Deriva,
secondo i filologi, o dal greco anaigma,
senza sangue, o da anemos, soffio,
vento. Il termine universalmente significa il principio primo dell'attività di
tutti gli esseri viventi, anche se con particolare riferimento all'uomo.
I
problemi maggiormente dibattuti intorno all'anima umana sono quattro e
riguardano la sua natura, la sua origine, i suoi rapporti col corpo e la sua
sopravvivenza dopo la morte del corpo. Tutti questi problemi erano già stati
vivacemente dibattuti dalla filosofia classica, la quale anche su questo punto
come su tutti gli altri aveva visto Platone e Aristotele attestarsi su posizioni
antitetiche, lungo tutta la linea. Così, riguardo alla natura, per Platone
l'anima è tutta di natura spirituale; mentre per Aristotele è sicuramente di
natura spirituale soltanto la funzione dell'intelletto agente; altrettanto vale
per la sopravvivenza dopo la morte: per Platone è tutta l'anima che è
immortale e che fa ritorno al mondo delle Idee; invece per Aristotele di
sicuramente divina e immortale c'è soltanto la funzione dell'intelletto agente.
Quanto
ai rapporti col corpo, secondo Platone l'anima è unita al corpo soltanto
accidentalmente: il corpo è la sua prigione, il luogo di espiazione delle sue
colpe; secondo Aristotele anima e corpo costituiscono un'unica sostanza e sono
pertanto indissolubili: sono uniti tra loro sostanzialmente. Infine per quanto
concerne l'origine, secondo Platone l'anima ha origine fuori dal corpo e prima
del corpo; secondo Aristotele l'anima ha origine insieme al corpo, anzi, essa
viene immessa nel corpo soltanto dopo che questo ha già conseguito una
sufficiente strutturazione (quindi dopo il 40° giorno dal concepimento).
La
filosofia cristiana sin dai tempi di Clemente e Origene (III secolo) trovò
particolarmente congeniale con il messaggio biblico la posizione di Platone e la
assunse praticamente in blocco (includendo talvolta persino la tesi dell'origine
dell'anima prima del corpo). Più tardi Agostino convalidò la dottrina
platonica con tutto il peso della sua autorità. Ai tempi di San Tommaso il
mondo filosofico e teologico cristiano era ancora tutto schierato con Agostino e
guardava con grande diffidenza al pensiero di Aristotele che da poco tempo aveva
fatto la sua comparsa nelle università di
Parigi, Oxford, Cambridge, Napoli, Salerno, Bologna ecc.. E la diffidenza era
tanto più giustificata in quanto Aristotele era entrato nel mondo latino
attraverso i commenti di Averroè, che avevano reso ancora pin arduo il dialogo
tra il pensiero aristotelico e le dottrine del cristianesimo.
Con
notevole ardire San Tommaso si distaccò dalla linea dell’agostinismo e del
platonismo e si schierò apertamente per Aristotele, sicuro della bontà
sostanziale del suo pensiero; per affrancarlo dai pesanti sospetti causati
dall’ ermeneutica averroistica si assunse il pesantissimo onere di commentare
personalmente da capo a fondo tutte le opere principali dello Stagirita. Così
l’Aquinate riuscì a dimostrare che in tutte le questioni fondamentali della
metafisica, della teologia e dell’ antropologia Aristotele era meno lontano
dal cristianesimo di quanto si era soliti pensare.
Eppure,
per quanto riguarda l’anima, quanto propone San Tommaso non è per nulla una
semplice fotocopia delle dottrine aristoteliche, ma presenta, come vedremo,
sostanziali novità e preziosi arricchimenti.
1.
NATURA DELL' ANIMA
L’anima è di
natura immateriale, cioè spirituale. Però la spiritualità dell’anima non è
evidente: per scoprirla non basta la semplice autocoscienza, l'introspezione,
come pretendevano gli agostiniani. Secondo San Tommaso ci vuole una "di1igens
et subtilis inquisitio" (I, q. 87, a. 1); occorre dimostrarla. Punto di
partenza della indagine (inqusitio)
sono le operazioni dell’anima, infatti "eo
modo aliquid operatur quo est"
(il modo di operare di una cosa corrisponde al suo modo di essere). Ora,
"il principio intellettivo, chiamato mente o intelletto, ha un’attività
sua propria in cui non entra il corpo. Ma niente può operare per se stesso, se
non sussiste per se stesso. L'operazione infatti non compete che all’ente in
atto; tanto è vero che le cose operano conforme al loro modo di esistere. Per
questo non diciamo che il calore
riscalda; chi riscalda è la sostanza calda (calidum).
Rimane dunque dimostrato che l’anima umana, la quale viene chiamata mente o
intelletto, è un essere incorporeo e sussistente" (1, q. 75, a. 2).
Però San Tommaso
sa che anche le operazioni più squisitamente spirituali dell’anima, come la
conoscenza intellettiva e il libero arbitrio, non sono esenti da qualche legame
con la materia. Ma, a suo giudizio, ciò non compromette l’intrinseca
spiritualità dell’anima, perché la sua dipendenza dal corpo non è
"soggettiva" (non tocca l’ordine della causalità efficiente) ma
"oggettiva" (riguarda l’ordine della causalità formale). Si tratta
infatti di operazioni che "richiedono il corpo non come strumento, ma solo
come oggetto. Infatti l’intendere (intelligere)
non si attua mediante un organo corporeo, ma ha bisogno di un oggetto
corporeo" (In I De An., lect. II,
n. 19). "Si deve dire che l’intendere è operazione propria dell’anima
se si considera il principio da cui nasce l’operazione; non nasce infatti
dall’anima per mezzo di un organo corporeo come la vista mediante l’occhio;
il suo legame col corpo riguarda l’oggetto: infatti i fantasmi, che sono gli
oggetti dell’intelletto, senza il concorso degli organi corporei non possono
esistere" (De An. 1. ad 12).
Talvolta per
provare la spiritualità (incorporeità) dell'anima, oltre che sulle singole
operazioni dell’intelletto e della volontà, San Tommaso fa leva su un altro
importante fenomeno, quello dell’autotrascendenza: la tensione verso
l’infinito di tutto l’agire umano preso globalmente. "L’anima
razionale possiede una certa infinità (infinitatem)
sia da parte dell’intelletto agente, con cui può fare tutto (omnia facere), sia da parte dell’intelletto possibile con cui può
diventare tutto (omnia fieri) (...) e
questo è argomento evidente della immaterialità dell’anima, perché tutte le
forme materiali sono finite" (II Sent.,
d. 8, q. 2, a. 2, ad 2).
2. PROPRIETA'
DELL'ANIMA
Della prima e
massima proprietà dell’anima umana, la spiritualità, la quale costituisce la
sua differenza specifica, in quanto
la distingue essenzialmente dalle anime inferiori (vegetale e animale) s’è già
detto. Un' altra proprietà che conta moltissimo soprattutto nella prospettiva
tomistica, è la sostanzialità. La
dimostrazione di questa proprietà consente a S. Tommaso di uscire dalle
incertezze e ambiguità dell’antropologia aristotelica. A questo proposito
l’Aquinate, nel De Anima,
che è la trattazione più profonda e completa che ha dedicato a questo
argomento, ricorda due tesi che giudica inammissibili: sono le tesi estreme dei
materialisti da una parte, che non riconoscono all’anima alcun carattere
sostanziale ma la equiparano alle altre forme naturali, e le tesi dei platonici
dall’altra, i quali non si accontentano di affermare che l’anima è una
sostanza, ma vogliono che basti da sola a definire la realtà umana, senza alcun
riferimento al corpo. Contro i materialisti gli è sufficiente ribadire quanto
abbiamo già riferito a sostegno della spiritualità: è necessario che
l’anima intellettiva agisca per conto proprio, avendo un’operazione propria
senza l’aiuto di un organo corporeo. E poiché ciascuno agisce in quanto in
atto, occorre che l'anima intellettiva abbia l’essere per sé non dipendente
dal corpo (oportet quod anima intellectiva
habeat esse per se absolutum non
dependens a corpore)" (1, resp.).
Tuttavia, pur
affermando la sostanzialità dell’anima, San Tommaso non intende passare dalla
parte dei platonici (gli agostiniani) che identificavano l’essere dell’anima
con l’essere dell’uomo. L’Aquinate fa vedere che l'anima non fa specie a sé
e che pertanto da sola non esaurisce la realtà umana: "Occorre perciò
concludere che l’anima, pur potendo sussistere per sé (per se potens subsistere)
non è tale da formare una specie completa, ma entra nella specie umana come
forma del corpo. Così.si può dire dell’anima sia che è forma sia che è
sostanza" (ibid.).
Rispondendo
a una obiezione che riguarda la composizione ontologica dell’anima San Tommaso
fa l’importante precisazione che l’anima, come gli angeli, pur essendo
semplice, spirituale e dotata di un proprio atto d’essere, è anch’essa
soggetta alla differenza ontologica che distingue ogni realtà finita
dall'Essere sussistente: anche l’anima è composta di essenza e atto
d’essere, e di conseguenza è composta di atto e di potenza, infatti "la
sostanza dell’anima non è il suo essere, ma si rapporta a esso come la
potenza all’atto" (ipsa substantia animae non est suum esse, sed comparatur ad ipsum ut
potentia ad actum) (De An. 1, ad
6).
3. UNIONE
SOSTANZIALE DELL' ANIMA COL CORPO
Messe al sicuro
le due verità capitali della spiritualità e della sostanzialità dell’anima,
San Tommaso non incontra più nessuna difficoltà a far sua la tesi aristotelica
dell’unione sostanziale dell’anima col corpo, e per dare espressione a
questa verità fa suo il linguaggio ilemorfistico assegnando all’anima il
ruolo di forma sostanziale e al corpo il ruolo di materia: “L’anima è ciò
per cui il corpo umano possiede l’essere in atto e questo è proprio della
forma. Perciò l’anima umana è forma del corpo” (De
An.1, resp.; cfr. ad 7).
A
sostegno dell’unione sostanziale San Tommaso adduce due argomenti che hanno
notevole peso anche a livello empirico. 1) L’unione dell’anima col corpo non
può essere accidentale perché quando l’anima scompare, nel corpo non rimane
più nulla di umano se non l’apparenza. “Perciò se l’anima fosse nel
corpo come il marinaio nella nave, non conferirebbe la specie al corpo né alle
sue parti; invece la dà; prova ne sia che, recedendo l’anima, le singole
parti non mantengono che in modo equivoco il nome primitivo. Es.: il nome
“occhio", parlando di quello di un morto, è equivoco, come quello
scolpito sulla pietra o dipinto; cosi dicasi delle altre parti” (De
An. 1, resp.). 2) L’unione col corpo giova all’anima stessa sia
nell’ordine dell’essere sia in quello dell’agire: “L’anima è unita al
corpo per la sua perfezione sostanziale, cioè per completare la specie umana, e
anche per la perfezione accidentale, per perfezionare cioè la conoscenza
intellettiva che l’anima acquisisce attraverso i sensi; infatti questo modo di
intendere è connaturale all’uomo” (De
An. 1, ad 7).
Facendo
dell’anima la forma e l’unica forma sostanziale del corpo San Tommaso può
disfarsi della teoria insegnata da Platone e largamente condivisa dai suoi
contemporanei, della molteplicità delle anime. Nell’uomo si dà una sola
anima, quella razionale, che svolge anche le operazioni delle anime inferiori,
vegetativa e sensitiva. “Essendo l’anima forma sostanziale, che costituisce
l’uomo in una definitiva specie di sostanza, non c’è un’altra forma
sostanziale intermedia tra l’anima e la materia prima, ma l’uomo dalla
stessa anima razionale è perfezionato secondo i diversi gradi di perfezione, in
modo da essere corpo, corpo animato e anima razionale” (De An., a. 9). L’anima razionale in quanto forma più perfetta è
in grado di assolvere anche le funzioni espletate dalle forme (anime) meno
perfette. Infatti “pur essendo semplice quanto all’essenza, l’anima è
potenzialmente molteplice in quanto
è principio di svariate operazioni; e poiché la forma perfeziona la materia in
ordine non solo all’essere ma anche all’agire, è necessario che l’anima,
benché sia forma unica, perfezioni le parti del corpo in svariati modi, come
conviene a ogni singola operazione” (De
An. 9, ad 14).
San Tommaso riconduce tutta la vasta gamma dell’agire dell’anima
razionale a due facoltà principali: l’intelletto
e la volontà: il primo presiede al
mondo del conoscere, la seconda al mondo del volere, dello scegliere e del
desiderare.
All’intelletto spetta anche la memoria,
perché quando esso si è impossessato di un’idea, può ritornarvi sopra e
conservarla più tenacemente della memoria sensitiva.
Tale memoria intellettiva non
è una potenza distinta dall’intelletto, non essendovi diversità di oggetto,
ma è funzione conservativa dell’intelletto che si è impossessato delle idee
(I, q.79, aa.6-7). Nemmeno la ragione
è una potenza diversa dall’intelletto, ma è un’altra funzione
dell’intelletto, il quale nell’uomo non attinge gli oggetti intuitivamente,
immediatamente, ma argomentando, gradatamente (I, q. 79, a. 8). Né sono due
diverse potenze l’intelletto speculativo e l’intelletto pratico, che però
si distinguono secondoché dell’uno è proprio l’apprendere, dell’altro è
proprio l’indirizzare all’opera ciò che è appreso (I, q. 79, a. 11).
La volontà è la facoltà con
cui l’uomo tende al bene, e in definitiva al bene universale, perché solo
questo bene la può appagare
pienamente (I, q. 82, a.11). Alla volontà appartiene il libero
arbitrio, grazie al quale essa è padrona dei propri atti e anche degli atti
compiuti dalle altre facoltà.
La volontà è libera perché l’uomo è dotato di intelletto
e ragione, che gli fanno conoscere il grado di bontà degli obiettivi che
intende perseguire e, dato che in concreto nessun obiettivo corrisponde al bene
universale ma resta sempre un bene particolare, egli può sempre disporne
liberamente.
“La ragione, scrive San Tommaso, in tutti i beni particolari può
osservare l’aspetto buono oppure le sue deficienze di bene, che si presentano
come un male; e in base a ciò può
apprendere ciascuno di tali beni come degno di elezione o di fuga” (I-II, q.
13, a. 6).
Il libero arbitrio sta alla volontà come la ragione sta
all’intelletto, perché come intelletto è l’intendere semplicemente e
ragione è l’intendere con ragionamento, così volontà è volere
semplicemente, libero arbitrio è volere con scelta; perciò come la ragione non
è una potenza dell’intelletto, così il libero arbitrio non è una potenza
diversa dalla volontà (I, q. 83, a. 4).
Sulle due facoltà primarie, intelletto e volontà, San Tommaso innesta
tutta una serie di abiti (virtù e vizi) che qualificano l’agire spirituale
dell’anima in svariati modi. I principali abiti intellettivi sono la scienza e
la sapienza; mentre i principali abiti morali sono le virtù cardinali.
Sul problema dell’origine dell’anima umana si era
concentrato per tutta la vita Sant’Agostino senza venirne mai a capo. Le
ipotesi da cui era partito erano quattro: preesistenza, origine per discendenza
(traducianesimo), origine per caduta, creazione individuale. Alla fine restò
con due (traducianesimo e creazione individuale) ma senza riuscire a fare una
scelta definitiva. Scrive Agostino nelle Ritrattazioni
(1, 1): “Per quello che riguarda l’origine dell’anima, sapevo che era
stata fatta per essere unita al corpo, ma non sapevo allora (al tempo della
composizione del Contra Academicos)
come non so adesso, se essa discenda dal primo uomo oppure se continuamente
venga creata singolarmente per ciascun individuo".
Ai tempi di San Tommaso la questione era stata definitivamente risolta a
favore della creazione diretta di ogni singola anima da parte di Dio. Questa è
anche la tesi dell’Aquinate il quale dimostra che è la natura spirituale
dell’anima stessa a esigere che la sua origine sia dovuta a un intervento
diretto di Dio. Infatti l’anima non può essere prodotta da preesistente
sostanza materiale essendole superiore; né può essere prodotta da preesistente
sostanza spirituale, perché le sostanze spirituali non si trasmutano l’una
nell’altra; perciò dev’essere prodotta dal niente, cioè creata, e poiché
creare spetta a Dio solo, dev’essere creata immediatamente da Dio; e inoltre,
essendo parte dell’umana natura, viene creata insieme col corpo (I, q. 90, aa.
2-3).
6.
CONDIZIONE DELL’ANIMA PRIMA E DOPO IL PECCATO
Sin qui s’è parlato dell’anima umana dal punto di vista filosofico e
metafisico, non dal punto di vista storico e teologico. San Tommaso, da teologo,
si occupa ovviamente anche delle condizioni dell’anima prima e dopo il peccato
di Adamo. L’anima di Adamo, prima del peccato, godeva di alcuni doni
soprannaturali (grazia santificante) e preternaturali (piena conoscenza delle
cose naturali, dominio delle passioni, dominio delle altre cose, possesso di
tutte le virtù). Nel primo uomo c’era la soggezione del corpo all’anima,
delle forze inferiori alla ragione e della ragione a Dio (I, qq. 94-96). Dopo il
peccato originale l’anima di Adamo, oltre che la perdita della grazia
santificante, ha accusato anche la perdita di tutti i doni preternaturali, nonché
un indebolimento delle sue facoltà naturali, a causa dello scompiglio delle
forze inferiori del corpo (II-II, q. 164).
7. IMMORTALITA'
DELL’ANIMA
Per i contemporanei di San Tommaso che seguivano l’indirizzo
platonico-agostiniano, l’immortalità dell’anima non costituiva un vero
problema, giacché nella loro antropologia l’anima era concepita come una
sostanza spirituale completa e, di conseguenza, esente da tutte le vicissitudini
del corpo, inclusa la morte. Il problema della immortalità dell’anima
sussisteva invece per coloro che avessero voluto sposare le teorie di
Aristotele, in particolare nella versione che ne aveva dato Averroè, il quale
aveva negato l’immortalità personale.
San Tommaso, come s’è visto, fa sue le linee fondamentali
dell’antropologia aristotelica, senza peraltro compromettere la tesi della
immortalità dell’anima. L’argomento principale che l’anima è
incorruttibile e pertanto immortale lo ricava dallo statuto ontologico peculiare
che compete a essa in quanto forma del corpo, statuto che le conviene in quanto
possiede l’atto dell’essere (actus
essendi) in proprio, direttamente, senza dipendere dal corpo. Infatti,
osserva l’Aquinate, si danno due tipi di forme sostanziali:
1) forme alle quali l’essere sopravviene nel momento in cui si
costituisce il composto;
2)
forme
alle quali l’atto dell’essere compete ancor prima che si realizzi il
composto.
Le prime sono
corruttibili; le seconde incorruttibili: “Si
ergo sit aliqua forma quae sit habens esse, necesse est illam formam incorruptibilem esse” (De
An., a. 14). E tale è precisamente il caso dell’anima umana. Infatti
“non si separa l’essere da una cosa avente l’essere (non
separatur esse ab aliquo habente esse),
se non in quanto si separa la forma da essa; pertanto se ciò che ha l’essere
è la stessa forma, è impossibile che l’essere sia separato da essa. Ora è
manifesto che il principio per cui l’uomo svolge l’attività intellettiva è
forma avente l’essere in sé e non solo come ciò per cui una cosa è (...).
Dunque il principio intellettivo per cui l’uomo intende è forma avente
l’essere in proprio; onde è necessario che sia incorruttibile" (ibid.).
Cadono pertanto le difficoltà di coloro che vogliono che l’anima sia mortale
se è unita sostanzialmente al corpo. In effetti gli assertori della
corruttibilità dell’anima dimenticano alcune cose già provate in precedenza.
“Alcuni identificando l’anima col corpo negarono addirittura che essa sia
forma e ne fecero un composto di materia e forma. Altri, sostenendo che
l’intelletto non differisce dal senso, di conseguenza ammisero che anche la
sua attività si svolge mediante un organo corporeo, e così non avrebbe
l’essere elevato sopra la materia, onde non sarebbe forma avente l’essere
(in proprio). Infine altri ancora, considerando l’intelletto una sostanza
separata, esclusero che l’attività intellettiva appartenga all’anima
stessa. Ma tutte queste teorie sono false, come abbiamo già mostrato in
precedenza. Perciò l’anima umana è incorruttibile” (ibid.).
L’immortalità dell’anima è dote naturale essenziale, diretta
conseguenza della sua spiritualità, pertanto non può essere intaccata dal
peccato originale. Infatti, “il peccato toglie totalmente la grazia, ma nulla
rimuove dell’essenza della cosa; rimuove qualcosa circa l’inclinazione a
capacità della grazia. (...) Ma non è mai tolto il bene di natura, perché
sotto disposizioni contrarie rimane sempre la potenza, benché si allontani
sempre più dall’atto. (De Anima 14,
ad 16).
Neppure Dio, che pure ha il potere di ridurre al nulla tutto ciò che ha
condotto all’essere, priva l’anima dell’immortalità annichilendola, perché
Dio nel suo sapiente governo delle cose non va mai contro le disposizioni
naturali di cui le ha dotate (De Anima
14, ad l8; C.G., II, c. 55; I, q. 104. a. 4).
La studio di San Tommaso sull’anima è certamente tra i più completi e
robusti che siano mai stati compiuti. Le sue tesi filosofiche hanno doppio
valore, storico e teoretico. Hanno anzitutto valore storico perché sono state
avanzate con grande coraggio in un momento in cui sarebbe stato molto più
comodo sfuggire ai pericoli dell’averroismo rifugiandosi nelle tradizionali
tesi dell’agostinismo. San Tommaso non ha proposto le sue tesi né le ha
tenacemente difese per amore di novità, ma perché le trovava molto più
rispondenti alla verità che non le facili soluzioni degli agostinismi
platonizzanti.
Ma in San Tommaso queste tesi assumono anche un alto valore teoretico,
perché sono basate su un fondamento razionale nuovo, più solido di quello su
cui le aveva poggiate Aristotele; esse hanno per fondamento la sua originale
concezione dell’essere, l’essere concepito intensivamente, come ciò che “immediatius
et intimius convenit rebus” (De An.,
a. 9): l’essere è atto immediato e diretto dell’anima ancor prima che
questa se ne faccia mediatrice al corpo: “anima
humana esse suum in quo subsistit corpori communicat” (l’anima comunica
al corpo l’essere in cui essa stessa sussiste) (De
An. 14, ad 11).
Così, San Tommaso, attingendo alle enormi risorse della sua metafisica
dell’essere, supera le prospettive antropologiche di Platone e di Aristotele,
di Agostino e di Averroè, prospettive apparentemente inconciliabili, e le
unisce in una prospettiva superiore in cui l’empirismo di Aristotele e Averroè
si sposa felicemente con l’idealismo di Platone e Agostino.
(Vedi,
UOMO, ANTROPOLOGIA, CORPO, IMMORTALITA’, LIBERTA’, INTELLETT0)
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