Prudenza
E' una delle quattro virtù cardinali
(le altre sono la giustizia, la fortezza e la temperanza). Platone le
accorda il primo posto e ne fa la virtù propria dei capi della polis.
Aristotele le riserva un’ampia trattazione nella sua Etica
Nicomachea (libro VI), dove ne precisa il concetto distinguendo Ia
prudenza (phronesis) dalla scienza e dall’arte. La prudenza —secondo
Aristotele — è il
retto discernimento intorno al bene e al male (mentre il discernimento intorno
al vero e at falso spetta alla sapienza e alla scienza). Della prudenza — sempre
secondo lo Stagirita — si danno tre tipi principali: quella politica
che riguarda lo Stato, quella economica
che riguarda la famiglia.
quella morale che
ha di mira
la condotta personale.
S.Tommaso riprende sostanzialmente la dottrina aristotelica,
precisandone peraltro e approfondendone alcuni aspetti, anche alla luce
della Rivelazione. Nelle varie definizioni che egli propone della prudenza,
l’elemento comune è "attitudine a scegliere i
mezzi opportuni per il conseguimento
del fine". La prudenza non riguarda il fine ultimo, che è oggetto
della sapienza, bensì i mezzi per conseguirlo. "La prudenza non si
occupa delle cose da farsi necessariamente bensì delle contingenti (...). La prudenza fa sì che
l’uomo si comporti bene nella scelta di quei mezzi che servono a!
fine" (C. G., III, c. 35).
Mentre la sapienza è massima tra le
virtù dianoetiche (speculative), la prudenza è massima tra le virtù etiche
(morali). "La prudenza, scrive S.Tommaso, è
la virtù più necessaria per la vita umana. Infatti il ben vivere consiste nel
ben operare. Ma perché uno operi bene non si deve considerare solo quello che
compie, ma anche in che modo lo compie e così si richiede che agisca non per
impulso o per passione, ma secondo una scelta o decisione retta". E
questo "richiede il diretto intervento di un abito della ragione: poiché
deliberazione e scelta, aventi per oggetto i mezzi, appartengono alla
ragione" (I-II, q. 57, a. 5).
Nell’ambito della vita attiva la
prudenza e la
virtù principe: "Prudentia
est auriga virtutum" (II
Sent., d.
41, q. 1, a. 1, ob. 3) e, pertanto, relativamente a quest’ordine (non in
assoluto) costituisce la felicità umana: "Come la felicità di ordine
speculativo viene attribuita alla sapienza, che abbraccia sotto di sé come
regina tutti gli altri abiti (virtù) speculativi; così la felicità di ordine
attivo (pratico), la quale accompagna le azioni delle virtù morali, va
attribuita alla prudenza, che è la più alta di tutte le virtù" (X Ethic., 8, lect. 12, n.
2111).
Come
osserva acutamente S.Tommaso, la prudenza non esige soltanto la conoscenza
dei casi singoli ma anche dei principi universali: "Infatti
nessuno può applicare una cosa a un’altra senza conoscere entrambe, cioè
la cosa da applicare e quella a cui va applicata. Ma le azioni
umane sono
tra i singolari. Quindi è necessario che la
persona prudente conosca i principi universali della ragione,
e conosca pure i singolari di cui si occupano
le operazioni" (II-II, q. 47, a. 3).
Tutti gli uomini hanno bisogno della prudenza per incamminarsi sulla
retta via che conduce al traguardo della perfetta felicità. della pace beata.
Ma questa virtù S.Tommaso la richiede soprattutto per una categoria di persone,
la categoria degli uomini politici, di coloro cioè che hanno la responsabilità
di provvedere al bene comune, cioè alla felicità di tutti.
Ai governanti S.Tommaso chiede una prudenza speciale, che chiama regale
o politica "in quanto e ordinata al bene comune" (II-II. q. 47. a.
10). Chi esercita il potere politico deve possedere la virtù della prudenza
soprattutto quando vara delle leggi e quando impartisce dei comandi. Le leggi
che emana devono favorire il vivere bene, ossia il vivere virtuoso dei cittadini.
"Spetta alla prudenza deliberare, giudicare e comandare rettamente i mezzi
che servono per raggiungere il bene di tutta la collettività" (ibid.). Gli ordini devono essere giudiziosi, e devono essere dati
dopo che si è saggiamente deliberato e valutato che cosa sia più opportuno
fare (II-II, q. 47, a. 8).
Questa prudenza politica, che deve guidare ogni governante, rende
effettivamente partecipe ogni cittadino all’azione governativa della comunità.
Ora, "questa prospettiva di partecipazione
personale e quotidiana di tutti alla cosa pubblica,
spesso sottolineata dal Dottore
Angelico,
è un principio così fecondo da
risultare più ricco e moderno delle teorie odierne sulla democrazia"(0.
Benetollo).
Da ciò deriva una conclusione anche più generate: è proprio della
prudenza elevare l’uomo all’altezza della sua dignità (insieme all’altra
virtù principe dell’agire umano, la sapienza). Perciò l’umanesimo
autentico è quello che deriva da questa virtù regina della ragion pratica.
Nelle sue azioni l’uomo non è chiamato a concretare impulsi irrazionali. o
vaghi sentimentalismi, come vorrebbero i fautori di sistemi morali autonomi;
bensì a inserirsi nella realtà concreta, conosciuta possibilmente fino agli
ultimi dettagli e ai suoi attuali sviluppi. E' questo precisamente il compito
della prudenza. Nell’affrontare un’impresa così complessa e impegnativa
l’uomo non è abbandonato alle sue forze: oltre la prudenza acquisita e
naturale esiste infatti anche quella infusa di ordine soprannaturale. Essa corrisponde
a quel dono dello Spirito Santo che si chiama Consiglio.
Nella prassi come pure nella riflessione filosofica e teologica dei
nostri tempi si parla tanto di giustizia e di fortezza e talvolta anche di
temperanza: mentre regna un silenzio quasi totale per quanto concerne la
prudenza, di cui si misconosce sia il valore sia il significato.
Oggi, come non mai, la grande lezione di S.Tommaso e dello stesso
Aristotele su questa virtù meriterebbe di esser ascoltata con grande
attenzione.