Carità
Nella
religione cristiana il termine indica una delle tre virtù teologali, insieme
alla fede e alla speranza. Essa viene esaltata come virtù primaria del
cristiano, perché lo stesso Dio è carità (1 Gv 4, 16) e, come afferma S.
Paolo, "la carità non avrà mai fine; le profezie scompariranno, il dono
delle lingue cesserà (...). Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede,
la speranza la carità; ma di tutte più grande e la carità" (1 Cor 13,
8.13).
Al
tema della carità, S. Tommaso dedica ampie trattazioni in vari scritti, ma in
particolare nel Commento alle Sentenze (III, dd. 27-30) e nella Somma
Teologica (II-II, qq. 23-27). Raccogliendo la ricchissima eredità dei Padri e
degli Scolastici, l’Angelico esamina accuratamente tutti gli aspetti di
questa virtù (necessità, soggetto, oggetto, gradi, eccellenza, ordine e
carità) inquadrando il bel tutto nella teoria aristotelica degli abiti (habitus) e nella psicologia della facoltà.
1. NOZIONE
La carità, insiste S. Tommaso, è un amore soprannaturale:
soprannaturale nell’origine in quanto viene suscitato in noi dallo Spirito
Santo; soprannaturale nel fine, in quanto con la carità si ama Dio come lui
ama se stesso; soprannaturale nella sua stessa natura come partecipazione
all’amore divino. Pertanto la carità non è semplicemente espressione di
qualsiasi amore (del platonico eros), bensì di quell’amore che viene acceso nel cuore
dell’uomo dalla grazia di Dio (agape).
"La carità è amicizia, ma aggiunge qualche cosa all’amicizia stessa,
ovverossia la specificazione dell’amico; perché e l’amicizia verso Dio,
che è la cosa più preziosa e più cara di tutte (caritas
est amicitia, sed aliquid addit supra ipsam, scilicet determinationem amici:
quia est amicitia ad Deum, quae omnibus pretiosior est et carior) (III
Sent., d. 27, q. 2, a. 1, ad 7).
2. NECESSITA'
Supposta
l’elevazione dell’uomo allo stato soprannaturale, per cui diviene
partecipe della stessa natura divina, la carità, che, come s’è visto, è
lo stesso amore con cui Dio ama se stesso, diventa una disposizione, una virtù
indispensabile. "Poiché la natura non può giungere alle operazioni che
costituiscono la stessa vita di Dio e la sua felicità (sunti
vita eius et beatitudo), vale a dire la visione dell’essenza divina, così
pure non può raggiungere quell’amicizia che fa convivere gli amici e li fa
comunicare in tutto; per questo motivo occorre aggiungere la carità, grazie
alla quale abbiamo l’amicizia verso Dio, amiamo Lui stesso e desideriamo
diventare simili a Lui mediante i doni spirituali nella misura in cui sono
partecipabili dagli amici suoi" (III Sent., d. 27, q. 2, a. 2, ad. 4).
3. ORIGINE
Come
s’è detto, non potendo trarre origine dalle risorse della natura umana e
dalle sue capacità, la carità sorge nel cuore dell’uomo (nell’anima,
dice S. Tommaso) per opera dello Spirito Santo: "La carità non può
trovarsi in noi per natura, né essere acquisita con le forze naturali, ma è
dovuta all’infusione dello Spirito Santo, che è l’amore del Padre e del
Figlio, e la cui partecipazione a noi offerta è precisamente la carità
creata (caritas creata) (II-II, q.
24, a. 2).
4. NATURA
Il
soggetto ultimo della carità è l’anima, ma il soggetto immediato non è
l’anima stessa, ma una sua facoltà, la volontà. Infatti La carità
perfeziona la volontà e la rende atta a esercitare un tipo di amore
(amicizia), quello verso Dio cosi come egli ama se stesso, per il quale la
volontà umana non possiede alcun potere. "L’oggetto della carità non
è un bene di ordine sensibile, ma il bene divino (bonum
divinum) che 1'intelletto soltanto può conoscere. Perciò sede della
carità non è l’appetito sensitivo, ma l’appetito intellettivo ossia La
volontà" (II-II q. 24, a. 1). S. Tommaso chiarisce ulteriormente il suo
pensiero a questo riguardo, definendo i rapporti tra la virtù della carità e
la ragione, per un verso, e il libero arbitrio, per un altro. La carità non
si innerva nel libero arbitrio bensì nella volontà stessa, anche se è
vero che il libero arbitrio non è potenza distinta dalla volontà, perché
compito del libero arbitrio è scegliere, il che non si dà nella carità.
"Ecco perché è meglio affermare che la carità, la quale ha per oggetto
il fine ultimo, risiede più nella volontà che net libero arbitrio" (II-II,
q. 24, a. 1, ad 3). Ne La carità procede dalla ragione come accade nel
normale agire della volontà. Certo "per il fatto che la carità risiede
nel volere non è estranea alla ragione. Perô la ragione non è la regola
della carità, come lo è delle virtù umane: essa viene regolata invece dalla
sapienza di Dio, che trascende La regola della ragione umana" (II-II,
q. 24, a. 1, ad 2).
5. OGGETTO
In
forza della stessa definizione della carità risulta che il suo oggetto
principale e prima-rio è Dio; poi vengono le altre creature, anzitutto
l’uomo, ma S. Tommaso include anche la natura (gli animali e le piante),
perché sono create da Dio, in quanto gli rassomigliano e perché sono da Lui
stesso amate. Quanto all’amore verso le creature inferiori l’Angelico
precisa che non può essere un amore di amicizia: "L’amicizia della
carità non è possibile verso le creature prive di ragione, perché la carità
si fonda sulla compartecipazione della beatitudine eterna, di cui la creatura
irragionevole è incapace. Tuttavia queste creature possiamo amarle come
beni da volere ad altri : poiché la carità ci fa volere che esse si
conservino a onore di Dio, e a vantaggio dell’uomo. E in tal senso anche Dio
le ama di amore di carità" (II-II, q. 25, a. 3).
6. ECCELLENZA
S.
Tommaso non si stanca mai di esaltare l’eccellenza di questa virtù e a
tal fine adduce una lunga serie di motivazioni: a) perché si può predicare
di Dio essenzialmente; non così la fede e la speranza (1 Sent., d. 17, q. 1,
expos. primae partis textus); b) perché e causa di tutta la bontà della
nostra anima: "Tota bonitas ipsius animae est ex caritate" (ibid., d. 17, q.
1, a. 1); c) perché supera tutte le altre virtù, ut motor, ut finis, ut forma: come causa motrice, come fine e come
forma (cfr. III Sent., d. 27, q. 2, a. 4, sol. 3: testo fondamentale).
"Nessuna virtù impera universalmente sopra le altre virtù tranne la
carità, che è la madre di tutte le virtù; ciò è dovuto al suo oggetto
proprio, il sommo bene" (II Sent., d. 38, q. 1, a. 2, ad 5); d) perché
è il primo principio della vita spirituale (II-II, q. 13, a. 2; q. 59, a. 4)
ed è la radice delle virtù infuse (I-II, q. 71, a. 4); e) perché è il
primo effetto della grazia santificante (II-II, q. 24, a. 12)
7.
GRADI
S. Tommaso distingue tre
gradi di carità: incipiente (in chi si allontana dal peccato); proficiente
(in chi si esercita nella virtù)e perfetta (in chi è tutto unito a Dio) (cfr.
III Sent., d. 29, q. 1, a. 8; II-II, q. 24, a. 9). Per noi si può dare una
carità perfetta in tre modi:
A) avere tutto il cuore sempre attualmente fisso in Dio, però questo
ci è possibile soltanto nell’altra vita;
B)
avere la mente occupata solo in Dio, per quanto lo concedono le necessità di
questa vita, e questo non è
comune a tutti i giusti;
C)
avere il cuore abitualmente riposto in Dio così che nulla si voglia che a Lui
sia contrario, e questo è comune a tutti i giusti (III, q. 24. a. 8).
La carità può crescere all’infinito perché è partecipazione dello
Spirito Santo, che è amore infinito, e ne è causa operatrice Dio, la cui
potenza è infinita (ibid., a. 7). La carità una volta posseduta si può
invece perdere, perché lo stato di carità (l’amore verso Dio) quaggiù
in noi è mutabile a seconda del libero arbitrio, in quanto non siamo sempre
attualmente rivolti a Dio. Di fatto la perde chi commette anche un solo
peccato mortale (II-II l, q. 24,
aa. 11-12).