uomo dipende, ed è la Natura. Così quel
che finora si pensava dell'uomo in assoluto e si attribuiva alla religione,
si riduce a antropologia e a fisiologia: l'uomo ha il suo essere, nasce,
vive e muore a seconda dei suoi rapporti con la natura ovvero dei rapporti
che il suo corpo può esercitare con le forze della natura. A questo mode
l'antitesi di teismo-ateismo risulta priva di senso in quanto, una volta che
il termine « teismo risulta vuoto
di un proprio contenuto e mera estrapolazione che l'uomo fa della sua
natura, anche il termine a ateismo » non può significare alcunché, se non
in quanto come negazione di una negazione esprime la positività della
riconquista di se stesso che l'uomo fa con la critica della religione e alla
-filosofia speculativa, responsabile della estraneazione (Entusserung,
Entfremdung) dell'uomo stesso- Qui già si annunzia il marxismo nel suo
nucleo di "realismo ».
Per
Feuerbach questa «risoluzione della religione », questa discesa della
filosofia dall'Olimpo dell'astrazione fittizia, è un atto di onestà e di
sincerità contro l'ipocrisia dei • sistemi » dell'Idealismo,
responsabili fra l'altro di aver snaturato la religione stessa in quel
ch'essa può dire di schietto per l'uomo ingenuo. L'essenza quindi di tali
filosofie è un ateismo ancora più sopraffino del suo, ateismo ipocrita e
disumano in quanto tradisce ogni legittima aspirazione di bene e felicità
dell'uomo, perché l'idealismo ha posto il supremo scopo dell'uomo nella
politica strappandogli ogni speranza alia felicità. Si deve invece
proclamare un Umanesimo concreto in cui l'uomo attua se stesso così che la
sua vita corrisponda ai]a sua natura. Il posto dell'Idea in cui l'Idealismo
hegeJiano faceva svaporare il Dio della teologia, è preso dalla
"Natura": è da essa unicamente che l'uomo dipende e ad essa si
rapporta il "sentimento" di dipendenza a cui
le filosofie idealiste riducono la religione. Quindi:
1.
Il sentimento di dipendenza e il fondamento della religione.
2.
L''oggetto originario di questo sentimento di dipendenza è la datura.
3.
La Natura allora e il primo oggetto della religione. Il sentimento di
dipendenza, celebrato da Schleiermacher come l'essenza della religione, e
pertanto l'unico vero nome e concetto universale, afferma Feuerbach, per
indicare e spiegare la ragione psicologica ovvero soggettiva della religione
ed in esso si riassumono tutti gli altri sentimenti 15.
La
posizione di Feuerbach chiude il ciclo dei grandi sistemi di filosofia della
religione dell'Ottocento, con la negazione dell'essenza stessa dello
"homo religiosus " e ciò in virtù dell'antropologismo implicito
nel "cogito" cartesiano e mascherato dal pensiero puro
dell'Idealismo oggettivo. Ormai, conclude Feuerbach, il processo della
dissoluzione del sacro è consumato: « La filosofia precedente cade nel
periodo del tramonto del Cristianesimo della sua negazione del medesimo ma
che voleva insieme figurare come la posizione. La filosofia hegeliana
nascondeva la negazione del Cristianesimo sotto la contraddizione di
rappresentazione e pensiero: cioè lo negava mentre lo affermava, sotto la
contraddizione di un Cristianesimo incipiente e uno compiuto... Il
Cristianesimo in realtà è negato, negato nello spirito e nel cuore, nella
scienza e nella vita, nell'arte ^ nell'industria: è negato in radice, senza
remissione, irrevocabilmente, poiché gli uomini si sono appropriati ciò
ch'è vero, umano, antisacro (das Antihelige), così che al
Cristianesimo è stata tolta ogni forza di opposizione...".
Prima
la negazione del Cristianesimo era incosciente, ora è divenuta cosciente,
voluta, direttamente intesa; essa apre una nuova epoca, la necessità di una
nuova filosofia libera, non più cristiana ma decisamente anticristiana, La
filosofia prende così il posto della religione, ma una filosofia "toto
genere" diversa dalla filosofia precedente: questa era filosofia pura,
non religione, senza religione, mentre la nuova filosofìa dev'essere essa
la religione dell'umanità. E perché non manchi nulla ai presupposti
feuerbachiani del marxismo, il Nostro precisa subito il contenuto di questa
nuova religione identica alla filosofia: "Al posto della fede c'è
l'incredulità, al posto della Bibbia la Ragione, al posto della religione e
della Chiesa la politica, al posto del ciclo la terra, della preghiera il
lavoro,. dell'inferno l'indigenza materiale e al posto del cristiano
l'uomo...: la politica dev'essere la nostra religione ".
Tutto
questo cambio di orientamento della coscienza dell'uomo dall'orizzonte
fittizio in cui prima si muoveva al suo orizzonte reale, questa
proclamazione del primato della politica (affermata del resto dalla
Filosofia del Diritto e dalla
Filosofia della Storia dell'ultimo Hegel), suggerisce a Feuerbach
l'espressione definitiva (ein offizielles Prizip). Nella sua
formulazione negativa esso non è altro che l'Ateismo vale a dire
l'abbandono di un Dio diverso dall'uomo ".
Come
il Protestantesimo ha dissolto il Cattolicesimo e la filosofia idealista ha
fatto svaporare il Cristianesimo protestante, così il nuovo Umanesimo ha
riportato definitivamente l'uomo a se stesso al di qua di ogni mito sia
teologico come speculativo: ora abbiamo quel che Feuerbach chiama lo
"uomo assoluto", ch'è l'uomo inteso come elemento operante nello
Stato. Perciò l'ateismo di cui si parla è « ateismo pratico».
Marx
non ha fatto mistero su quel che la fondazione teoretica del comunismo
scientifico deve all'opera di Feuerbach: egli si è assunto espressamente il
compito di rivendicare dal silenzio a cui l'invidia meschina di alcuni e il
livore degli altri 1' avevano condannato, salvo poi a sfruttarlo sottomano:
"E' da Feuerbach che data la critica positiva e naturalistica. Quanto
più silenziosa, tanto più sicura, profonda, vasta e duratura è
l'efficacia degli scritti di Feuerbach, i soli scritti, dopo la
Fenomenologia e la Logica di Hegel, in cui si contenga una vera rivoluzione
teoretica". E' Marx, ai primi passi della sua revisione critica della
dialettica hegeliana, avanza lo spunto critico contro la superficialità dei
cosiddetti e teologi critici che non hanno avvertito la contraddizione di
pretendere di far della teologia all'interno di un sistema come l'hegeliano
che deve almeno ispirare l'esigenza dell'assoluta indipendenza della
ragione: questa teologia da strapazzo non fa che esagerare il difetto di
quella posizione di trascendenza metafisica che Feuerbach aveva
definitivamente criticata in Hegel. La teologia, sentenzia Marx, rimane oggi
come sempre il luogo putrido della filosofia la dissoluzione della
filosofia, il suo processo di putrefazione e, per conto suo, s'impegna di
dare alle scoperte di Feuerbach tutto l'approfondimento critico di cui esse
sono suscettibili.
L'originalità
di Marx, come si è visto in altra occasione, è nella dialettizzazione
della realtà umana sensibile scoperta da Feuerbach, nella interpretazione
dialettica del rapporto fra l'uomo e la realtà sensibile in funzione del
lavoro umano: è così che il comunismo scientifico trasforma completamente
il comunismo volgare (Proudhon, Fourier, St. Simon...), come lo chiama Marx
in quanto esso non si preoccupa che di negare la proprietà privata e
sopprime ovunque la personalità dell'uomo fino a patrocinare la comunanza
delle donne, un comunismo quindi che alla fine non è altro che
l'espressione conseguente della proprietà privata la quale precisamente è
tale negazione. E Marx nota con forza e non senza un certo pathos di umanità:
« L' invidia universale che si organizza in una forza, non è altro che la
forma mascherata in cui si presenta l'invidia cosi da trovare la sua
soddisfazione soltanto in un altro La concezione di ogni proprietà privata
come' tale è per io ineno rivolta contro la proprietà privata più ricca
come invidia e tendenza a] livellamento così che queste formano persino
l'essenza della concorrenza ». Quel che Marx condanna nel comunismo rozzo
è la sua concezione piatta e egoista dell'esistenza che lo pone a un
livello inferiore della stessa proprietà privata dimostrando così come sia
vuota e vana la sua soppressione della proprietà privata. A questo
comunismo manca il concetto di uomo come a "natura generica" da
cui il comunismo scientifico attinge la sua positività teoretica e
l'efficacia sociale: rileva i difetti della proprietà privata ma non li
supera, prospetta la reintegrazione ovvero il ritorno dell'uomo a se stesso,
come superamento della autoestraneazione dell'Io umano ma senza cogliere
l'essenza positiva della proprietà privata e quella stessa del bisogno
umano come tale.
Il comunismo scientifico invece comporta il superamento o negazione positivo
della proprietà privata intesa come autoestraneazione dell'uomo e quindi
come appropriazione effettiva dell'essenza dell'uomo mediante e per l'uomo,
perciò come ritorno per sé come essere sociale, ritorno completo,
cosciente e attuato dentro tutta la ricchezza dello sviluppo precedente.
Questa socialità positiva in cui avviene il superamento (Aufhebung)
della proprietà, è lo scopo a cui tende l'umanesimo feuerbachiano, la vera
risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo l'uomo,
della lotta fra essenza e esistenza, tra l'oggettivazione e
l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e il
genere: brevemente, è l'unica soluzione dell'enigma della storia.
La
soppressione della proprietà privata non deve perciò essere un fenomeno di
risentimento, ma l'espressione della riconquista dell'essere originale
dell'uomo che nella proprietà privata aveva invece patito la sua "estraneazione"
: questa proprietà privata, immediatamente sensibile, è la espressione
materiale sensibile della vita umana estraniata. Di tale estraneazione fanno
parte o ne sono la conseguenza, per Marx, la religione, la famiglia, lo
stato. Il diritto, la morale, la scienza, l'arte, ecc. Pertanto la
soppressione positiva della proprietà privata in quanto appropriazione
della vita umana, è perciò la soppressione positiva di ogni estraneazione,
e quindi il ritorno dell'uomo, dalla religione, famiglia, Stato, ecc., alla
sua esistenza umana cioè sociale. Mentre l'estraneazione causata dalla
religione si compie soltanto nella sfera dell'interiorità umana ovvero
della coscienza, l'estraneazione economica riguarda la vita reale, e perciò
— conclude Marx — la sua soppressione deve abbracciare ambedue i lati.
Quindi (ed eccoci al punto!) il comunismo comincia subito con l'ateismo (Owen)
: soltanto
che l'ateismo che non si concreta sul piano sociale, resta un'astratta
filantropia, inoperante. Come allora l'essere dell'uomo non è l'idealità
astratta ma si attua nella sfera della natura come sensibilità, come
la sua natura è tutta nella socialità, cosi l'essenza umana della natura
esiste soltanto per l'uomo sociale, perché soltanto nella società la
natura esiste come vincolo per l'uomo con l'uomo. La società è dunque
l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con la natura,
la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e
l'umanesimo compiuto della natura. La dialettica astratta dell'hegelismo si
fa dialettica concreta di uomo e natura, di singolo e società: soltanto così
pensiero ed essere, benché in sé distinti, nello stesso tempo sono uniti
l'uno all'altro. E' inutile per il nostro argomento seguire il neofita Marx
dei Manoscritti giovanili nella sua naturalizzazione e socializzazione
dell'essere dell'uomo, mistificato dalla dialettica hegeliana e dalle
precedenti metafisiche come dalle religioni. Nella risoluzione sociale
dell'essere dell'uomo svaniscono tutte le opposizioni in cui si sono
dibattute le filosofie e le religioni, nate tutte dall'equivoco che l'essere
dell'uomo sia,. un astratto (metafisica): mentre esso è nella concretezza
dell'agire, nella pratica, nella socialità reale, nel lavoro umano come
processo della origine stessa dell'uomo.
Non
il divenire del pensiero ma il divenire .del lavoro forma l'essere dell'uomo
ed è così che si spiega tutta la cosiddetta storia del mondo come il
divenire della natura per l'uomo (mediante il lavoro). L'ateismo non è
quindi più un atteggiamento polemico ma una constatazione della situazione
dell'uomo, già trovata da Feuerbach e ora fondata nella sua genesi
originaria,
L'esistenza
di un Essere trascendente, fuori della natura e dell'uomo è ormai
inintelligibile, cade fuori di ogni posizione dell'essere: a Dal momento che
la essenzialità dell'uomo e della natura è diventata praticamente
sensibile, in guanto l'uomo per l'uomo come esistenza della natura, e la
natura per l'uomo come esistenza dell'uomo è diventato un rapporto pratico,
sensibile, intuibile; il problema allora di un'essenza estranea, di una
essenza superiore alla natura e all'uomo, un problema quindi che comporta
l'ammissione della inessenzialità della natura e dell'uomo, è divenuto
praticamente impossibile. "L'ateismo, come negazione di questa
inessenzialità, non ha più alcun senso, poiché l'ateismo è una negazione
di Dio e pone, per via di questa negazione l'esistenza dell'uomo". Ma
il socialismo non ha bisogno di formulazioni metafisiche, non abbisogna più
di tali espedienti, di tale mediazione,
dice Marx. Esso comincia dalla coscienza teoreticamente e praticamente
sensibile dell'uomo e della natura nella loro essenzialità. Non c'è più
bisogno d'indugiare sulla negazione della religione. Il socialismo è
un'autocoscienza positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione
della religione, nella stessa guisa che la vita reale è la realtà positiva
dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della proprietà privata, dal
comunismo. Il comunismo è, in quanto negazione della negazione,
l'affermazione; perciò è il momento reale e necessario per il prossimo
svolgimento storico, dell'emancipazione della natura umana: è la struttura
necessaria ed è principio animatore del prossimo futuro, ma il comunismo
non è come tale lo scopo dello sviluppo dell'uomo, la forma della società
umana ".
L'esegesi
di quest'ultima posizione dei rapporti fra comunismo e società umana forma
ancora argomento di ricerca e di opposizione fra gli stessi partiti
marxisti, ma sull'ateismo come posizione di principio essi tutti (socialisti
e comunisti) si accordano e nel preciso senso affermato da Feuerbach-Marx. I
Manoscritti giovanili ci hanno dato la struttura teorica della
negazione marxista ch'è originale in quanto scaturisce dal suo assunto di
dialettismo materialistico-storico, dalla fusione cioè del naturalismo di
Feuerbach (contenuto dell'essere dell'uomo) e del dialettismo di Hegel
(processo di sintesi dei contrari nel divenire).
CORNELIO
FABRO
|