Bellezza/Bello
Designa
tutto ciò che suscita nell’uomo il sentimento dell’ammirazione. S.Tommaso
afferma: "pulchra dicuntur quae visa
placent, belle sono dette
quelle cose che viste destano placere"
(I, q. 5, a. 4, ad 1).
Platone
aveva già elevato la bellezza al vertice delle cose (cfr. Convito e Fedro). Lo
stesso posto di privilegio continua a occupare presso i neoplatonici, S.
Agostino e lo Pseudo-Dionigi.
In S.Tommaso la bellezza fa la figura del "trascendentale
dimenticato" (E. Gilson). Tutto quello che ha detto l’Angelico lo si può
raccogliere in una pagina. Quel che è peggio è che nei pochi riferimenti
frammentari a questa perfezione, egli mostra una certa tendenza a
considerarla come una proprietà materiale: è lo splendor
formae che colpisce i sensi (dr. I-II, q. 27, a. 1, ad 3). Però
un’interpretazione di S.Tommaso in questo senso è sicuramente errata,
perché altrove egli afferma esplicitamente che oltre che nel mondo fisico la
bellezza si realizza anche nel mondo spirituale, anzi soprattutto nel mondo
spirituale (cfr. II-II, q. 145, a. 2), in quanto "tutte le cose derivano il
loro essere dalla bellezza divina" (I, q. 39, a. 8; cfr. In Div. Nom. IV,
lect. 5, nn. 340, 346, 349).
1. ESSENZA DELLA BELLEZZA
Come le altre proprietà trascendentali dell’essere anche la bellezza
consiste essenzialmente in una relazione: una relazione di convenienza o di
sintonia tra un aspetto dell’ essere e la facoltà di una creatura intelligente
(l’uomo, l’angelo, Dio). S.Tommaso chiarisce bene la natura della verità,
dicendo che è una corrispondenza della mente (della conoscenza) con la realtà,
e altrettanto bene la natura della bontà, dicendo che è una corrispondenza
tra la volontà e l’oggetto amato. Ma egli non fa altrettanto per la natura
della bellezza. Dalla definizione (quae
visa placent) pare che essa interessi specialmente la facoltà
conoscitiva, tuttavia lo stesso S.Tommaso precisa che la bellezza non coincide né
con la bontà né con la verità. Non coincide con la verità, anche se
interessa la conoscenza, perché nella verità ciò che conta è
l’apprensione, la cognizione, la intuizione della cosa, invece nella bellezza
ciò che conta è il godimento, il piacere, l’ammirazione. Ne coincide con la
bontà, perché in questa ciò che conta è il possesso, mentre nella bellezza
questo è escluso. Certo, realmente la bellezza coincide con la verità e con la bontà, ma concettualmente
(ratione) è distinta. "Il bello realmente è identico al bene,
però concettualmente è distinto da esso (pulchrum
est idem bono, sola ratione differens). Infatti, mentre il bene è "ciò
che tutte le cose bramano” e implica l’acquietarsi in esso dell’appetito,
il bello implica invece l’acquietarsi dell’appetito alla sua sola vista o
conoscenza. Difatti riguardano il bello quei sensi che sono maggiormente
conoscitivi, cioè la vista e l’udito, a servizio della ragione: e così
parliamo di cose belle a vedersi o a udirsi. Invece per l’oggetto degli altri
sensi non si usa parlare di bellezza: infatti non diciamo che sono belli i
sapori o gli odori. E' perciò evidente che il bello aggiunge al bene una
relazione con la facoltà conoscitiva (ordinem
ad vim cognoscitivam); cosicché si chiama bene ciò che è gradevole all’appetito;
mentre si chiama bello ciò che è gradevole alla conoscenza" (I-II, q. 27,
a. 1, ad 3; cfr. I, q. 5, a. 4, ad 1).
2. ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA BELLEZZA
Tre sono gli elementi costitutivi della bellezza: l'integrità, la
proporzione e lo splendore (claritas):
"Per la bellezza si richiedono tre elementi: in primo luogo l’integrità
o perfezione (integritas sive perfectio),
poiché le cose incomplete, proprio in quanto tali, sono deformi. Quindi si
esige la dovuta proporzione o armonia (debita
proportio sive consonantia) tra le parti. Infine chiarezza o splendore (claritas):
difatti diciamo belle le cose dai colori nitidi e splendenti" (I, q. 39, a.
8). Dei tre elementi il primo generalmente è dato per scontato, e per questo
motivo molto spesso parlando della bellezza S.Tommaso si limita a menzionare gli
altri due (la proportio o consonantia e la
claritas), insistendo maggiormente sul primo, cioè la giusta proporzione.
3.
DIVISIONE
Ci sono due generi di bellezza, fisica e spirituale: La prima è la
bellezza del corpo, La seconda e la bellezza dell’anima e dello spirito.
"La bellezza del corpo consiste nell’avere le membra ben proporzionate,
con la luminosità del colore dovuto. La bellezza spirituale consiste nel fatto
che il comportamento e gli atti di una persona sono ben proporzionati secondo la
luce della ragione" (II-II, q. 145, a. 2). "Perciò la bellezza si
predica analogicamente (proportionaliter),
infatti ogni cosa si dice bella in quanto possiede un proprio splendore o
spirituale o corporeo, ed è costituita secondo la proporzione dovuta"
(In Div. Nom, IV, lect. 5, n. 339).
4.
FONDAMENTO ONTOLOGICO
Come negli altri trascendentali, anche nella bellezza l’Aquinate
distingue due piani ontologici: quello della bellezza misurante
(la bellezza divina) e quello della bellezza misurata
(la bellezza delle creature). Quest’ultima viene distribuita da Dio alle
singole creature secondo un determinato ordine e misura. La bellezza
appartiene anzitutto a Dio e in lui si identifica col suo essere. Infatti
"Dio non è bello soltanto secondo una parte, oppure per un determinato
tempo o luogo; infatti, ciò che appartiene a qualcuno per se stesso e
primariamente (secundum se et primo),
gli appartiene totalmente, sempre e dovunque. Pertanto Dio è bello in se
stesso e non sotto un particolare aspetto, e quindi non si può dire che è
bello rispetto a qualcosa e non bello rispetto a un’altra cosa, né che è
bello per alcuni e non bello per altri; ma è bello sempre e uniformemente,
escludendo qualsiasi difetto di bellezza, a partire dalla mutabilità, che è il
primo difetto, (In Div. Nom., IV, lect. 5, n. 346). Dio è la sorgente e la
causa della bellezza presente nelle creature. Dio è pulcrifico: fa belle le
cose, elargendo loro la sua luce e il suo fulgore: "Le sue elargizioni
sono pulcrifiche (istae traditiones sunt
pulchrificae), ossia donano la bellezza alle cose" (in Div. Nom., IV,
Lect. 5, n. 340).
In conclusione, si può giustamente lamentare che S.Tommaso non dedica
alla bellezza la stessa attenzione che riserva ai trascendentali dell’unità,
della verità e della bontà. Tuttavia dalle sue indicazioni frammentarie si può
ricostruire un quadro abbastanza articolato, chiaro e definito, da cui risulta
che la bellezza è una proprietà trascendentale dell’essere, distinta dalla
verità e dalla bontà: è presente universalmente ma si predica analogicamente,
prima di Dio e poi delle creature; ha come sorgente ultima e universale Dio,
il quale però la elargisce anche alle sue creature, e compie questo in due
modi: facendole belle e donando ad alcune di esse il potere di produrre cose
belle. L’unico punto che rimane oscuro nella spiegazione tomistica riguarda la
facoltà estetica: S.Tommaso assegna la bellezza alla facoltà conoscitiva,
anzitutto ai sensi della vista e dell’udito, e quindi alla ragione, ma non
spiega in che modo la relazione estetica differisce dalla relazione meramente
noetica. S.Tommaso sembra dire che la differenza sta nel godimento suscitato
dalla vista (sensitiva o intellettiva) di una cosa o di una verità. Ma questo
certamente non basta per definire la relazione estetica. La risposta primaria
che il soggetto esprime davanti alla bellezza non è il piacere, bensì
l’ammirazione, e l’ammirazione non coincide né con la cognizione (del
vero) né con l’appetizione (del bene), né col piacere.
(Vedi, TRASCENDENTALI,
BONTA', VERITA')
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