Grazia
Dal
latino gratia, che corrisponde al greco charis. In teologia designa sia il favore assolutamente gratuito
col quale Dio in Cristo chiama l’uomo alla comunione con se, sia i
meravigliosi effetti che tale benevola autocomunicazione personale di Dio
crea nell’uomo che liberamente l’accolga. Nel corso dei secoli il
termine grazia si è arricchito di una vasta gamma di significati e ha dato
luogo a tante distinzioni, talora importanti, altre volte sottili. Anzitutto e
soprattutto grazia indica, come s’è detto, la condizione di amicizia tra
Dio e l’uomo, condizione di comunione prodotta da Dio stesso, mediante
gratuita autodonazione, e operata storicamente dall’azione di Cristo e
dello Spirito Santo. Questa condizione che trasforma l’anima del credente
rendendola tempio della Trinità e figlia adottiva di Dio ~ detta grazia
santificante o abituale. A questa si affianca la grazia attuale che è un
influsso spirituale speciale e transeunte di Dio nell’anima ogniqualvolta
questa compie un atto salutare; essa è un dono gratuito infuso nella creatura
razionale in ordine alla vita eterna.
Nell’A.
T. il concetto di grazia si trova presente in vane espressioni ebraiche,
soprattutto in hesed, che nei
Settanta è tradotto con eleos o charis.
Hesed significa in generale un atteggiamento di lealtà servizievole, di
benevolenza, di fedeltà, di favore e viene regolarmente usato per
qualificare il rapporto di Jahvè col suo popolo: nell’alleanza di Jahvè
con Israele, l’attributo più specifico che viene riconosciuto a Dio è
appunto hesed.
Nel
N. T. la charis di Dio significa
quasi sempre la benevolenza che si manifesta nella sua opera di salvezza
attraverso Cristo. Maria, la Madre di Gesù, è piena di grazia (Lc 1, 28).
Ma la grazia abbonda anche nei cuore di tutti i seguaci di Gesù
trasformandoli profondamente: "Per questa grazia infatti siete stati
salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene
dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua,
creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi
le praticassimo" (Ef 2, 8-10).
La
dottrina della grazia ricevette il suo primo grande approfondimento per opera
di Agostino, durante l’aspra polemica contro i donatisti e i pelagiani.
Il Dottore di Ippona sottolinea l’assoluta gratuità della grazia: nella
natura non esiste nessuna predisposizione, nessuna preparazione, nessuna
esigenza e quindi nessun merito nei confronti della grazia Egli definisce la
grazia come adiutorium bene agendi
adiunctum naturae (un aiuto a operare il bene aggiunto alla natura), un aiuto interiore, che generalmente egli identifica con la caritas.
La
grande Scolastica (dei secoli XII e XIII) che comincia a fare ampio uso del
linguaggio della metafisica aristotelica si chiede quale sia il concetto
ontologico più idoneo per designare e definire la grazia: è una substantia,
un accidens, una forma, una qualitas, un habitus, un actus ecc.? E in
che rapporto si trova con lo Spirito Santo? Si può identificare la grazia
con lo Spirito Santo o è essenzialmente distinta da lui? E per quali motivi
e per quali attività la grazia è necessaria? Senza la grazia c’è ancora
qualche cosa di buono che l’uomo può fare?
Pier Lombardo nei suoi famosi Libri
Sententiarum (I, d. 17) si oppone ad assimilare la grazia allo Spirito
Santo e dice che la grazia è una realtà creata e accidentale nell’uomo.
Alessandro di Hales nella sua Summa presenta la grazia come forma animae.
La Scuola bonaventuriana la intende piuttosto, neoplatonicamente, come
raggio di luce o come caritas.
Il Dottore Angelico sviluppa il suo studio
della grazia nel trattato De homine
(che corrisponde alla Secunda Pars
della Summa Theologiae), perciò lo colloca insieme alla giustificazione;
mentre della predestinazione si occupa nel De Deo (cioè nella Prima Pars).
La trattazione si articola in sei questioni (I-II, qq. 109-114), di cui le
ultime due sono riservate alla giustificazione. A noi qui interessano solo le
prime quattro, che analizzano con grande finezza: la necessità della grazia
(q. 109); la sua essenza (q. 110); la divisione della grazia (q. 111) e la
causa della grazia (q. 112).
1. NECESSITA'
DELLA GRAZIA
Quanto
alla necessità della grazia, S. Tommaso distingue tutta una serie di
attività e operazioni umane che possono avere bisogno della grazia e
stabilisce per quali di esse c’è bisogno di un aiuto speciale di Dio. Non
occorre la grazia per conoscere certe verità scientifiche, filosofiche,
metafisiche, etiche (q. 109, a. 1) né per compiere alcune operazioni
eticamente buone (a. 2). Quindi c’è un orizzonte naturale dentro il quale
l’uomo si può comportare correttamente ed onestamente, anche senza
l’aiuto della grazia, ma si tratta di un orizzonte molto ristretto. La
grazia diventa invece indispensabile per meritare la vita eterna, perché si
tratta di "un fine che sorpassa la misura della natura umana" (a.
5); la stessa grazia (attuale) è necessaria per prepararsi alla grazia
(abituale), perché "il volgersi dell’uomo a Dio non può avvenire
senza che Dio lo rivolga verso di sé. Ora, prepararsi alla grazia significa
appunto volgersi a Dio: come per chi non guarda il sole, prepararsi a ricevere
la luce significa rivolgere gli occhi verso di esso. Perciò è evidente che
l’uomo non può prepararsi a ricevere la luce della grazia se non mediante
l’aiuto gratuito di Dio il quale lo muove interiormente" (a. 6).
La
grazia è ancora indispensabile per risorgere dal peccato, perché col peccato
l’uomo soffre un triplice danno, la macchia, la corruzione dei beni di
natura e il reato della pena. "Ora è evidente per tutte e tre queste
cose che soltanto Dio può ripararle. Infatti la bellezza della grazia. deriva
da una illuminazione di Dio; e quindi codesta bellezza non può ritornare in
un’anima, senza una nuova illuminazione da parte di Dio: ecco perché si
richiede quel dono abituale che è la luce della grazia. Anche l’ordine
della natura, che implica la sottomissione della volontà umana a quella di
Dio, non può essere riparato se Dio non trae a sé la volontà dell’uomo.
Così pure nessuno all’infuori di Dio può condonare il reato della pena
eterna, essendo egli l’offeso e il giudice degli uomini. Perciò, affinché
l’uomo risorga dal peccato si richiede l’aiuto della grazia, sia in quanto
dono abituale, sia in quanto mozione interiore di Dio" (a. 7). Infine,
c’è bisogno della grazia anche per perseverare nel bene, fino alla fine
della vita. "Per avere questa perseveranza l’uomo in grazia ha bisogno
non già di una nuova grazia abituale, ma dell’aiuto di Dio che lo guidi e
lo protegga contro gli assalti delle tentazioni. Perciò chi è già
santificato dalla grazia ha bisogno di chiedere a Dio codesto dono della
perseveranza, cioè deve chiedere di essere custodito dal male sino alla fine
della vita. Infatti la grazia viene concessa a molti, ai quali non è concesso
di perseverare fino alla grazia"(a10).
2. NATURA DELLA GRAZIA
Nella
q. 110 S. Tommaso affronta il problema della essenza della grazia. Essa si
distingue sia dalla predestinazione sia dalla giustificazione. Mentre la
predestinazione è il piano eterno programmato da Dio per la salvezza
dell’uomo, la grazia è l’esecuzione di tale piano, più precisamente
"è un dono soprannaturale posto da Dio nell’uomo" (a. 1). Mentre
la giustificazione appartiene all’ordine del movimento (motus)
ed è il passaggio dal peccato alla grazia, la grazia stessa è un dono
permanente, abituale. La prova è la seguente: "Alle creature di ordine
naturale Dio non provvede soltanto movendole agli atti naturali, ma donando
loro le forme e le facoltà che sono i principi di tali atti, affinché da se
stesse tendano ad essi. Ed è così che i moti impressi da Dio diventano
connaturali e facili alle creature, secondo le parole della
Sapienza:“Tutto dispone con soavità”. Perciò a maggior ragione egli
infonde forme o qualità soprannaturali in coloro che muove al conseguimento
di un bene soprannaturale, mediante le quali li muove a raggiungere i beni
eterni con soavità e con prontezza. Ecco quindi che il dono della grazia è
una qua1ità" (a. 2). Proprio perché la grazia perfeziona direttamente
l’anima e non una qualche facoltà, S. Tommaso esclude che si possa
identificare la grazia con la virtù in generale o con qualche particolare
virtù (per es. la fede oppure la carità). Pertanto "da luce della
grazia, che è una partecipazione della natura divina, è distinta dalie virtù
infuse che da essa derivano" (a. 3). La grazia "risiede
nell’essenza dell’anima. Infatti l’uomo, come partecipa la conoscenza
divina con la virtù della fede mediante la facoltà dell’intelletto, e
l’amore divino con la virtù della carità, mediante la facoltà volitiva;
così partecipa la natura divina, secondo una certa somiglianza, con una nuova
generazione o creazione, mediante la natura dell’anima" (a. 4).
Gli
effetti della grazia sono molteplici: anzitutto la giustificazione, che è
il suo primo effetto; quindi la partecipazione alla vita divina,
partecipazione che si esplica attraverso le virtù teologali della fede, della
speranza e della carità.
3. CAUSA
DELLA GRAZIA
Autore
della grazia non può essere altri che Dio, ciò significa che l’uomo (la
volontà umana, il libero arbitrio) non possiede alcun potere di prepararsi a
essa. Perciò "qualsiasi possa essere la preparazione da parte dell’uomo,
essa va attribuita all’aiuto di Dio che muove l’anima al bene. Ecco perché
lo stesso moto virtuoso del libero arbitrio, col quale uno si prepara a ricevere
il dono della grazia, è un atto del libero arbitrio" (q. 112, a. 2).
Della
grazia, S. Tommaso propone e illustra varie divisioni, di cui le principali
sono: grazia gratum faciens (è la
grazia santificante che rende l’uomo gradito a Dio) e gratis data (è la
grazia mediante la quale un uomo aiuta l’altro a tornare a Dio); grazia operante e cooperante;
grazia preveniente e susseguente. E' stato osservato che tra le divisioni
elencate da S. Tommaso manca quella tra grazia abituale e attuale; di fatto
manca soltanto l’espressione (grazia attuale),
ma il
concetto S. Tommaso l‘ha ben presente (cfr. q. 110, a. 2).
Quanto
al possesso della grazia, S.
Tommaso nega che sia possibile verificarlo con assoluta certezza (mancando
argomenti apodittici per poterlo fare). Ammette invece che si può avere solidi
indizi, per esempio, "perché uno trova in Dio la sua gioia, disprezza le
cose del mondo e non ha coscienza di nessun peccato mortale" (q. 112, a.
5).
Come
si vede, nel suo studio della grazia, S. Tommaso ci offre una splendida
fotografia "da fermo" (e non in movimento) della elevazione
dell’uomo allo stato soprannaturale, mettendo bene a fuoco anche i minimi
dettagli. L’unica lacuna che si osserva nella trattazione della grazia (come
in quelle della predestinazione e della giustificazione) è il "vuoto
cristologico". In tutto il discorso si fa sempre e soltanto riferimento a
Dio e non c’è il minimo cenno a Gesù Cristo. Si tratta di un vuoto
metodologico di cui S. Tommaso è ben consapevole e che sarà abbondantemente
colmato nella Tertia Pars, che è
interamente dedicata a Cristo, causa meritoria della grazia, e ai sacramenti,
cause strumentali.
Lo
stesso S. Tommaso commentando le Lettere di S. Paolo dichiara che il loro tema
costante è la grazia di Cristo e tutte insieme contengono la dottrina completa
della grazia di Cristo. "Haec est doctrina tota de gratia Christi….".
Questa costituisce tutta la dottrina sulla grazia
di Cristo. Primo, come essa si riscontra nel capo, cioè in Cristo e se ne ha
l‘esposizione nella lettera agli Ebrei. Secondo, come si trova nelle
principali membra del corpo mistico: e questo si spiega nelle epistole pastorali
(I e II di Tim. e
Tito). Terzo, la grazia del corpo mistico che è la
Chiesa: e se ne tessono le lodi nelle epistole dirette ai gentili, ma da tre
punti di vista diversi: in se stessa (Romani), nei sacramenti (I e II Corinti e Galati), finalmente nell’unità che
essa produce nella Chiesa (Efesini, Filippesi, Colossesi, I e II Tessalonicesi).
Ad
ogni modo, sia che la sorgente della grazia sia collocata in Dio oppure in Gesù
Cristo, il suo obiettivo ultimo è sempre il medesimo: la deificazione
dell’uomo, ossia la sua piena realizzazione secondo le aspirazioni più
profonde del cuore umano (il desiderium naturale). A questo riguardo ecco un testo davvero
molto eloquente di S. Tommaso: "Gratia datur homini a Deo per quam homo perveniat
ad suam ultimam et perfectam consummationem, idest ad beatitudinem ad quam
habet naturale desiderium"
(la
grazia viene data da Dio all'uomo affinché con essa l’uomo possa raggiungere
la sua realizzazione ultima e perfetta, ossia la beatitudine per la quale
possiede un desiderio naturale" (In II Cor, c.
13, lect. 2, n. 534).
(vedi:
SALVEZZA, GIUSTIFICAZIONE, PREDESTINAZIONE, SOPRANNATURALE, CRLSTO, CHIESA)
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