Fortezza (virtù e
dono)
E'
una virtù morale che sia nella cultura classica greco-romana sia nel mondo
biblico occupa una posizione di grande rilievo. Nella cultura classica la
fortezza (andreia) entra, insieme
alla giustizia, alla prudenza e alla temperanza, nel quadrilatero che forma la
base delle virtù morali. Platone la pone tra le virtù fondamentali sia della
polis sia della persona. Nella polis
è la virtù propria della classe dei guerrieri, nella persona è la virtù
dell’anima irascibile: "Forte ... chiamiamo ciascuno. quando la sua
parte irascibile conserva attraverso i dolori e i piaceri ciò che è stato
definito temibile o no dalla ragione (Repubblica 442h). Aristotele identifica
la fortezza con il coraggio e la fa consistere nel "giusto mezzo tra
l’impetuosità e la codardia" (Etica Nic. 1115a, 6).
Nella S.Scrittura il termine fortezza ha una
gamma semantica molto ampia, che abbraccia tra l’altro: la forza fisica, la
fortezza morale che può essere sia coraggio, sia sopportazione e pazienza. La
forza di Dio, la forza del demonio, la forza dell’uomo, la forza degli
eserciti, la forza del giusto ecc. Ma anzitutto la fortezza è una qualità di
Dio. A differenza del pensiero greco, per il quale la fortezza è un principio
cosmico della natura cieca, la religiosità ebraica pone la fortezza e ogni
principio energetico in un Dio personale, Signore della natura e della storia.
Da questa visione nascono le dossologie che esaltano, assieme alla misericordia
ed alla generosità, la forza incontenibile del braccio di Dio: "Jahvè
vostro Dio è il Dio degli dei, il Dio dei signori, il Dio grande, forte e
terribile" (Dt 10. 17; cfr. 3. 2~4: Es 13, 3. 9 ecc.). Il
"Dio forte", il "Forte di Israele" sono nomi che si addicono
soltanto a Lui (Gen 46, 2; Es 10, 17).
Nel
Nuovo Testamento oltre che qualità di Dio, La fortezza diviene anche proprietà
del Cristo. il Figlio di Dio fatto carne. Isaia aveva denominato il futuro
Emmanuele "Dio forte", sul quale sarebbe disceso "1o spirito di
fortezza" (Is 9, 5; 11,2). Detta fortezza divina si manifesta in Gesù nei
miracoli che, nella catechesi primitiva e nei primi tre Vangeli, sono designati
quali "forze" (dynameis) che
testimoniano l’approvazione di Dio e sono segno della dignità e dei poteri
trascendenti celati net "Gesù Nazareno potente nelle opere e nelle
parole" (Lc 4, 36; .4, 19). Gesù comunica la sua fortezza anche ai suoi
seguaci in particolare agli Apostoli. Così, l’azione piena di fortezza degli
Apostoli nella fedeltà alla loro vocazione e la condotta dei cristiani generosi
irradiano la forza del Vangelo, quella della croce di Cristo che e la forza
salvifica di Dio, del conforto della sua grazia e del suo amore. Nella Prima
Lettera di Giovanni i cristiani sono chiamati ischyroi, "forti", perché
possono resistere al Maligno e al peccato per mezzo della parola di Dio che
abita in loro.
Negli
scrittori cristiani del periodo patristico e scolastico la fortezza è
trattata sia come attributo di Dio, sia come virtù umana e cristiana, sia
come dono dello Spirito Santo. S. Agostino definisce la fortezza come
"fermezza d'animo" (firmitas
animi) e la fa consistere nella capacità di sopportazione dei mali e delle
avversità della vita presente in vista del godimento dei beni supremi (De
civ. Dei XIX, c. 4).
Secondo S.Tommaso la fortezza è la virtù che "sottomette
l’appetito alla ragione in tutto ciò che si riferisce alla vita e alla
morte" (appetitivum motum subdit
rationi in his quae ad mortem et vitam
pertinent) (I-II, q. 66, a. 4). Essa occupa il primo
posto tra le virtù morali che hanno come oggetto le passioni. Dopo la fortezza
viene la temperanza, la quale sottomette
l’appetito alla ragione rispetto a quei beni che sono ordinati immediatamente
o alla vita dell'individuo o a quella della specie. cioè rispetto al cibo e
ai piaceri venerei (ibid.). Tuttavia
la fortezza non è la maggiore delle virtù cardinali, perché la prima è
quella che è costitutiva del bene razionale cioè la prudenza;
segue quella che è produttiva del bene accertato dalla prudenza. cioè la giustizia
(II-II, q. 123, a. 12).
Come
precisa l‘Angelico, c’è una fortezza generale e questa è condizione di
ogni virtù, ma c’è anche una fortezza
speciale, che sta nell’affrontare i pericoli e nel sopportare le fatiche,
e questa e una virtù speciale, ed è
in quanto virtù speciale che la fortezza è una delle quattro virtù cardinali.
La fortezza si esercita quando il timore ci ritrae dalle difficoltà o quando
l’audacia ci porterebbe agli eccessi: la fortezza perciò si dice repressiva
del timore e moderativa dell’audacia (II-II, q. 123, aa. 2-3). Chi è forte,
nel compiere un atto di fortezza fa uso della passione
dell'ira, che di sua natura non è nè buona né cattiva, ma come uomo
virtuoso fa uso di un’ira moderata e non già di un'ira sregolata (II-II. q.
123. a. 10). La fortezza sostiene la volontà del bene di fronte ai mali
corporali fino al più grande di essi, la morte; perciò la fortezza è contro
il timore dei pericoli mortali. La
fortezza in particolare è quella che si mostra in battaglia, perché allora
di fronte alla morte imminente la fortezza sostiene la volontà del bene
comune da difendersi con la guerra: perciò la fortezza è anche degli altri
pericoli di morte (II-II, q. 123. aa. 4-5).
Come
dono dello Spirito Santo la fortezza consiste in una speciale fiducia infusa
nell’animo escludente ogni contrario timore (infundit quandam fiduciam menti Spiritus Sanctus, contrariurn timorem
excludens) (II-II, q. 139, a. 1). La mozione dello Spirito Santo fa si che
l'uomo giunga al fine di ogni opera buona cominciata sfuggendo a tutti i
pericoli imminenti, cosa che eccede le forze della natura umana, ed è per
l’appunto effetto del dono della fortezza. Al dono della fortezza corrisponde
la quarta beatitüdine, perché se la fortezza si mostra nelle cose ardue, una
delle cose più ardue e non solo compiere le opere della giustizia, ma averne un
insaziabile desiderio, cioè la fame e la sete (II-II, q. 139, a. 2).
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