LIBERO
ARBITRIO
E'
la capacità che l’uomo ha di essere arbitro, cioè padrone delle proprie
azioni, scegliendo tra varie possibilità e alternative: di agire oppure di
non agire, di fare una cosa piuttosto che un’altra.
Il
pensiero greco, che sottometteva tutto al fato, compresi gli uomini e gli stessi
dei, non aveva potuto elaborare una dottrina del 1ibero arbitrio. Questa invece
divenne uno dei punti cardinali dell’antropologia cristiana, la quale aveva
appreso dalla Scrittura che Dio ha dotato l’uomo del singolare potere di
essere padrone di se stesso e delle proprie azioni.
Prima
di S. Tommaso l’argomento del libero arbitrio era gia stato ampiamente
trattato da Origene, Gregorio Nisseno, S. Agostino, Boezio, Anselmo e altri.
Del libero arbitrio l’Aquinate si occupa in molti scritti, ma in particolare
nella Somma Teologica (I, q. 83; I-II, q. 13) e nel De Veritate (q. 22), che
sono tra gli studi più profondi ed esaurienti che siano mai stati fatti di
questo tema.
1.
ESISTENZA DEL LIBERO ARBITRIO
Contro
i negatori del libero arbitrio (i fatalisti e i deterministi) S. Tommaso
dimostra che l’uomo è libero, adducendo vari argomenti, alcuni indiretti,
altri diretti. Tra gli argomenti indiretti il più importante e quello delle
gravi assurdità a cui va incontro chi nega il 1ibero arbitrio: "Infatti
se ci si muove all’azione necessariamente, si sopprime la deliberazione,
l’esortazione, il comando, la lode, il biasimo, che sono le cose per le
quali esiste la filosofia morale. Tali opinioni, che distruggono i principi di
una parte della filosofia, sono posizioni stravaganti (extraneae),
come l’affermazione che nulla si muove, che demolisce i fondamenti della
scienza naturali" (De Malo, q. 6, in corp.). Tra gli argomenti diretti il
più solido è quello basato sulla struttura della ragione umana, che nelle cose
può apprendere sia gli aspetti negativi che quelli positivi, e quella della
volontà, che ha come oggetto proprio il bene. "Ora, la ragione può
apprendere come bene non solo il volere e l’agire, ma anche il non volere e il
non agire. Inoltre in tutti i beni particolari la ragione può osservare
l’aspetto buono di una cosa oppure le sue deficienze di bene, che si presentano
come un male: e in base a ciò può apprendere ciascuno di tali beni come degno
di elezione o di fuga. Soltanto il bene perfetto, cioè la felicità, non può
essere appreso dalla ragione come un male o un difetto. Ed è per questo che
l’uomo, per necessità, vuole la beatitudine e non può volere l’infelicità
o la miseria. Ma l’elezione non ha per oggetto il fine, bensì i mezzi; non
riguarda il bene perfetto, cioè la felicità, ma gli altri beni particolari.
Perciò l’uomo non compie una elezione necessaria ma libera (I-II, q. 13, a.
6).
2.
DIVISIONE DEL LIBERO ARBITRIO
S.
Tommaso distingue tre tipi di 1ibero arbitrio (libertà): di esercizio (exercitii), di specificazione (specificationis)
e di contrarietà (contrarietatis). La
libertà di esercizio riguarda il potere che la volontà ha di esercitare oppure
di non esercitare il suo atto di volontà, cioè di volere oppure di non
volere. La libertà di specificazione è il potere di scegliere una cosa
piuttosto che un’altra. La libertà di contrarietà è quella di poter
scegliere sia il bene sia il male. "Poiché la volontà si dice libera in
quanto non è soggetta a necessità, la libertà della volontà si presenta
sotto tre forme: in rapporto all’atto, in quanto può volere e non volere (velle vel non velle); in rapporto all’oggetto, in quanto può
volere questa o quella cosa come pure il suo contrario (velle hoc velle illud et eius oppositum); e in rapporto al fine,
in quanta può volere il bene oppure il male (velle bonum vel malum)" (De Ver., q. 22, a. 6).
3. NATURA DEL LIBERO ARBITRIO
E
un’attività che procede sia dall’intelletto sia dalla volontà, ma non
allo stesso modo. Procede anzitutto dalla volontà, in quanto ne è la causa
efficiente; ma procede anche dall’intelletto, in quanto esso fornisce la
specificazione all’atto libero. Cosi S. Tommaso può asserire che il libero
arbitrio sostanzialmente è atto della volontà, mentre formalmente o specificamente
è atto dell’intelletto. Ecco il ragionamento dell’Aquinate a questo
proposito: "Il termine elezione o scelta implica elementi che spettano
alla ragione oppure all’intelletto, ed elementi che appartengono alla volontà
(...). Ora, se due elementi concorrono a formare un’unica cosa, uno funge da
elemento formale rispetto all’altro. E invero S. Gregorio di Nissa afferma
che la elezione “per se stessa non è l’appetito e neppure il consiglio,
ma la loro combinazione. Come diciamo che l’animale è un composto di anima e
di corpo, non il corpo o l’anima soltanto”. Ora, bisogna considerare che un
atto dell’anima, il quale appartiene sostanzialmente a una data potenza o a
un dato abito, riceve la forma e la specie da una potenza e da un abito
superiore nella misura in cui l’inferiore viene subordinato al superiore; se
uno. per es. compie un atto di fortezza per Dio, materialmente il suo è un
atto di fortezza, ma formalmente di carità. Ora, è evidente che la ragione è
superiore in qualche modo alla volontà e ne ordina gli atti: in quanto cioè
la volontà tende al proprio oggetto secondo l’ordine della ragione, per il
fatto che la facoltà conoscitiva presenta a quella appetitiva il proprio
oggetto. Così dunque quell’atto con cui la volontà tende verso qualcosa che
viene proposto come bene, essendo ordinato dalla ragione a un fine,
materialmente è atto della volontà, mentre formalmente e atto della
ragione" (I-II, q. 13, a. 1). Altrove lo stesso argomento è presentato
in forma molto più concisa: "Ci sono delle potenze che raccolgono in se
stesse il potere (virtutes) di varie facoltà, tale è il caso del libero arbitrio,
come risulta da quanto segue. L’elezione (scelta) che è l’atto proprio
del libero arbitrio, comporta la disanima (discretionem)
e il desiderio; infatti scegliere è dare la preferenza a una cosa rispetto
a un’altra. Ora, queste due azioni non si possono compiere senza l’apporto
delle facoltà della ragione e della volontà. E quindi evidente che il libero
arbitrio raccoglie il potere della volontà e della ragione, e perciò si dice
facoltà di entrambe (II Sent., d. 24, q. 1, a. 1). Pertanto, secondo l’Aquinate,
il libero arbitrio non è esclusivamente atto della volontà come sostengono
certi volontaristi antichi (Scoto, Occam) e moderni (Nietzsche e Sartre),
perché in tal caso si avrebbe un arbitrio cieco, e in nessun modo un arbitrio
veramente libero.
4. AMBITO DEL
LIBERO ARBITRIO
L’ambito
della libertà umana è vastissimo. Praticamente tutti gli obbiettivi che
l’uomo persegue in questa vita, non li persegue per un impulso naturale, per
necessità o per costrizione dell’ambiente, ma per libera scelta. Nonostante
che tutto il volere umano sia iscritto dentro un unico vastissimo orizzonte,
quello del fine ultimo e del bene perfetto, e che la tensione verso tale bene
sia una tensione naturale e necessaria, di fatto poi, nella vita presente,
l’uomo non incontra nessun oggetto che equipari la misura di bontà richiesta
dal fine ultimo. E così ogni bene proposto. essendo un bene finito risulta,
per un verso, appetibile, in quanto bene, e per un altro verso non appetibile,
in quanto finito. S. Tommaso osserva che se la volontà si trovasse davanti al
bene totale, illimitato, cioè a un bene che sotto tutti gli aspetti fosse solo
bene con l’esclusione d’ogni non bene o male qual è la beatitudine, allora
essa ne sarebbe attratta necessariamente. "Poiché la volontà è in
potenza rispetto al bene universale, nessun bene supera la potenza della volontà
come se di necessità la muovesse, a eccezione di ciò che è bene secondo
ogni aspetto; e questo soltanto è il bene perfetto, che è la beatitudine, bene
che la volontà non può non volere in modo cioè da volere l’opposto,
sebbene attualmente possa non volerla potendo allontanare da sé il pensiero
della beatitudine" (De Malo, q. 6, ad 7). Di fatto, però, ciò che si
presenta all’uomo nella vita presente non è mai il bene assoluto ma sono
soltanto beni particolari, che la volontà è libera di accogliere oppure di
respingere. La volontà è libera quando si trova dinanzi a un valore o un bene
che non si identifica col bene assoluto, che cioè non adegua la capacità
della volontà, che è aperta all’infinito dell’essere e del valore, e che
pertanto è bene sotto un aspetto ma non bene sotto un altro e per questo motivo
può essere scartato. "Ciò accade anche perché molte sono le vie che
conducono al fine ultimo (ad finem ultimum
multis viis perveniri potest) e a differenti persone convengono differenti
vie per raggiungerlo. Per questo motivo l’appetito della volontà non può
essere determinato necessariamente in quanto concerne i mezzi, come accade
invece nelle cose naturali, le quali per un fine determinato e certo hanno a
disposizione una sola e unica via" (De Ver., q. 22, a. 6, resp.).
5. LIBERO ARBITRIO E CONCORSO DIVINO
Contrariamente a quanto molti uomini tendono a
credere e i pensatori atei non si stancano di ripetere, cioè che l’esistenza
di Dio è incompatibile col libero arbitrio, S. Tommaso fa vedere che ciò è
assolutamente falso, perché la realtà di Dio non solo non è inconciliabile
con la libertà umana, ma ne costituisce l’unico sicuro fondamento. L’Aquinate
discute il problema del rapporti tra il concorso divino e il 1ibero arbitrio
in molte opere, dando sempre sostanzialmente la stessa soluzione, la quale si
articola in tre punti: 1) la causalità (il concorso, la provvidenza) divina
non compromette la libertà umana; 2) anche nell’azione libera dell’uomo Dio
conserva il primato che gli spetta in quanto causa principale; 3) Dio può
influire sul libero arbitrio ma non costringerlo.
In primo luogo Dio, pur operando sempre come
causa principale, non fa violenza al libero arbitrio. Egli è troppo grande e
rispettoso delle sue creature per far violenza alla loro natura; e così
Egli interviene nel loro agire salvaguardando le strutture del loro essere.
Dio "muove tutte le cose secondo la loro struttura: cosicché in forza
della mozione divina, da cause necessarie derivano effetti necessari, e da
cause contingenti derivano effetti contingenti. E poiché la volontà è un
principio attivo non determinato a una sola decisione, ma indifferente verso più
alternative, Dio la muove in maniera da non determinarla a una sola
soluzione, ma conservando contingente e non necessario il moto di essa,
eccetto in quelle cose verso le quali ha una spinta naturale" (I-II, q. 10,
a. 4).
Tuttavia, il primato della causalità divina
non viene mai meno, neppure nell’azione libera dell’uomo: la sorgente ultima
di ogni essere come di ogni agire rimane sempre Dio, l’Esse ipsum subsistens che è la sorgente intensiva e totale di
tutto ciò che esiste per partecipazione. Pertanto "la volontà ha il
dominio del proprio atto ma non con l’esclusione della causa prima; però la
causa prima non agisce nella volontà in modo da determinarla di necessità a
una sola cosa come determina invece la natura; per questo la determinazione
dell’atto viene lasciata nel potere della ragione e della volontà" (De
Pot., q. 3, a. 7, ad 13). Ma oltre che col suo concorso normale e col primato
che gli spetta quale causa principale, secondo S. Tommaso, Dio può
intervenire nell’agire umano anche con un concorso straordinario, gratuito: si
tratta però sempre di interventi che non fanno violenza alla volontà anche se
possono influenzarla. Nel De Veritate S. Tommaso distingue tra influenzare (immutare) e costringere (cogere)
ed esclude che Dio possa costringere la volontà, mentre riconosce che può
influenzarla con la sua grazia, potenziandola oppure indirizzandola verso
determinati oggetti: "Dio influenza (immutat)
la volontà in due modi. In primo luogo semplicemente muovendola: quando cioè
muove la volontà a voler qualche cosa, senza peraltro imporre alla volontà
qualche nuova modalità (formam),
vale a dire senza conferirle un nuovo abito, facendo semplicemente si che
l’uomo voglia ciò che prima non voleva. In secondo luogo, imprimendo una
nuova modalità (formam) nella stessa
volontà. E così mentre la volontà già è incline, in forza delta stessa
natura che ha ricevuto da Dio, a volere qualche cosa, parimenti in forza di
una nuova modalità, come la grazia e la virtù, viene ulteriormente inclinata
da Dio a volere qualche altra cosa, alla quale prima non era spinta da
inclinazione naturale" (De Ver., q. 22, a. 8).
In conclusione, come scrive egregiamente S. Tommaso, nel Commento alle
Sentenze (II Sent., d. 25, q. 1, a. I, ad 3): "Dio opera in ogni cosa, ma
in conformità con le condizioni di ciascuna; così nelle cose naturali interviene
somministrando loro il potere di agire e determinando la loro natura a una certa
azione; nel libero arbitrio interviene in tal modo da dargli il potere di agire
(virtutem agendi) e facendo si che il
libero arbitrio agisca, e tuttavia la determinazione dell’azione e del fine
viene lasciata nel potere del libero arbitrio; cosicché al libero arbitrio è
lasciato il dominio sul suo atto, anche se non come primo agente". (Cfr.
ibid., a. 2, ad I).
Se il libero arbitrio non può subire violenza da parte di Dio, tanto
meno ciò può accadere per opera del demonio o di altre creature. Il demonio
può indubbiamente influire sull’uomo (come possono influire i compagni, i
maestri, i superiori ecc.), ma non può influire direttamente sulla sua volontà.
"Su1la volontà può influire soltanto Dio e questo a causa della libertà
della volontà, che è padrona dei propri atti, e non può essere costretta
dall’oggetto, come accade invece nell’intelletto, che è costretto dalla
evidenza della dimostrazione" (II Sent., d. 8, q. 1, a. 5, ad 7).
6. LIBERO ARBITRIO, GRAZIA E
PECCATO
A causa
della sua natura finita e della sua origine dal nulla il libero arbitrio e
intrinsecamente esposto alla fallibilità: è la sua stessa condizione
ontologica che lo espone alla caduta: "Qualsiasi volontà creata ha la
possibilità di venir meno nel suo atto (in
sui actu deficere) in quanto proviene dal nulla (ex
nihilo est) ed è pertanto trascinabile al difetto: perciò avviene che
nella volontà possa insorgere il peccato, come suo effetto" (II Sent., d.
39, q. 1, a. 1). C’e di più, è fallibile la ragione che è la guida della
volontà, ed è fallibile la volontà stessa in quanto si lascia influenzare
dalle passioni.
Secondo S. Tommaso, che su questo punto ripete
l’insegnamento di S. Agostino, il libero arbitrio non ha il potere di
sottrarsi sempre al peccato, anche se esclude che il peccare sia necessario e
appartenga all’essenza del libero arbitrio. Il peccato, spiega S. Tommaso,
consiste nella separazione da Dio. Ora, "è essenziale al libero arbitrio
poter agire oppure non agire (...). Pertanto è impossibile che, mantenendo
intatta la libertà del libero arbitrio, possa venire conferito a una creatura
il potere di non peccare, secondo la sua condizione naturale, perché in tal
caso si avrebbe una contraddizione, perché se c’è libero arbitrio occorre
che la creatura possa volere e non volere conservare l’unione con la propria
causa; ma se non può peccare, non gli è possibile rompere l’unione con la
propria causa, e così si cade in contraddizione" (II Sent., d. 23, q. 1,
a. 1, sol.).
Dal peccato l’uomo non ha il potere di liberarsi da solo, con le sole
forze del libero arbitrio; per questo ha bisogno della grazia di Dio. Questa
però non sopprime il libero arbitrio; anzi, al contrario, lo potenzia e lo
eleva (cfr. III, q. 70, a. 4; III, q. 89, a. 2).
Lo studio del libero arbitrio, compiuto da S. Tommaso, è senza dubbio
eccellente dal punto di vista psicologico; ma non presta molta attenzione agli
aspetti politici e sociali della libertà. Tuttavia anche questi aspetti possono
essere chiariti tenendo conto dei principi che l’Aquinate ha posto trattando
dell’aspetto psicologico, che è quello fondamentale.
(V.
APPETITO, VOLONTA', UOMO, PASSIONE, MORALE)