Bene (ontologico)
E’
un aspetto fondamentale dell’essere ed è l’oggetto proprio della volontà.
S. Tommaso lo definisce come “conformità dell’ente con la facoltà
appetitivi” (convenientiam entis ad
appetitum exprimit hoc nomen bonum), come si legge all’inizio
dell’Etica: “Il bene è ciò che tutti desiderano” (De
Ver., q. I, a. 1). Però, precisa lo stesso S. Tommaso, la definizione
“il bene è ciò che tutti desiderano” non va presa nel senso che qualunque
bene sia da tutti desiderato, ma nel senso che tutto ciò che è desiderato ha
ragione di bene” (I, q. 6, a. 2, ad 2).
1.
PROPRIETA’ TRASCENDENTALE
Considerato
come aspetto fondamentale dell’essere il bene è un trascendentale. S. Tommaso
non manca mai di includerlo nella lista dei trascendentali, assieme all’unum,
al verum, alla res e all’aliquid.
La dottrina tomistica della bontà trascendentale ricalca da vicino quella
della verità ontologica. In entrambi i casi si tratta di una relazione logica,
fondata nella realtà delle cose. La verità è la conformità fra l’ente e
l’intelletto e dice quindi l’intelligibilità dell’ente, invece la bontà
è la conformità fra l’ente e la volontà e dice la desiderabilità o
appetibilità dell’ente. Come ogni trascendentale, anche la bontà è una
caratteristica dell’ente da cui differisce soltanto logicamente, non
realmente: “bene e l’ente si identificano secondo la realtà, ma
differiscono secondo il concetto. Eccone la dimostrazione. La ragione di bene
consiste in questo, che una cosa sia desiderabile. Infatti Aristotele dice che
“il bene è
ciò che tutti desiderano”. Ora è
chiaro che una cosa è desiderabile nella misura in cui è perfetta, infatti
ogni cosa tende alla propria perfezione. Ma una cosa è perfetta in quanto è
in atto, e così è evidente che
una cosa tanto è buona quanto è
ente; l’essere infatti è l’attualità d’ogni cosa. E così si dimostra
che il bene e l’ente si identificano realmente; ma il bene esprime il concetto
di appetibilità, non espressa dalla nozione di ente” (I, q. 5
a. 1).
2.
BONTA’ ESSENZIALE E ACCIDENTALE
Nella
bontà, come pure nella verità, S. Tommaso distingue tra bontà ontologica
essenziale e bontà ontologica accidentale. La prima riguarda l’ente in
quanto è oggetto della volontà divina, ed è una relazione essenziale perché
senza di essa l’ente sparisce. E’ Dio infatti che, per amore, pone in atto
ogni ente. La seconda riguarda l’ente in quanto è oggetto della volontà
umana o di qualche altro essere intelligente creato; è accidentale perché
l’essere e la bontà dell’ente non dipendono dalla nostra appetizione, ma
ne sono anzi presupposti. S. Tommaso dimostra che tutte le cose sono dotate
oltre che di bontà ontologica accidentale anche di bontà ontologica
essenziale. Infatti, essendo tutte frutto della volontà divina, non possono non
avere con essa un rapporto di convenienza, di appetibilità e di amore. “Dio
ama tutti gli esseri esistenti, perché tutto ciò che esiste in quanto esiste
è buono; infatti l’essere di ciascuna cosa è un bene, come è un bene del
resto ogni perfezione. Ora la volontà di Dio è causa di tutte le cose e per
conseguenza ogni ente ha tanto di essere e di bene nella misura in cui è
oggetto della volontà di Dio. Dunque a ogni essere esistente Dio vuole bene.
Perciò, siccome amare vuol dire volere a uno del bene, è evidente che Dio
ama tutte le cose esistenti. Dio, però, non ama come noi. La nostra volontà
infatti non causa il bene che si trova nelle cose, al contrario è
mossa da esso come dal proprio oggetto. Quindi il nostro amore, col quale
vogliamo del bene a qualcuno, non è causa
della bontà di costui, ma anzi la di lui bontà, vera o supposta, provoca
l’amore il quale ci spinge a volere che gli sia mantenuto il bene che possiede
e acquisti quello che non ha, e ci adoperiamo a tale scopo. L’amore di Dio
invece infonde e crea la bontà nelle cose” (I, q. 20. a. 2. Cfr. i testi
paralleli:II Sent., d. 26, q. 1; C. G. I,
c. 111; De Ver., q. 27, a. 1; In
Ioan.,5, lect. 3).
3. EREDITA’ PLATONICA E ARISTOTELICA
Nell’analisi della bontà ontologica S.
Tommaso è maggiormente debitore a Platone che ad
Aristotele. Quest’ultimo infatti ammette si che Dio è il supremo bene attorno
al quale gravita tutto l’universo, ma per Dio stesso le cose non sono buone,
in quanto egli né le conosce, né le vuole né le crea. Invece secondo
Platone le cose sono buone anche per il Demiurgo perché questi è sommamente
buono e l’effusione della propria bontà costituisce l’unica ragione della
realizzazione delle cose (cfr. Timeo 28).
Però S. Tommaso sottoscrive l’insegnamento di Platone solo in parte, in
quanto dice che le cose sono buone perché partecipano alla bontà del Demiurgo,
Dio. Per il resto lo rinnova profondamente facendo fare alla bontà un bagno
salutare nelle acque del suo concetto intensivo di essere. Da questo bagno la
dottrina della bontà esce trasformata su due punti importanti: 1) la bontà a
cui le cose partecipano non è l’Idea ma Dio stesso; 2) la bontà non
costituisce il fondamento ultimo della realtà né nelle cose né in Dio stesso;
essa rimanda a un principio superiore, all’essere stesso, che è la perfezione
suprema e primordiale, di cui la bontà non dice che un aspetto: quello di
esser appetibile dalla volontà e di appagarla.
(V. TRASCENDENTALE, VOLONTA’, DIO)
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