Speranza

 

 

  Dal latino spes; è il sentimento di fiduciosa at­tesa rispetto al futuro. La speranza è una forza spi­rituale che interessa l’uomo in quanto uomo. Essa connota e distingue l’uomo dagli altri esseri altrettanto bene quanto la ragio­ne, la libertà, il linguaggio, la cultura, Ia reli­gione ecc.. La speranza è propria dell’essere-uomo perché questi è un essere incompiuto, in continuo movimento, in costante tensione verso il futuro. Si dà sia una speranza semplicemen­te umana sia una speranza cristiana: la prima fonda la sua attesa fiduciosa su calcoli e su poteri umani; la seconda fonda la sua attesa fidu­ciosa sulla Parola di Dio, sulle sue promes­se, sulla sua grazia.

 

  Sebbene la speranza sia dote specifica e domi­nante dell’essere umano, la filosofia le ha ri­servato scarsa attenzione. Nel pensiero greco non c’è posto per questa virtù, come non c’è posto per la libertà, la provvidenza e la storia. Platone, pur parlando frequentemen­te dell’eros che sospinge l’anima verso l’alto, non ha mai affrontato esplicitamente il tema della speranza. Qualche cenno più chiaro, ma sem­pre assai fugace e in definitiva meno elo­quente lo si incontra in Aristotele. Questi contrappone la speranza alla sensazione, dice che quest’ultima riguarda le cose presenti, men­tre la prima è rivolta alle future (De memo­ria 449b, 27).

 

        La speranza viene invece a occupare un posto di grande rilievo nel cristianesimo, che la collo­ca tra le tre virtù teologali, insieme alla fede e alla carità. I cristiani si distinguono da co­loro che "non hanno speranza" (1 Ts 4, 13). La prima lettera di Pietro (3, 14) assegna ai cristiani il compito di "essere pronti a ri­spondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi". Ai Romani S. Paolo scrive: "Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza, infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se spe­riamo quello che non vediamo lo attendia­mo con speranza" (Rm 8, 24-25). Gli occhi della speranza non sono la visione bensì la fede. Per questo la lettera agli Ebrei dichiara che la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedo­no" (Eb 11, 1).

 

  S. Tommaso dedica alla speranza una Quaestio disputa­ta. E' un testo assai importante, perché in es­so si affrontano tutti i temi basilari. Più am­pia la trattazione che riserva alla speranza nelle due Questioni 17 e 18 della Secunda Secundae. Un’attenzione ancora maggiore l’Angelico avrebbe riservato a questa virtù nel Com­pendium Theologiae, dove egli si era propo­sto di incentrare su questa virtù tutta la se­conda parte dell’opera. Purtroppo essa rimase incompiuta, come la Summa Theolo­giae, e l’interruzione è avvenuta quando 1’Angelico aveva appena iniziato la tratta­zione della speranza

 

1.  DEFINIZIONE

 

  La speranza può essere intesa sia come passione sia come virtù. La passione della speranza è la fidu­ciosa attesa di un bene futuro qualsiasi. Considerata come passione la speranza è una incli­nazione che non è né buona né cattiva, per­ciò non è né una virtù né un vizio. La virtù della speranza è la fiduciosa attesa di un bene futu­ro assolutamente buono (cfr. III Sent., d. 26, q. 2, a. 1, ad 3).

 

                    Muovendo dal principio generale secon­do cui la definizione di una virtù si ottiene precisando il suo oggetto: "Quia habitus co­gnoscuntur per actus et actus per obiecta" (De spe, a. 1), S. Tommaso per arrivare alla defini­zione della speranza la mette a confronto con un sentimento affine con cui può essere facil­mente confusa, il sentimento del desiderio (desiderium et cupiditas). Infatti anche il de­siderio si muove verso un oggetto non anco­ra posseduto. "Ma la speranza, osserva S. Tommaso, si distingue dal desiderio sotto due aspetti. Primo, perché il desiderio riguarda qualsiasi bene e appartiene all’appetito concupiscibile, mentre la speranza riguarda un bene arduo, e quindi cade sotto l’appetito irascibile. Secondo, il desiderio è rivolto a qualsiasi bene, indipendentemente dal fatto che sia possibile o impossibile; invece la spe­ranza è volta a un bene raggiungibile e im­plica una certa sicurezza di poterlo raggiun­gere" (ibid.).

 

Quattro sono le caratteristiche dell’ogget­to della speranza, considerata in generale:

 

1)      1)      che sia un bene;

2)      2)      un bene futuro;

3)      3)      un bene arduo;

4)      4)      e un bene possibile.

 

  Le caratteri­stiche specifiche dell’oggetto della speranza vista come virtù teologica sono due:

 

a)      a)      che il bene sia il bene supremo, la felicità, ossia Dio stesso;

b)      b)      che il suo raggiungimento sia reso possibile da Dio e non da qualche creatura.

 

  Pertanto occorre che il movimento della speranza sia rivolto a due oggetti: verso il be­ne da ottenere e verso colui sul cui aiuto si basa il suo raggiungimento.

 

  Ora il bene su­premo, che è la felicità eterna, l’uomo può ottenerlo soltanto con l’aiuto di Dio, come dice S. Paolo: “E' grazia di Dio la vita eter­na” (Rm 6, 23). Pertanto la speranza di con­seguire la vita eterna ha due oggetti: la stessa vita eterna che si spera e l’aiuto divino, grazie al quale si spera (..). Come l’oggetto forma­le della fede è la verità prima, mediante la quale si dà l’assenso alle cose che si credono e che formano l’oggetto materiale della fe­de, così l’oggetto formale della speranza è l’aiuto della divina potenza e pietà (formale obiectum spei est auxilium divinae potestatis et pietatis), mediante il quale il movimento della speranza tende ai beni sperati che ne formano l’oggetto materiale" (ibid.).

 

  Il soccorso divino con cui Dio aiuta l’uo­mo affinché possa sperare non è nient’altro che la grazia: "Mediante la grazia l’uomo viene a concepire un tale amore verso Dio, secondo l’affetto della carità, da essere assi­curato mediante la fede che egli gode di una predilezione da parte di Dio (..). Segue per­ciò dal dono della grazia che l’uomo abbia speranza in Dio (consequitur igitur ex dono gratiae quod homo de Deo spem habeat) (..). D’altronde, affinché uno si orienti verso un dato fine, è necessario che lo concepisca e lo senta come possibile a conseguirsi: e tale è il sentimento della speranza (affectus spei). Ora essendo l’uomo indirizzato all’ultimo fi­ne delta beatitudine solo mediante la grazia, è necessario che con la grazia venga impres­sa nella volontà umana la speranza di rag­giungere la beatitudine" (C. G., III, c. 153).

 

2.  IL SOGGETTO DELLA SPERANZA

 

  Come già si evince dall’ultimo testo ap­pena citato, S. Tommaso non concepisce la speranza come una virtù speculativa come la fede, che è la virtù soprannaturale che eleva la ragione alla conoscenza delle verità rivelate da Dio, bensì come virtù etica, che corrobora la vo­lontà nella sua adesione al bene assoluto. In­fatti, come s’è visto, oggetto della speranza è il be­ne supremo: S. Tommaso fa vedere che, pur trattan­dosi di un bene arduo, la sua sede non è l’ap­petito irascibile, perché questo ha come og­getto proprio i beni sensibili, ossia i beni ma­teriali; invece l’oggetto della speranza è somma­mente immateriale, è Dio stesso: "Oggetto dell’irascibile è il bene arduo in ordine alla sfera sensitiva. Invece oggetto della virtù delta speranza è l’arduo in ordine alla sfera intellettiva; o meglio è l’arduo che trascende lo stesso intelletto (supra intellectum exi­stens).Quindi la speranza ha come sede la volontà" (II-II, q. 18, a. I, ad 1; cfr. De spe, a. 2).

 

3.  VIRTU' TEOLOGALE

 

  La speranza, spiega S. Tommaso, si dice virtù teologale per due ragioni: 1) anzitutto perché Dio è il suo oggetto formale; 2) perché Dio è anche la sua causa efficiente. In altre parole, Dio sta alla origine della speranza (con la sua grazia e le sue promesse), e Dio è allo stesso tempo il traguardo ultimo della speranza; perché la meta che il credente brama di raggiungere non è altri che Dio stesso. Ecco come S. Tommaso mette bene a fuoco questo punto: "La speranza ha di mira due cose: il bene cui si aspira e l’aiuto col quale esso si raggiunge. Ora il bene che uno spera di raggiungere ha funzione di cau­sa finale; invece l’aiuto col quale spera di raggiungerlo ha natura di causa efficiente.

 

  Ma in tutt’e due i generi di causalità c’è l’ele­mento principale e quello secondario. Infatti fine principale è il fine ultimo; mentre se­condario è il bene che serve come mezzo per il raggiungimento del fine. Parimenti causa efficiente principale è il primo agente; e cau­sa efficiente secondaria è la causa agente se­condaria o strumentale. Ora, la speranza ha di mira la beatitudine eterna come ultimo fi­ne, e l’aiuto di Dio come causa prima che porta alla beatitudine. Perciò, come non è lecito sperare in un bene diverso dalla beati­tudine quale ultimo fine, ma solo quale mez­zo a essa subordinato; così non è lecito spe­rare in un uomo o in un’altra creatura, come se si trattasse di una causa prima, capace di condurre alla beatitudine. Mentre è lecito sperare da un uomo o da altre creature, se si considerano quali agenti secondari e stru­mentali, capaci di servire al conseguimento di certi beni ordinati alla beatitudine (...).

 

  La speranza ha carattere di virtù per il fatto che si adegua alla regola suprema degli atti umani (Dio): considerandola, sia come pri­ma causa efficiente, in quanto si fonda sul­l’aiuto di essa, sia come causa finale ultima, in quanto attende la beatitudine nella frui­zione della medesima. Da ciò è evidente che l’oggetto principale della speranza, in quan­to virtù, è Dio stesso. E poiché la nozione di virtù teologale consiste nell’avere Dio per oggetto, come fu spiegato in precedenza (III, q. 62, a. 1). è chiaro che la speranza è una virtù teologale" (II-II, q. 17, aa. 4-5).

 

  Confrontando la speranza con la carità, S. Tommaso fa vedere che la carità precede la speranza nell’ordine della perfezione, mentre segue la speranza nell’or­dine cronologico (De spe, a. 3). Ovviamen­te, nella visione beatifica, la speranza ha esaurito il suo compito e quindi vien meno (De spe, a. 4).

 

4.  CULTURA DELLA SPERANZA

 

  Anche se ricevuta da Dio come prezio­sissimo dono, la speranza non è un talento da celare in qua!che cassaforte. ma da trafficare. La speranza non è virtù statica ma dinamica. Alla pari della fede e della carità è un principio vitale, che per crescere va coltivato e alimentato. I principali mezzi, che S. Tommaso raccomanda per coltivare la speranza sono due: la preghiera e i sa­cramenti. Ecco come l’Angelico raccomanda la preghiera del Padre Nostro per alimentare la Speranza: "Poiché per la nostra salvezza oltre la fede si richiede la speranza, era opportuno che il nostro Salvatore, come è autore e con­sumatore della nostra fede con la rivelazione dei misteri celesti; così ci inducesse alla spe­ranza viva lasciandoci la forma della nostra preghiera, mediante la quale la nostra spe­ranza si eleva verso Dio soprattutto per il fatto che Dio stesso ci insegna quello che gli dobbiamo chiedere. Infatti egli non ci indur­rebbe a chiedere, se non avesse il proposito di esaudirci; e nessuno domanda a un altro se non quello che spera da Lui, e chiede pre­cisamente ciò che spera. Perciò mentre egli ci insegna a chiedere a Dio, ci esorta a spe­rare in Lui, e ci mostra quello che dobbiamo sperare da lui con l’indicarci quello che dob­biamo chiedere" (Comp. Theol., II, c. 3).

 

  Tutti i sacramenti fungono da alimento della speranza, ma lo fa in modo particolare il sa­cramento dell’Eucaristia: con esso il creden­te riceve l’autore della grazia e il principale artefice della sua speranza "Ne segue perciò che quando si riceve realmente il sacramento stesso, la grazia aumenti e la vita spirituale raggiunga la sua perfezione" (III, q. 79, a. 1). "Questo Sacramento non ci introduce subito nella gloria, ma ci dà la capacità di ar­rivarci" (III, q. 79, a. 2, ad 1).

 

  La speranza si alimenta ovviamente coltivando anche le altre virtù teologali, specialmente la fede, che costituisce il suo fondamento. E tra i misteri della fede, quello che maggior­mente accende la nostra speranza è la risurrezione di Cristo. "Era necessario che Cristo risor­gesse (...) a sostegno della nostra speranza. Perché vedendo risuscitare Cristo, che è il nostro capo, anche noi speriamo di risorge­re" (III, q. 53, a. 1).

 

(Vedi, VIRTU')

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