Inferno
E' la pena eterna che viene inflitta a chi si presenta al tribunale di
Dio (dopo la morte) in uno stato di grave disobbedienza ai suoi comandamenti e
di profonda ostilità e ingratitudine nei confronti della sua infinita misericordia.
Il tema dell’inferno occupa un posto importante nella predicazione
di Gesù e molti passi del Nuovo Testamento parlano in modo chiaro
dell’inferno soprattutto nel discorso escatologico riferito da Matteo, Gesù
preannuncia che nel giudizio universale il Signore separerà i buoni dai
cattivi, e a questi rivolgerà le terribili parole: "Via, lontano da me,
maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli (...).
E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita
eterna" (Mt 25, 41-46).
L’esistenza dell’inferno e la sua eternità sono state definite più
volte dal magistero ecclesiastico: nel simbolo Quicumque (DS 76) e nel
Concilio Lateranense IV (DS 801).
Gli scritti in cui S. Tommaso si occupa più diffusamente
dell’inferno sono: il Commento alle Sentenze (IV Sent., dd. 44-50) e la Summa
contra Gentiles (III, cc. 142-145). La trattazione del Commento alle
Sentenze è stata ripresa e riordinata nel Supplemento alla Summa (qq. 86, 94,
97-99).
1.
ESISTENZA
Pur essendo una verità di fede, S. Tommaso elabora una serie di
argomenti con cui dimostra che è necessario riconoscere l’esistenza
dell’inferno La dimostrazione si snoda nitidamente attraverso i seguenti
passaggi.
1-
Ogni peccato va adeguatamente punito: "Poiché la giustizia divina
esige che, per salvare l’equilibrio nelle cose, siano rese pene alle
colpe, e premi agli atti buoni, se vi e una gradazione nei peccati e negli
atti virtuosi, bisogna che vi sia anche nei premi e nelle pene. Infatti non
si salverebbe l’eguaglianza se non si conferisse una pena maggiore a chi
pecca di più, o non si assegnasse maggiore premio a chi opera meglio. Infatti
per una medesima esigenza si deve retribuire differentemente tanto il bene e
il male, come il bene e il meglio, oppure il male e il peggio" (C. G.,
III, c. 142).
2-
Il peccato mortale dev’essere punito mortalmente: "L’intenzione
della volontà di colui che pecca mortalmente è del tutto sviata
dall’ultimo fine (...). Pertanto a colui che pecca mortalmente è dovuta la
pena di essere totalmente escluso dal conseguire l’ultimo fine" (C. G.,
III, c. 143). Ora è esattamente in questo che consiste essenzialmente il
castigo dell’inferno.
2.
ETERNITA'
Contro Origene e i suoi discepoli che avevano insegnato che la condanna
all’inferno non è eterna e che ci sarà la possibilità per tutti i dannati
(angeli e uomini) di essere riabilitati mediante l’apocastasi, S. Tommaso
mostra che la punizione deve essere eterna e questo per due motivi:
1 - "Per la stessa ragione di giustizia il castigo corrisponde
ai peccati ed il premio alle buone azioni. Ma il premio della virtù è la
beatitudine, che è eterna, come si è visto sopra (c. 140). Dunque sarà
eterna anche la pena con la quale uno viene escluso dalla beatitudine"
(C. G., III, c. 144).
2 - "L’equità naturale sembra richiedere che ognuno sia privato
di quel bene contro il quale agisce, poiché se ne rende indegno, e di qui
deriva che, a norma della giustizia civile, chi agisce contro lo Stato viene
privato totalmente del consorzio civile o con ha morte o con l’esilio
perpetuo; né si bada alla durata della sua azione, ma allo Stato contro cui
agì. Ora è eguale il paragone di tutta la vita presente allo Stato terreno, e di tutta l’eternità alla società dei
beati i quali godono in eterno dell’ultimo fine. Dunque chi pecca contro
l’ultimo fine e contro la carità per la quale sussiste la società dei
beati e di quanti tendono alla beatitudine, deve essere punito in eterno,
sebbene abbia peccato in breve spazio di tempo" (C.
G., III, c. 144). In altre parole, la durata della pena si proporziona alla
disposizione d’animo di chi pecca, e come il traditore della patria si è reso
per sempre indegno della sua città, così chi offende Dio mortalmente si
rende per sempre indegno del suo consorzio; e chi sprezza la vita eterna
merita la morte eterna. D’altronde è impossibile che intervenga alcun
mutamento o nella volontà di Dio o in quella dei dannati. Conclusa la fase
della prova sia gli uomini sia i demoni sono per sempre ostinati nel male e
non possono essere perdonati. Questo rende irreversibile il decreto divino
della loro condanna (cfr. Suppl., q. 99, aa. 2-3). Pertanto le pene dei dannati non potranno aver mai fine, come
non ha fine il premio dei beati.
3. LE PENE
Le
pene non possono avere soltanto carattere privativo: cioè l’inferno non
può semplicemente consistere nella privazione della beatitudine eterna;
ma devono avere anche carattere
afflittivo. Perciò "coloro che peccano contro Dio non devono essere
puniti soltanto col venire esclusi per sempre dalla
beatitudine, ma anche col provare qualche cosa di
nocivo (...). Infatti, come è dovuto il bene a chi fa il bene, così il male è dovuto a chi fa il male. Ma coloro che
operano rettamente traggono perfezione e piacere nel fine da essi voluto. Quindi per la ragione contraria è dovuto ai peccatori il castigo di
far loro ricevere afflizione e danno dalle cose, in cui pongono il loro
fine. E' per questo che la Scrittura divina minaccia ai peccatori non solo
l’esclusione dalla gloria, ma anche il tormento inflitto da altre creature.
Si dice infatti: “Andate via da me maledetti nel fuoco eterno, preparato
per il diavolo e i suoi angeli” (Mt
25, 41)" (C. G.,
III, c. 145).
Tra le pene cui verranno esposti i dannati S. Tommaso annovera, oltre il fuoco, il pianto e le tenebre, per quanto
concerne il corpo; l’invidia e l’odio, per quanto riguarda l’anima: i dannati si contristano
del bene altrui e vorrebbero che anche i buoni fossero all’inferno (cfr. Suppl., qq. 97-98).
4. IL LUOGO
"In che parte del
mondo sia situato l’inferno, dice S. Agostino, non credo lo sappia alcuno, se lo Spirito Santo non
glielo rivela". Tuttavia S. Tommaso, in base a quanto dice la stessa S.
Scrittura, ritiene di poter affermare che si trova sottoterra; tanto più che
così indica il nome "inferno", cioè parte
inferiore a noi, e tanto più che quello è il sito conveniente ai dannati, come il
cielo è il luogo conveniente ai beati (Suppl.,
q. 97, a. 7).
(Vedi, ESCATOLOGIA)
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