VOLONTA'
Dal latino
voluntas; è la facoltà (potere) con cui l’uomo persegue i propri fini e
cerca di realizzarli. Quattro sono le questioni princpali che riguardano la volontà: il
suo oggetto, sue qualità, il suo rapporto con l’intelletto e il suo
rapporto con le passioni. Questi quattro problemi sono stati studiati con
grande forse insuperata perizia da S. Tommaso. Gli scritti i cui se ne occupa
più direttamente e ampiamente sono: ha Somma Teologica (I, qq 80, 82, 83); il
De Malo (qq. 3 e 6); il De Veritate (q. 22).
1.
ESISTENZA DELLA VOLONTA'
La
prima cosa da accertare è che l’uomo sia dotato di un appetito singolare,
chiamato
volontà, diverso da quello degli animali che è di natura sensibile e
rivolto esclusivamente a beni materiali. L’argomento dell’esistenza di
tale appetito è tratto dalla presenza nel l’uomo di un potere conoscitivo
ben superiore a quello che hanno gli animali: è il potere conoscitivo a cui
si dà il nome di intelletto. Ma dato che l’appetito è proporzionato alla
conoscenza, si deve necessariamente concludere che nell’uomo esiste oltre
all’appetito sensitivo anche l’appetito intellettivo, ossia la volontà
"Nell’uomo,
scrive
l’Angelico,
è necessario
distinguere due appetiti: uno sensitivo e l’altro intellettivo. Infatti la
potenza appetitiva è una potenza passiva, che come tale è fatta per essere
mossa dall’oggetto conosciuto: cosicché l’appetibile conosciuto è un
motore non mosso, mentre l’appetito è un motore mosso come si esprime
Aristotele nell’Anima (III, 10)..
Ora, essendo
l’oggetto dell’intelletto e quello del senso cose di genere diverso, ne
consegue che l’appetito intellettivo è una potenza distinta dall’appetito
sensitivo" (I, q. 80, a. 2).
2.
OGGETTO DELLA VOLONTA'
Ciò che caratterizza la conoscenza intellettiva è la sua capacità di
raggiungere l’universale: non conosce soltanto questo o quel banco, ma il
banco; questo o quel cane, ma il cane; così non si forma soltanto l’idea di
questo o quel bene particolare ma anche quella del bene universale, del bene
assoluto, del bene perfetto, del bene sic
et simpliciter. Ora, poiché la volontà è l’inclinazione verso il
bene che accompagna Ia conoscenza intellettiva, ne risulta la conclusione,
che oggetto proprio della volontà è il bene universale. Verso tale oggetto
la volontà sente un’inclinazione naturale, in quanto è il suo oggetto
proprio, che l’appaga pienamente. "E' pertanto indispensabile che
come l’intelletto aderisce necessariamente ai principi primi, così la
volontà aderisca necessariamente all’ultimo fine, che è la
beatitudine" (I, q. 82, a. 1). Però tutto ciò che rientra dentro
l’orizzonte del bene (bonum)
cade anche dentro l’orizzonte della volontà. Infatti "essendo oggetto
della volontà il bene nella sua universalità, tutto ciò
che è incluso nella ragione di
bene può interessare l’atto della volontà (quia
enim voluntatis obiectum est bonum universale, quidquid sub ratione boni
continetur potest cadere sub actu vo1untatis)" (II-II, q. 25, a. 2).
3. PROPRIETA' DELLA VOLONTA': LIBERTA'
Prerogativa distintiva e singolare dell’appetito intellettivo, la volontà, è di essere padrona dei propri atti: ossia la volontà è libera, essa è padrona di se stessa e dei motivi che guidano le sue azioni. Anche se in linea di principio la volontà si muove necessariamente verso l’oggetto che le è proprio, il bene universale; di fatto, poiché concretamente tale bene non se lo trova mai davanti, nessuna azione della volontà è dettata da necessità (anche se molte azioni dell’uomo sono necessarie). Infatti tutti i beni che, in concreto, si presentano alla volontà hanno il carattere di beni particolari, "che non hanno una connessione necessaria con la felicità (il bene universale), poiché senza di essi uno può essere ugualmente felice: e la volontà non aderisce necessariamente ad essi (I, q. 82, a. 2). Di qui la conclusione: "La volontà resta libera dinanzi a qualsiasi oggetto di scelta anche se è naturalmente determinata a desiderare la felicità, ma non a questo o quell’oggetto particolare" (in omnibus quae sub electione cadunt, voluntas libera manet, in hoc solum determinationem habens quod felicitatem naturaliter appetit et non determinate in hoc vel illo) (II Sent., d. 25, q. 1, a. 2).
Di
tutte le facoltà umane solo la volontà gode del privilegio di essere libera:
i sensi, la fantasia, la memoria e l’intelletto sono tutti determinati
necessariamente dal loro oggetto; invece la volontà è sovrana anche dei
propri oggetti (motivi), eccezion fatta per il bene universale. Per
descrivere tale situazione di assoluta padronanza dei propri atti e dei propri
oggetti talvolta S. Tommaso usa il superlativo liberrima (II Sent., d. 35,
q. 1, a. 4; d. 39, q. 1, a. 1, ad 3). Poiché è intrinsecamente libera,
nessuno può porre la volontà in stato di schiavitù, tranne se stessa:
"Quia voluntas ilberrima est,
ideo hoc consequitur eam ut in servitutem cogi non possit; non tamen ab ea
excluditur quin seipsam servituti subiicere possit; quod facit quando voluntas
in acturn peccandi consentit" (II Sent., d. 39, q. 1, a. 1, ad 3). La
sovranità della volontà è talmente grande che si estende oltre che sui
propri atti anche sugli atti di tutte le altre facoltà: uno studia se vuole
studiare, guarda se vuole guardare, cammina se vuole camminare ecc. "La
volontà ha la supremazia (principalitatem)
su tutti gli atti umani, dato che in quanto liberissima inclina tutte le
potenze verso i loro atti (...). Infatti l’intelletto può
studiare o non studiare (considerare et
non considerare), a seconda che vi sia indotto o no dalla volontà;
altrettanto dicasi per l’appetito concupiscibile; lo stesso vale per gli
stessi atti esterni del movimento, come parlare e non parlare, camminare e
non camminare ecc." (II
Sent., d. 35, q. 1, a 4, sol.).
S.
Tommaso assegna alla volontà una triplice libertà: di esercizio
(agire o non agire); specificazione
(fare questo o quello) e contrarietà (compiere
il bene oppure il male) (De Ver., q. 22, a. 6).
4.
RAPPORTI DELLA VOLONTA' CON L’INTELLETTO
Da ciò che s’è detto emergono due verità: in quanto appetito la volontà è subordinata all’intelletto: è l’intelletto che propone alla volontà ciò su cui essa esercita il suo potere di scelta; per contro, in quanto liberissima e sovrana su tutte le facoltà dell’uomo, la volontà è superiore all’intelletto. E alla luce di queste due inoppugnabili verità che S. Tommaso risolve la questione dei rapporti tra intelletto e volontà e del primato delle facoltà. Secondo l’Angelico, assolutamente parlando, il primato spetta all’intelletto, perché "l’oggetto dell’intelletto è più semplice e più assoluto che quello della volontà: essendo l’oggetto dell’intelletto l’idea stessa del bene appetibile; oggetto invece della volontà è il bene appetibile la cui idea si trova già nell’intelletto" (I, q. 82, a. 3). Più precisamente, dal punto di vista della causalità efficiente la volontà è superiore all’intelletto, in quanto essa comanda a tutte le facoltà dell’anima, incluso l’intelletto (II Sent., d. 35, q. 1, a. 4). Invece dal punto di vista della causalità finale il primato spetta all’intelletto: "Sotto questo aspetto è l’intelletto a muovere la volontà, perché il bene intellettuale conosciuto è l’oggetto della volontà e la muove come fine" (I, q. 82, a. 4).
5. VOLONTA' E PASSIONI
L’uomo è libero ma non sconfinatamente libero come pretendono alcuni filosofi. La stessa tendenza della volontà verso il bene è, come s’è visto, secondo S. Tommaso, necessaria e naturale: "Voluntas nihil facit nisi secundurn quod est mota per suum obiectum quod est bonum appetibile" (De Ver. q. 14, a. 2). Però, sia prima sia dopo S. Tommaso, ci sono stati filosofi i quali, impressionati dal potere che spesso esercitano le passioni sull’uomo, hanno affermato che la volontà non è affatto libera ma è sempre soggetta e dominata dalle pulsioni degli appetiti sensitivi, ossia dalle passioni: la volontà a loro giudizio sarebbe schiava delle passioni. Questo problema viene affrontato anche dall’Angelico, che non esita a riconoscere il forte potere delle passioni, un potere talmente forte che in alcuni casi (di ira, di lussuria, di gola ecc.) riesce persino a cancellare nell’uomo il potere della volontà; ma S. Tommaso difende categoricamente il principio che finché nell’uomo persiste la volontà, questa rimane essenzialmente libera, anche se più o meno pesantemente condizionata. Infatti "o il movimento della volontà non ha luogo e domina esclusivamente la passione; oppure si dà il movimento della volontà e allora essa non segue necessariamente l’impulso della passione" (I-II, q. 10, a. 3).
Compete
comunque alla volontà, nella sua qualità di facoltà superiore e spirituale,
la funzione di governare le passioni e metterle al servizio del fine ultimo,
la piena realizzazione dell’uomo. Purtroppo dopo il peccato originale, che
ha avuto come conseguenza la rottura della subordinazione delle passioni alla
volontà, l’azione di controllo delle passioni da parte della volontà è
diventata un’operazione assai difficile: ci vuole molta educazione e autodisciplina,
un dominio consueto della volontà sulle passioni, così da convogliare le
loro tendenze verso il bene. La volontà che si impone abitualmente alle
passioni dà origine a quegli abiti operativi che si chiamano virtù. Queste
trasformano l’uomo istintuale in uomo virtuoso, ossia in uomo autentico.
Grazie all’esercizio ripetuto degli atti, la personalità di un uomo si
edifica se gli atti sono buoni, oppure si smantella, se gli atti sono cattivi.
Tale edificazione,
cioè tale consolidamento
della volontà nell’ordine del bene, è una specie di facile padronanza superiore di se stesso in vista delle
scelte conformi al fine ultimo; essa è assicurata mediante la conquista
delle virtù (I-II, qq. 49-70). Senonché dopo lo sconquasso causato dal
peccato, la ripresa del controllo di se stessi e il dominio della volontà
sulle passioni, risulta di fatto impossibile. Per questo c’è bisogno
della grazia: questa non solo santifica l’anima, ma potenzia anche tutte
le sue facoltà, in modo particolare la volontà, la aiuta a riprendere il
controllo delle passioni, ad acquisire le virtù cardinali e a perseguire con
decisione, fermezza e costanza, il fine ultimo, il bene supremo, che è la
partecipazione alla vita divina. Duplice è la grazia che Dio concede alla volontà: la grazia operante
che è l’impulso verso il bene; e la grazia
cooperante, che è l’aiuto a compiere di fatto il bene facendo
determinate azioni. In noi, scrive S. Tommaso, ci sono due tipi di atti. Il primo è l’atto interiore della volontà. E
riguardo a questo atto la volontà viene mossa, mentre Dio ne è il motore:
specialmente poi quando una volontà che prima voleva il male, comincia a
volere il bene. Perciò la mozione di Dio che porta la mente umana a codesto
atto, si denomina grazia
operante. Il secondo
tipo di atti è
costituito dagli aiuti esterni; i quali essendo imperati dalla volontà
vengono ad essa attribuiti. E poiché Dio ci aiuta anche in questi, sia
rafforzando interiormente la volontà per giungere ad essi, sia dando
esteriormente la capacità di compierli, rispetto a essi la grazia si
denomina cooperante" (I-II,
q. 111, a. 2).
La grazia con cui Dio assiste la volontà nel compimento del bene, non
solo non fa nessuna violenza alla sua libertà, ma risanandola e
potenziandola fa si che essa sia indirizzata verso quegli obiettivi che
contribuiscono efficacemente alla piena realizzazione dell’uomo secondo il
piano divino, che è quello di renderlo partecipe alla vita divina (I-II, q.
113, aa. 3-8).
(Vedi:
ARBITRIO, INTELLETTO, APPETITO, PASSIONE, GRAZIA, UOMO)
_______________________________________________________________________