Accidente

 

Proviene da accidere che, in latino, signi­fica giungere, sopraggiungere, accadere. Già l’etimologia denuncia la natura precaria dell’ accidente, la sua in-sussistenza, la sua incapacità di esistere per proprio conto e quindi la sua ap­partenenza ad altra cosa che funge da sog­getto dell’ accidente.

 

Il primo studio sistematico di questo aspetto della realtà è stato effettuato da Ari­stotele nella Metafisica (libro E). Qui egli di­vide l’ente in due grandi classi, quella delle sostanze (che possono essere materiali e im­materiali) e quella degli accidenti. Della sostanza egli dà la celebre definizione: "E' il sostrato primo di ogni cosa,  perché essa è ciò che non viene riferito ad altro, mentre tutto il resto viene ad essa riferito". Quanto all’accidente, non possiede l’essere in proprio ma lo riceve dal­la sostanza; per questo motivo "lo veniamo a conoscere solamente in quanto afferriamo il soggetto che lo possiede, cioè  la sostanza". Ogni sostanza materiale è dotata di molti accidenti, Aristotele li riduce a nove principali: quali­tà, quantità, azione, relazione, passione, luogo, tempo, situazione, abito.

 

     S. Tommaso fa suo in larga misura l’insegna­mento aristotelico. In un trattatello intitola­to De natura accidentis egli sottolinea l’im­portanza dello studio di questo argomento: "Poiché ogni conoscenza umana prende il via dai sensi, e l’oggetto proprio del sensi sono gli accidenti, ne consegue che gli acciden­ti danno un grande apporto alla conoscenza dell’essenza di una cosa (ad cognoscendum quod quid est) (De nat. a. acc., n. 464). Con questa affermazione S. Tommaso fa piazza pulita del pregiudizio che vede nell’a. qualche cosa affatto secondaria, qualche cosa di superfluo di cui la sostanza potrebbe fare impunemen­te a meno. In effetti tutte le realtà materiali sono circondate da un nutrito stuolo di accidente di cui non si possono mai disfare, pena la loro stessa esistenza.

 

S. Tommaso osserva che dell’accidente si danno due ac­cezioni principali: quella logica (è il quinto predicabile) e quella metafisica (è il gruppo delle nove categorie o predicamenti). Dei due sensi quello che lo interessa maggior­mente è il secondo. Precisato che per accidente si intende ciò che non è in sé ma risiede in un’altra cosa che funge da soggetto, 1'Aquinate passa a chiarire qual è lo statuto ontolo­gico dell'accidente.  Esso non è privo di essere, per­ché se fosse privo di essere, sarebbe nulla, non una qualità, una quantità, uno spazio, un luogo, una relazione ecc. Ma non dispo­ne di un atto d’essere suo proprio. L'accidente deri­va l’essere direttamente dalla sostanza, alla quale l’essere compete direttamente e pri­mieramente: mentre all’accidente appartiene me­diatamente e secondariamente. Per questo motivo l’essere si predica dell’accidente analogica­mente (De nat. acc., n. 465). Pertanto lo sta­tuto ontologico dell’accidente è quello dell’inerire (inesse): "Natura accidentis est inesse, sive inhaerere ipsi rei" (ibid., n. 466). Però c’è una gerarchia nella condizione di inerenza alla sostanza: prima viene la quantità. poi la qualità, quindi lo spazio, la relazione. ecc. Tuttavia S. Tommaso ammette che ci sono accidenti, come la qualità e l’azione, che possono radicarsi direttamente nella sostanza attraverso la forma e non attraverso la quantità e la materia (dr. ibid, n. 468).

 

Pur ricevendo l’essere dalla sostanza, la quale è la sorgente, la causa dei propri accidenti e non soltanto il loro soggetto, l’accidente non si rap­porta alla sostanza a mo’ di potenza bensì di atto. Infatti l’accidente integra, determina, perfeziona. la sostanza. Si tratta però di attuazio­ni, determinazioni, perfezioni, forme acci­dentali e non sostanziali (cfr. DE Malo. q. 4. a. 2, ad 9). Per questo motivo c’è sempre proporzione tra la sostanza e i suoi accidenti: "Ac­cidens non excedit suum subiectum, scilicet non extendit se ultra suum subiectum" (II Sent., d. 27, q. 1, a. 6. ad 1).

 

In teologia S. Tommaso ricorre alla distinzione reale tra sostanza e accidenti per rendere compren­sibile il mistero della presenza reale del Cristo nell’Eucaristia. Nel mistero eucaristico viene meno la sostanza del pane e del vino e il suo posto viene preso dal Corpo e dal San­gue di Cristo, mentre rimangono intatti gli accidenti del pane e del vino. "In questo sacramen­to tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza del Corpo di Cristo, e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del Sangue di Cristo. Perciò questa non è una conversione formale ma sostanziale. Né rientra tra le specie delle mutazioni naturali, ma con termine proprio può dirsi transustan­ziazione" (III, q. 75, a. 4).

 

In sede metafisica il miracolo, eucaristico dà luogo a due difficoltà; una riguarda la possibilità, la seconda la coerenza.

 

Alla pri­ma l’Angelico risponde che Dio provvede direttamente a dare agli accidenti quell’esse­re che normalmente viene comunicato loro dalla sostanza. Infatti "la causa prima dispo­ne di un influsso sull’effetto della causa se­conda che è più veemente dell’influsso della causa seconda stessa. Per cui anche quando cessa l’influsso della causa seconda sull’ef­fetto, può tuttavia ancora permanere l'in­flusso della causa prima; per es. tolto il ra­zionale resta il vivente e tolto il vivente resta l’essere. E poiché la causa prima degli acci­denti e di tutti gli esistenti è Dio, mentre la causa seconda è la sostanza, essendo gli acci­denti causati dai principi della sostanza, Dio può conservare nell'essere g1i accidenti. quando è stata tolta la causa seconda, ossia la sostanza. E pertanto si deve concludere che Dio può far si che esistano accidenti sen­za soggetto (sostanza)" (IV Sent., d. 12. q. 1, a. I, sol. 1).

 

      Alla seconda difficoltà. relativa alla coe­renza e alla legittimità di dare ancora il nome di accidente a realtà che effettivamente non hanno più la proprietà essenziale che li caratte­rizza, quella dell’inesse, S. Tommaso risponde di­stinguendo tra l’essere e il modo di essere. Il modo di essere naturalmente proprio dell’accidente è indubbiamente l'inesse; ma ancor più im­portante per la natura stessa dell’accidente è di non avere in suo proprio atto d'essere ma di ri­ceverlo dalla sostanza. Ora, questo secondo elemento rimane salvo anche nel miracolo eucaristico: gli accidenti delle specie eucaristiche non hanno l'essere in proprio ma lo ricevono direttamente da Dio (cfr. IV Sent., d. 12, q. 1, a. 1, sol. 1 ad 1).

 

    (Vedi: SOSTANZA, TRANSUSTANZIAZIONE)

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