Fede e
ragione
La questione del rapporti tra fede e ragione, questione sconosciuta alba
filosofia greca, ha dato luogo ad accese discussioni sin dai primi tempi del
cristianesimo. La questione è di sapere se col sopraggiungere della fede col
suo tesoro di verità e infallibilità, di quelle verità che contano
veramente in quanto producono la salvezza, la ragione conservi ancora qualche
utilità o sia invece diventata un pericolo per chi crede. Per questo problema
già prima di S. Tommaso erano state esibite, sia dai pensatori cristiani sia da
quelli arabi, tre soluzioni: antinomia, estraneità e armonia.
La
tesi dell’antinomia aveva incontrato il favore dei primi Padri della Chiesa
(Taziano e Tertulliano in particolare), i quali vedevano nella filosofia un
pericoloso nemico del cristianesimo e diffidavano i cristiani dal mendicare i
favori della ragione umana quando erano già in possesso della Verità grazie
all’insegnamento del Maestro divino. La tesi della estraneità era stata
avanzata dai discepoli di Averroè con la teoria della "doppia verità":
a loro giudizio fede e ragione non si occupano della stessa verità, ma di
verità differenti, estranee l’una all’altra. Per questo non si pone il
problema di conciliarle e armonizzarle. La terza soluzione, quella
dell’armonia, già proposta da alcuni Padri del III secolo (Giustino, Clemente
e Origene) un po’ alla volta divenne dottrina comune della Patristica e
della Scolastica. Secondo questa soluzione tra fede e ragione in linea di
principio non può esserci conflitto, in quanto la fede non fa altro che
consolidare, integrare, arricchire l’orizzonte di verità già accessibile
alla ragione. Fede e ragione sono due canali che provengono dalla medesima
sorgente, Dio; sono due forze noetiche che lavorano per lo stesso obiettivo, il
possesso della verità.
A
detta degli storici il Dottore Angelico è colui che ha dato la formulazione più
chiara, precisa e rigorosa della teoria della armonia. Ma i suoi meriti non
si riducono a questo, quanto meno in sede storica. Anzitutto perché ai suoi
tempi la dottrina dell’armonia non era più data per scontata: gli
averroisti con la teoria della doppia verità l’avevano revocata seriamente in
dubbio. In secondo luogo, perché, nella concezione agostiniana e anselmiana dei
rapporti tra fede e ragione, la ragione e la filosofia pagavano un tributo
troppo caro alla fede e alla teologia. Occorreva quindi respingere l’attacco
degli averroisti, ma allo stesso tempo era necessario riformulare la dottrina in
modo da salvaguardare i diritti della ragione e l’autonomia della ricerca
filosofica. Qui stanno i meriti e la novità di S. Tommaso per quanto concerne
il problema dei rapporti tra fede e ragione.
La
prima cosa da riconoscere, dice Tommaso con insistenza, è che fede e ragione
sono procedimenti conoscitivi differenti: la ragione accoglie una verità in
forza della sua evidenza intrinseca (mediata o immediata); la fede invece,
accetta una verità in base all’autorità della Parola di Dio. Perciò si
danno anche due tipi diversi di sapere, quello filosofico e quello teologico.
"Duplice è l’ordine delle scienze: alcune procedono da princìpi
conosciuti mediante il lume naturale della ragione, come l’aritmetica, la
geometria e simili; altre procedono da princìpi conosciuti mediante il lume
di una scienza superiore, come la teologia"(I, q. 1, a. 2). Nelle stesse
cose che riguardano Dio si registra un doppio ordine di verità: "Ve ne
sono alcune che superano ogni capacità della ragione umana, come la Trinità
insieme all’Unità di Dio; altre poi possiamo afferrarle con la ragione
naturale, come l’esistenza di Dio, la sua unità e simili verità, che anche i
filosofi dimostrano col solo lume della ragione naturale" (C. G., I, c.
3).
Con
questa distinzione metodologica tra sapere filosofico e scientifico da una parte
e sapere teologico dall’altra e l’implicita affermazione dell’autonomia
della filosofia nei confronti della teologia, Tommaso ha dato il via a quel
processo di "secolarizzazione" del sapere umano, che contribuirà non
poco allo sviluppo delle scienze sperimentali e delle scienze umane, anche se
non di rado lo stesso processo di secolarizzazione darà luogo a dolorosi
scontri tra filosofia e teologia oppure tra scienza e fede. S. Tommaso sapeva
bene che due tipi di sapere che hanno a che fare con la stessa verità, come la
filosofia e la teologia, possono entrare in conflitto, ma era convinto che si
trattasse di conflitti accidentali e superabili. In primo luogo, perché Dio è
la fonte primigenia di ogni verità, sia di fede sia di ragione. In secondo
luogo, perché "I pnincìpi radicati naturalmente nella ragione sono
talmente veri che non è nemmeno possibile pensarli come falsi; né d’altra
parte è lecito ritenere come falsa la fede, che ha avuto da Dio conferme si
evidenti. Perciò siccome il solo errore è contrario alla verità, come appare
chiaramente dalla loro definizione, è impossibile che la verità di fede sia
contraria a quei principi che la ragione conosce naturalmente" (C. G., I,
c. 7). Pertanto, se tra fede e ragione, tra filosofia e teologia affiora qualche
contrasto è segno che almeno da una parte non si e giunti alla verità, bensì
a conclusioni false oppure non necessarie.
Pur
riconoscendo l’autonomia della ragione nello studio delle cose naturali e
una sua certa competenza nella sfera religiosa, Tommaso esclude che essa sia in
grado, da sola, di penetrare nei misteri di Dio, che pure è il suo ultimo
bene. E quelle stesse verità religiose che di per sé la ragione sarebbe in
grado di ottenere da sola, di fatto è concesso solo a pochi privilegiati di
raggiungerle, e la via che conduce ad esse non è scevra di errori. Per tutti
questi motivi è sommamente conveniente che Dio stesso venga in soccorso della
ragione con la rivelazione.
Sulla necessità della fede e la convenienza della
rivelazione Tommaso si è soffermato in molte opere adducendo sostanzialmente
gli stessi argomenti. Una delle esposizioni più lucide e più sintetiche è
quella del suo Commento al De Trinitate di Boezio, che, data la brevità del
testo, vale la pena riferire integralmente. "Sebbene alla conoscenza di
alcune verità divine, scrive
Tommaso, possa giungere anche l’intelletto umano
durante la vita presente con le sole forze della ragione si da acquistare vera
scienza (ciò che di fatto a qualcuno riesce), tuttavia occorre la fede per i
cinque motivi addotti da Maimonide: 1) Per la profondità e la sottigliezza
dell’oggetto, per cui le realtà divine sono occultate al nostro intelletto.
Ora, perché l’uomo non fosse completamente sprovvisto d’ogni cognizione
di tali realtà, è stato provveduto che le conosca almeno mediante la fede.
2) Per la debolezza cui soggiace l’intelletto umano all’inizio. Infatti
esso raggiunge la perfezione solo alla fine; ma affinché non ci sia mai un
tempo in cui sia privo della cognizione di Dio, occorre la fede mediante la
quale percepisca le realtà divine sin dall’inizio. 3) Per la quantità dei
precedenti che occorrono per arrivare alla conoscenza di Dio mediante la
ragione. Si esige infatti un sapere pressoché universale, perché la conoscenza
di Dio sta alla fine di tutto. Ora sono ben pochi coloro che sono in grado di
giungere fino a questo punto. Quindi la conoscenza di Dio viene somministrata
dalla fede, affinché la maggior parte degli uomini non ne resti affatto priva.
4) Perché molti, data la loro costituzione fisica, sono incapaci di raggiungere
una perfetta conoscenza mediante la ragione e ci riescono solo mediante la fede.
Per questo, affinché non ne restino privi, viene loro concessa la fede. 5) Per
le molte occupazioni alle quali gli uomini devono accudire. Esse fanno si che
a molti diventi impossibile acquistare di Dio la scienza necessaria mediante
la ragione; perciò è stata messa a loro disposizione la via della fede affinché
quelle cose che da alcuni sono conosciute da altri siano credute"(in De
Trin., lect. I, q. 1, a. 1; cfr. I, q. 1, a. 1; II-II, q. 2, a. 4; De Ver., q.
14, a. 10).
Ma
non è soltanto la fede che è di valido aiuto alla ragione. A suo modo e con i
suoi mezzi pur fragili anche la ragione può fare qualche cosa di importante per
la fede e, in effetti, secondo S. Tommaso, la ragione può rendere alla fede
un triplice servizio: "Dimostrare i preamboli della fede; spiegare mediante
similitudini le verità di fede; respingere le obiezioni che si sollevano
contro la fede" (ad demonstrandum ea
quae sunt praeambula fidei; ad notificandum per aliquas similitudines ea quae
sunt fidei; ad resistendum his quae contra fidem dicuntur)"(In De Trin.,
proem. q. 2, a. 3).
S. Tommaso sostiene che la fede cattolica non
può essere assolutamente dimostrata, trattandosi di misteri che ci sono noti
soltanto grazie alla divina rivelazione, ma può essere difesa contro chi non
l’accetta, dimostrandone la perfetta coerenza con le premesse di ragione
naturale che tutti ammettono. E cita la S. Scrittura (1 Pt 3, 15) dove si
insegna che la fede non va "provata" ma mostrata nella sua razionalità
in rapporto alle verità naturali; il che significa "rendere ragione della
fede" (rationem fidei.. ostendere) (De rationibus fldei
contra Saracenos, Graecos et Armenos, c. 2, n. 956). "Poiché
quanto procede dalla somma Verità non può essere falso, non può neppure esser
impugnato ciò che falso non è. Come la nostra fede non può essere provata con
argomenti cogenti (necessariis rationibus)
dato che oltrepassa i poteri dell’umana ragione, similmente non può essere
respinta con argomenti cogenti a causa della sua verità. Perciò, quello che il
controversialista cristiano si deve proporre riguardo agli articoli della fede
non è la dimostrazione, bensì la difesa della fede. Infatti il beato
Pietro (1 Pt 3, 15) non ha detto: state pronti alla dimostrazione ma alla soddisfazione
(satisfactionem), in modo che risulti
che non è falso ciò che la fede cattolica professa" (ibid.).
S. Tommaso non è soltanto il grande teorico
della dottrina dell’armonia tra fede e ragione ma è anche il suo massimo
realizzatore. Tutta la sua vastissima costruzione teologica è un magnifico
spettacolo di armonia tra quanto viene offerto all’uomo dalla meravigliosa
luce della divina rivelazione e quanto l’uomo riesce a raggiungere col lume
della sua ragione. Da una parte l’Angelico ascrive all’essere umano una
tale apertura verso Dio, grazie alla sua capacitas
infiniti, da proporgli Dio stesso come fine ultimo della sua esistenza
naturale, oggetto supremo della contemplazione e dell’amore; e parla di un
desiderio naturale di conoscere pienamente la Verità prima e di una fede
implicita nella divina rivelazione. Dall’altra parte S. Tommaso è veramente
ardito nella sua insistente ricerca dei motivi di convenienza (spesso parla
addirittura di necessitas) in tutte
le verità di fede e in tutti i grandi misteri che riguardano sia la SS.ma
Trinità sia il Verbo incarnato. Alla fine delle sue penetranti e lucide
considerazioni si ha l’impressione che scompaia completamente quell’abisso
che separa la fede dalla ragione e che i misteri diventino necessari ed evidenti,
tanto è grande la loro razionalità.
Il supporto teoretico che in S. Tommao assicura una
straordinaria solidità alla teoria dell’armonia tra fede e ragione è
duplice: la filosofia dell’essere e il princìpio dell’analogia. Con la
sua filosofia dell’essere l’Aquinate può affermare che anche il
soprannaturale propriamente detto appartiene al dominio dell’essere,
altrimenti sarebbe non-essere, cioè nulla. Così, per es., grazie al primato
dell’essere, di cui la causa unica è Dio, S. Tommaso non trova difficile
spiegare la possibilità della transustanziazione nel mistero eucaristico:
"Per virtù di un agente infinito, che opera su tutto l’ente, tale
conversione è possibile; perché ad ambedue le forme e ad ambedue le mate-ne è
comune la natura di ente; e l’autore dell’ente può mutare l’entità
dell’una nell’entità dell’altra, eliminando ciò che distingueva
l’una dall’altra"(III, q. 75, a. 4, ad 3). Grazie al principio
dell’analogia S. Tommaso può applicare tranquillamente tutta la grammatica
concettuale della metafisica aristotelica e della sua filosofia dell’essere
anche alla sfera del soprannaturale.
(Vedi:
RAGIONE, RIVELAZIONE, FILOSOFIA, TEOLOGIA)
____________________________________________________________