HOME PAGE
|
SAN TOMMASO DI FRONTE AL PENSIERO
MODERNO (IV)
San
Tommaso davanti alla sfida di Heidegger
A
questo punto ognuno vede che ciò che è sembrato, per molta storiografia
tradizionale piatta e miope, un litigio di scuole medioevali e motivo di
beghe conventuali senza fine - la ricordata distinzione di essentia-existentia
- sta invece al centro della determinazione del rapporto dell'uomo alla
verità e del fondamento ultimo della libertà: esso qualifica perciò ogni
tipo di filosofare nella sua essenza. L'argomento è così impegnativo che
non permette più, né ai realisti né agli immanentisti, di essere eluso:
per ora ci basti un accenno al suo momento cruciale, dal quale emergerà,
senza dubbio alcuno, il carattere assolutamente originale e
incomparabilmente attuale della concezione della dialettica tomistica del
plesso di ens-essentia-esse in contrapposizione al plesso amorfo e
statico di ens-essentia-existentia della tradizione formalistica. Non
a caso l'estrinsecismo vuoto della distinzione modale di essentiaexistentia
nella scolastica è stato indicato come il vero precursore e
responsabile del vuoto nella struttura del rapporto di coscienza-essere nel
pensiero moderno (21) ovvero della Vergessenheit des Sein ' s denunziata
da Heidegger, ma di cui egli stesso non ha saputo evitare di essere la
vittima. Heidegger resta sempre lo stimolo più efficace alla ripresa della
metafisica, malgrado tutto: egli è, e non può non essere per noi, come
l'Ebreo errante - nel simbolo caro a Kierkegaard - che accompagna i
pellegrini fino alle soglie della Terra Santa, ma senz'entrarvi mai.
Per Heidegger, la " ... distinzione di essentia ed existentia
(che egli fa equivalenti a Wesenheit e Wirklichkeit), nascosta
nella sua essenziale origine, domina il destino della storia occidentale e
dell'intera storia europea in particolare" (22), ossia essa è
l'espressione speculativa dell'oblio dell'essere. A suo parere, in questo
primo scorcio della questione, nel linguaggio tradizionale, essenza è ciò
che qualcosa (per es. l'uomo) è, e sta perciò a fondamento della sua
esistenza che è l'actualítas: essenza ed esistenza sono perciò e
diventano sinonimi di 'possibilità' e 'realtà' Nella metafisica del secolo
XVIII (quindi soprattutto con Wolff e la sua scuola) l'esistenza prese il
posto della parola 'oggetto' (Gegenstand),e per Kant la existentia
è la realtà nel senso dell'oggettività dell'esperienza: Kant quindi
costituisce il 'momento risolutorio' del pensiero occidentale, in quanto
prima di Sartre capovolge il rapporto di essentia-existentia. Hegel
lo svincola da ogni aderenza empirica, in quanto determina la existentia come
l'Idea, che sa se stessa, come la soggettività assoluta. In Nietzsche la essentia
è la volontà di potenza (Wille zur Macht) e la existentia si
esprime con 1'"eterno ritorno del simile" (ewige
Wiederkunft des Gleichen). Ci sì ferma perciò sempre all'essente nel
Tutto: « Il mondo come l'essente nel Tutto, la cui essentia è la
volontà di potenza, esiste, la sua existentia è l'eterno ritorno
del simile » (23). La corrispondenza delle due terminologie sembra
perfetta. Quel che importa soprattutto rilevare è che, per Heidegger,
filosofia tradizionale e filosofia moderna si oppongono nel modo di
concepire il rapporto (di fondazione) della coppia essentia-existentia,
che pretende esprimere la verità dell'ens: ma convengono nel
comune errore d'aver cercato il fondamento della verità in questo rapporto,
anche se in direzione inversa. Infatti, nella concezione tradizionale, la
quale comprende la existentia sul fondamento dell'essenza, ciò che
soprattutto importa è che cosa e chi sia l'uomo: l'esse
essentiae domina perciò l'esse existentiae. E la verità è
sempre vista a partire dal dominio dell'essenza. Questa verità è la verità
circa l'essente, e la metafisica ha avuto il compito di determinare questa
verità col portare a concetto l'entità dell'ente: nell'entità dell'ente
la metafisica pensa l'essere. L'essere è funzione di quel rapporto. Il
pensiero moderno mantiene lo stesso rapporto ma lo capovolge; è ancora
l'essenza che fonda l'esistenza, ma l'essenza è ora concepita come la
soggettività umana del soggetto, e l'esistenza come l'attuarsi autonomo di
tale soggettività: l'esistenza è l'oggettività scaturiente dalla
soggettività.
È in virtù di tale aberrazione, dell'aver cioè centrato il fondamento
della verità sul 'fatto' di essere come realizzazione di una possibilità
(oggettiva o soggettiva che sia), che la verità è stata anzitutto definita
come rapporto, "conformità" (adaequatio), e ciò ha
portato alla tesi moderna (a partire da Cartesio) della verità come
"certezza" (Gewissheit). L'aberrazione è di aver concepito
la filosofia come "teoria della conoscenza". Di qui la concezione
dell'uomo come animal rationale, che ha portato a sua volta al
prevalere del fare, della scienza e della tecnica (e della politica,
aggiungo io) e, come all'ultima sua degenerazione, alla dissoluzione della
filosofia nella logica e logistica. E' questa l'essenza del nichilismo
affermato da Nietzsche, e del fallimento insieme di quella "filosofia
dei valori" che egli intendeva opporre alla filosofia tradizionale: il
prevalere della volontà sul pensiero, del fare sull'essere, dell'homo
faber sull'homo sapiens: « L'animale da lavoro è abbandonato
all'ebbrezza delle sue opere, perché sbrani se stesso e si annienti nel
nulla di nulla » (24). Così Heidegger spiega anche la realizzazione della
bomba atomica, che esprime il pericolo costitutivo dell'epoca nostra come
minaccia (che è e sarà) sempre in atto della distruzione totale dell'uomo:
perché l'uomo non ha voluto ascoltare la "voce" dell'Essere,
perché non si è riconosciuto come "pastore" dell'Essere, perché
non ha considerato il linguaggio come "casa" dell'Essere ? cioè
perché non ha visto nell'Essere stesso il fondamento dell'essente, perché
ha dato il primato alla "conoscenza" dell'essenza e non alla
"esperienza" dell'Essere. E' l'uomo, e il pensiero umano in
generale, allora, che va compreso a partire dall'esperienza (di presenza)
dell'Essere, e non viceversa.
E' chiaro da questa diagnosi che l'accusa heideggeriana, come colpisce in
pieno il vuoto o tradimento speculativo che fa capo alla distinzione di essentia-existentia
della scolastica formalistica, non solo non tocca il plesso tomistico di
ens-essentia-esse, ma questo emerge ora come non mai nella sua
effettiva consistenza e virtualità speculativa, e si innalza a giudizio
dello Irren dello storicismo fenomenologico in cui si risolve la
posizione dello stesso Heidegger, malgrado le sue apprezzabili intenzioni e
la decisiva forza speculativa delle sue istanze.
Una volta che si riconosca, come si deve riconoscere, la derivazione e
deviazione teologica della metafisica dell'immanenza con le sue varie
propaggini, il compito del tomismo del futuro sembra debba essere anzitutto
quello di penetrare l'esigenza di quella proclamata immanenza. traendola
dentro il problema essenziale del pensiero, che è la fondazione della
coscienza nell'essere e del finito nell'Infinito: chiarendo a un tempo perché
l'uomo si cerca nell'essere e perché l'essere s'illumina nell'uomo,
fondando così i principii della 'metafisica dell'atto', non come una figura
culturale isolata, ma come la sostanza perenne dell'umano filosofare in cui
si dileguano le manchevolezze e le deviazioni dei sistemi. Ed è al tomismo,
più che a qualsiasi altra scuola di pensiero cristiano, che si addice tale
missione di unificazione dell'umana coscienza, dai frammenti del suo
divenire storico, nella sua struttura teoretica universale.
San Tommaso, pensatore 'essenziale'
È ovvio che i grandi del pensiero, come i veri grandi della vita, non hanno
nulla da temere per il futuro: siamo noi, tomisti o antitomisti, che
dobbiamo essere ben guardinghi sui nostri passi e misurare i nostri giudizi
di approvazione o disapprovazione per non scoprire le carte della nostra
incomprensione e della nostra mediocrità.
C'è in ogni pensatore originale, ovvero "essenziale" (secondo la
terminologia heideggeriana), una scintilla nuova e incomparabile che non può
estinguersi o andare smarrita nel corso dei secoli, e alla quale l'umanità
deve poter attingere e ritornare se vuol conservare la sua individuazione
spirituale e progredire in essa nell'approfondimento del significato del
proprio essere e del suo ultimo destino. Tutte le polemiche antiplatoniche e
antiaristoteliche, che sono state accumulate nella cultura occidentale dal
tardo medioevo e nella formazione della cultura moderna, non hanno potuto
impedire che le edizioni delle opere di Platone e Aristotele continuino a
moltiplicarsi in forme sempre più pregevoli, e che mai le loro idee siano
state oggetto di studi così appassionati e accurati, nei centri
universitari di Europa e d'America più quotati, come ai nostri giorni. Più
ci si allontana dalla data di origine e più la forza del pensiero di quelle
scintille sembra s'accresca e divampi, perché fatta più libera dalle
scorie e incomprensioni di una scolastica miope o da avversari depravati da
false piste e meschine invidie: si devono proprio a queste strane ma
inevitabili remore, a cui è costretto il genio della dialettica della
storia, se il pensiero di quei grandi può alla fine - dissipato il fumo
della battaglia - diventare una speranza e una consolazione per sempre. Sta
bene anche qui il grande pensiero di Hegel, nell'Introduzione alla Filosofia
del diritto, che la filosofia è come l'uccello di Minerva che si alza a
volo solo al calar della notte.
Un'altra osservazione, parallela alla precedente e forse identica nel fondo,
è che questi grandi, in quella scintilla primordiale in cui è balzato il
loro spirito, non sono, non possono essere oggetto di giudizio, ma sono
giudici del proprio tempo e di quello futuro, e con insistenza o incidenza
sempre maggiore a seconda che l'umanità proceda nella sua storia e
nell'avventura delle nuove formule e delle curiose o buffe semantiche che
pretende di venire svolgendo. Certo, nulla di più caduco delle critiche di
Platone e di Aristotele ai filosofi naturalisti del secolo precedente al
loro, e povera ci sembra oggi in particolare non tanto la scienza di
Aristotele quanto la sua critica a pensatori del calibro dì Parmenide ed
Eraclito, ben noti alla patristica cristiana e che oggi la più recente
storiografia filosofica (anche per l'influsso di Heidegger) porta in primo
piano. Anzi, proprio dall'approfondimento di questa deviazione che si può
salvare la scintilla dell'Idea platonica e dell'Atto aristotelico per una
"ripresa" del filosofare nella sua essenza incorruttibile.
Come si spiega allora che i più apprezzati e attrezzati centri di studi del
platonismo e dell'aristotelismo siano emigrati, almeno da un secolo e più,
dalle università cattoliche nelle università e facoltà a sfondo
umanistico e idealistico di Germania, Francia e Inghilterra e vi prosperino
tuttora con insolito vigore? Perché mai la cultura cattolica si è lasciata
sfuggire, ancora una volta, temi e campi che sembravano più propriamente
suoi, più consoni e congeniali alla sua tradizione spirituale e alla
responsabilità della sua missione per conservare e salvare i valori
dell'Occidente? Qui non si vuole fare il processo a nessuno, ma sarebbe
stolto non riconoscere i fatti, e questi attestano che quando si vuol
comprimere una fiamma di verità autentica, lo spirito sa aprirsi per
proprio conto una nuova via per fiammeggiare altrove. Questi e consimili
fenomeni di disfatta - o di 'perdita' (se vogliamo addolcire il termine) -
spirituale possono avere certamente molte cause e sarebbe facile elencarle,
ma qui non ci interessano: ciò che deve interessare, e ciò che rattrista
ogni spirito pensoso delle sorti dell'uomo di domani, è la facilità con
cui un'epoca o una cultura può 'dimenticare' e perfino condannare gli
elementi eterni dei pensatori essenziali per pretendere di addossarsi ex
novo et a principio la determinazione del senso e del criterio della
verità.
Una terza e ancor più elementare considerazione in questo campo riguarda
proprio la delicata situazione della cultura cattolica, che sembra trovarsi
sotto il fuoco incrociato dell'autorità ecclesiastica e della dottrina
teologica. "Sembra", abbiamo messo a bell'apposta: poiché
qualunque episodio si possa evocare a facile spauracchio e qualunque
principio sussidiario si possa invocare a comodo cuscinetto di pigrizia, sta
il fatto che, ogniqualvolta è apparso il genio autentico, la Chiesa è
stata lieta e fiera di riconoscerlo, di appropriarselo per il compimento
della sua missione di verità. 1 modi di questo riconoscimento possono
variare e andare perfino soggetti a crisi, per il confluire, in un organismo
così complesso com'è la vita della Chiesa, di forze e passioni
contrastanti. Si può perfino ammettere, poiché alla Chiesa tocca anzitutto
guidare alla via della Vita eterna e non sanzionare una qualsiasi filosofia,
che intervengano perfino momenti di incertezza, e proprio per la
preoccupazione pastorale ora indicata: ma sono personalmente convinto che la
Chiesa ha tanta esperienza delle realtà umane che non può sbagliare sul
giudizio dell'effettivo valore dell'intelligenza, la quale è, fra l'altro,
il primo e più fondamentale dono di Dio all'uomo e nel quale l'uomo si
riconosce anzitutto figlio di Dio.
Nei riguardi di san Tommaso, poi, che può stare benissimo a suo agio in
quella 'filosofica famiglia di sommi', la Chiesa com'è noto non ha
aspettato molto per pronunciarsi, ed è altrettanto noto che il Magistero
dei Pontefici in quest'ultimo secolo ha fatto per, san Tommaso ciò che mai
prima era stato fatto per nessun altro dottore o scrittore ecclesiastico.
Questi passi, quanto insoliti altrettanto espliciti e risoluti, hanno urtato
molte suscettibilità fuori e dentro il mondo cattolico: fuori, perché si
pensava che la Chiesa volesse premiare il fautore più risoluto della
teologia speculativa e del primato dal Pontefice romano; dentro, perché
sembrava (e sembra!) esagerato attribuire a un autore singolo un bene e un
favore a cui sembra abbiano altrettanto diritto gli altri autori che
difendono l'ortodossia, un onore che finirebbe per riversarsi poi a
vantaggio esclusivo di una scuola con esclusione e quindi con evidente danno
morale delle altre, che appartengono parimenti alla Chiesa. Si potrebbe
rispondere - e per noi è una risposta puramente formale, ma anche
perfettamente corretta (come ci sembra) - che la Chiesa è nel suo pieno
diritto di fare una discriminazione in questo campo, come lo è ogni società
per la scelta dei mezzi che reputa più convenienti al conseguimento del suo
fine, e che di questo diritto la Chiesa è in grado di assumersi tutta la
responsabilità. Ma il nostro problema è, o vorrebbe essere, un altro, di
ordine più direttamente esistenziale, quasi come un'interrogazione e una
risposta insieme rivolta a noi stessi, a ciascuno di noi che ha passato la
vita negli ardui compiti del pensiero, consapevole certamente del rispetto
che si deve alle idee di chiunque nella vita, ma anche e soprattutto di non
perdere, che non vadano dimenticate per sé, per la Chiesa e per l'umanità,
nessuna di quelle scintille essenziali. È possibile, per così esprimerci,
portare questo problema 'in situazione'?
Pensiero cristiano e pensiero tomista
Non si deve pensare che l'azione dei Papi a favore di san Tommaso abbia
ottenuto senz'altro la adesione indiscussa e integrale delle scuole
cattoliche, come i decreti formulavano con insistenza e come facevano
intendere anche certi energici interventi, soprattutto di Leone XIII e di
san Pio X. Basti un esempio: san Pio X ordinò che il testo ufficiale di
teologia speculativa nelle facoltà di teologia fosse la Somma teologica,
ma quante università o istituti universitari cattolici, fuori dei
domenicani, hanno effettivamente attuato quest'ordine? Ossia, un po' alla
volta le situazioni sono quasi ritornate - almeno in alcune parti ? non
dissimili dall'eclettismo caotico di quelle di un secolo fa, prima della Aeterni
Patris.Molti laureandi in teologia hanno compiuto e compiono l'intero curriculum del
tutto ignari della Somma,di cui confessano con candore di ignorare
perfino la divisione e la struttura fondamentale. Sono cose note a tutti,
queste, e perciò non deve dispiacere a nessuno se vengono dette. Un secondo
motivo, non meno operante dall'intimo della situazione in atto, viene dal
progresso della cultura moderna, dal perfezionamento indiscusso delle nuove
tecniche d'indagine in tutti i campi non solo delle 'scienze della natura' (Naturwissenschaften
ma anche delle 'scienze dello spirito' Geisteswissenschaften), per le
quali non solo sembrerebbe inutile ma perfino controproducente il richiamo a
san Tommaso. Si pensi soltanto, per esemplificare, alla complessità dei
problemi moderni dell'esegesi biblica, della storia dei dogmi, della critica
storica... per non dire delle nuove problematiche in filosofia, dei rapporti
fra scienza e filosofia, fra filosofia e linguaggio, e così via. Tutto è o
sembra cambiato: il linguaggio, il metodo e gli obiettivi finali della
scienza stessa, i quali non si accontentano più di nozioni e descrizioni
dei fenomeni, ma mirano risolutamente alla trasformazione della figura del
mondo e dell'uomo in esso. Sarebbe perciò del tutto anacronistico, e
farebbe convalidare l'accusa del più vieto oscurantismo, il far ritorno e
il legarsi a una ideologia che è distante dal mondo moderno come la
concezione tolemaica dalla copernicana, cioè di un paio di millenni: non
sembra certamente questo lo spirito dell'ultimo Concilio. Un motivo
parallelo e altrettanto operante nel fondo della coscienza contemporanea,
per un siffatto atteggiamento storicistico nei riguardi di un ritorno al
pensiero tomistico, è la condizione culturale del laicato cattolico. In
molte nazioni i laici cattolici sono formati nelle università e facoltà di
Stato, e per forza di cose assorbono programmi e insegnamenti su ogni scala
ispirati al pensiero moderno, mentre restano più o meno completamente
all'oscuro della complessa ricchezza del pensiero cristiano e in particolare
del vigore speculativo della filosofia e teologia tomistica. Senza dire che
nello stesso clero, quasi di riverbero e come per un complesso d'inferiorità,
si sviluppano e si attuano amori segreti col pensiero moderno, che altro non
aspettano per venire alla luce che l'occasione propizia, come l'affermazione
pubblica di qualche filosofo di cartello che si dice cattolico e credente,
per corrergli appresso con la più candida e incondizionata adesione al
principio moderno d'immanenza. E così si finisce per non capire più nulla:
né il pensiero moderno né il realismo classico; tutto fluttua in un mare
di aspirazioni indefinite, con un disagio profondo che si riflette in tutta
la compagine religiosa e sociale del nostro tempo. Questi gli aspetti,
alcuni, del lato subiettivo della situazione.
Note:
(21)
Cfr J. FERRATER MORA, Suarez et la philosophie moderne, in Revue
de métaphysique et de morale, 1963, pp. 6 ss. ? L'analisi
dell'essenzialismo deve essere portata fino in fondo, che è eliminazione
dell' essere come atto, dissolto nella paura "presenza", e quindi
fino alla denunzia dell'ateismo radicale che è l'ultimo atto dell'oblio
dell'essere (cfr C. FABRO, Introduzione all'ateismo moderno, II ed.,
Roma 1969, spec. pp. 921 ss.).
(22) Die in ihrer Wesensherkunft verborgene Unterscheidung von 'essentia'
(Wesenheit) und 'existentia' (Wirklichkeit) durchherrscht das Geschick der
abendlandischen und der gesammten europaisch bestimmten Geschichte (Brief úber
Humanismus, Berna 1947, p. 73). Possiamo dire che questo è stato il Leitwort
(o Leittezt, Leitsatz, se così piace) di questo nostro dialogo con
Heidegger. Il richiamo a questo momento cruciale diventa in Heidegger sempre
più insistente: Kennzeichnend ist fur die Metaphysik, dass in ihr durchgàngig
die existentía, wenn uberhaupt, dann ímmer nur kurz und wie etwas
Selbstverstandliches abgehandelt ist (Vgl. die durftige Erklarung des
Postulats der Wirklichkeit in Kants Kritik der reinen Vernunft). Die einzige
Ausnahme bildet Arístoteles, der díe *** durchdenkt, ohne dass jemals
dieses Denken kunftig in seiner Ursprúnglichkeit wesentlich werden konnte (Ueberwindung
der Metaphysik, § VII, loc. cit., p. 76). Una volta però, cioè con
l'esse tomistico (che Heidegger sembra ignorare), questa ha attinto la
sua purezza di atto ultimo metafisico.
|