Le ultime notizie
apparse sui giornali sull'intenzione del Ministro dell'Istruzione
(Pubblica?) Letizia Moratti di andare avanti per la sua strada
nella riforma della scuola, non ci hanno stupito. Sapevamo, anche
durante il dicembre caldo delle occupazioni e delle autogestioni,
che ci avrebbe provato a far passare il suo disegno di legge a
tutti i costi. E soprattutto quando meno ce lo aspettavamo. Cioè
quando il mondo della scuola è impegnato a fare altro: gli
studenti a chiudere i quadrimestri, i professori nei trasferimenti
e nelle programmazioni dei quadrimestri, i sindacati della scuola
nei congressi. Sapevamo che per nessun motivo potevamo abbassare
il livello dell'attenzione sulla scuola. Quello che forse non ci
aspettavamo è l'assoluta indifferenza che il
Ministro Moratti mostra nei confronti delle proteste di chi la
scuola la vive tutti i giorni sulla sua pelle. E' evidente che a
questo Governo non interessa il parere di più di 10 mila studenti
che sono scesi in piazza e che hanno fatto naufragare gli Stati
generali della scuola. Ed è bene ricordare che quel giorno a Roma,
non c'erano solo studenti. Oggi la Moratti ci riprova, dicendoci
di aver
apportato delle modifiche al disegno proposto da Bertagna.
Modifiche minime. Rinuncia ad esempio a ridurre di un anno la
durata del Liceo e rinuncia all'idea del credito formativo per la
scuola materna (??). In compenso ci lascia una commissione d'esame
di maturità composta solo da membri interni, più facile per gli
studenti ma che cancella il nuovo approccio all'esame avviato con
la maturità Berlinguer. La riforma annunciata dell'esame di
maturità, ridotto a un semplice scrutinio di fine anno, è un colpo
alla credibilità della scuola pubblica, un regalo alla scuola
privata meno qualificata (diplomifici). La Moratti ci lascia poi
il tentativo di azzeramento degli organi collegiali locali (i
consigli d'istituto per intenderci) togliendo agli studenti un
elemento fondamentale
nella formazione della coscienza di cittadini - e cioè la pratica
quotidiana della democrazia che oggi avviene appunto con l'
elezione dei rappresentanti negli organi collegiali - e togliendo
ad insegnanti e genitori un luogo in cui confrontarsi
democraticamente e collegialmente su problemi comuni. Soprattutto
si lascia inalterato il punto dolente della riforma: la
separazione tra licei e scuole professionali e l'impostazione
confessionale dei percorsi didattici. Ed è proprio questo ciò che
continua a farci inorridire della riforma. Che il disegno della
Moratti fosse una controriforma che rischia di riportare la scuola
italiana indietro di 50 anni era ormai fuori di dubbio. Ma ci
atterrisce il modo con cui questa intenzione viene espressa in
documenti ufficiali del Ministero. Questo è un passo testuale del
rapporto della Commissione Bertagna, che lascia poco spazio al
dubbio: "si può ritenere che il fine prioritario dell'istruzione
possa collocarsi nel conoscere, nel teorizzare. Avrebbe a che fare
con le idee e con le relazioni intellettuali funzionali tra le
conoscenze.
La formazione avrebbe più a che fare con il
produrre, con l' operare e con il costruire. . . Proprio per
approfondire questo plesso di reciproche implicazioni, il Gruppo
di lavoro propone ai
soggetti istituzionali che dovranno assumersi la responsabilità di
questo compito di confrontarsi con alcune esigenze e con una
precisa ipotesi ci organizzazione dei piani di studio che si
presenta separatamente per il sistema di istruzione e per il
sistema di formazione". Si ribadisce dunque una netta separazione
tra istruzione, destinata a formare quelli che pensano (dirigenti
ed
intellettuali), e formazione destinata a formare persone che fanno
(operai?). Di conseguenza all'istruzione deve essere destinato un
percorso mentre alla formazione ne deve essere destinato un altro,
nettamente differente. Come se non bastasse la riforma Moratti
costringe i ragazzi a scegliere a 14 anni tra studio e lavoro
disattendendo l'intenzione della riforma Berlinguer di elevare
l'obbligo formativo a 18 anni, togliendo di fatto ai giovani la
possibilità di diventare padroni del proprio futuro e svuotando la
scuola della sua funzione fondamentale che è l' educazione.
Completamente scomparsa è poi l'idea di una scuola laica che
sappia dare uguale cittadinanza a tutte le confessioni religiose,
passo secondo noi obbligato in una popolazione scolastica di fatto
multiculturale e multiconfessionale. E se la commissione
ministeriale per la didattica su 8 membri ne conta ben 5 tra preti
e suore, è legittimo avere seri dubbi sul mantenimento di una
certa laicità di insegnamento nella scuola dell'era Moratti. Ed è
un'intenzione che il ministro non tenta nemmeno di nascondere,
tant'è che tra i punti chiave del nuovo progetto di riforma (in
bella vista nel sito del Ministero della Pubblica istruzione ) si
scopre la "formazione spirituale e morale degli studenti"cui deve
provvedere la scuola pubblica. La riforma Moratti insomma degrada
gli studenti da protagonisti della scuola a consumatori-clienti le
cui famiglie, nella più totale indifferenza per la programmazione
didattica degli insegnanti, possono addirittura scegliere per i
propri figli un percorso formativo personalizzato (la riforma,
come l'ha giustamente definita la Cgil, del "supermercato-scuola)
e toglie loro il luogo principe dell'educazione destinato a
formare le coscienze critiche dei cittadini di domani. Un disegno
preoccupante dunque. Ancor più preoccupante se si pensa che esso è
inserito in un disegno generale di revisione dei compiti del
sistema scolastico, che riguarda anche l'università. Si intuisce
chiaramente che la scuola, e in generale l'istruzione, è per il
centrodestra il primo campo di sperimentazione di un nuovo
progetto di società. La Finanziaria che riduce i finanziamenti per
la ricerca e per l' edilizia universitaria, il cosiddetto Libro
bianco di Maroni, che mira a ridimensionare la contrattazione
collettiva e a incentivare la precarietà nei rapporti di lavoro,
soprattutto per i più giovani, introducendo un vero e proprio
doppio regime in materia di diritti e tutele, l'attacco allo stato
sociale, alle pensioni, alla sanità, all'articolo 18 sono tutti
tentativi di smantellare la società quale è oggi, di azzerare
l'importanza rappresentativa degli organismi intermedi (sindacati,
organizzazioni di categoria e partiti) e di crearne una nuova a
soggetti singoli, che singolarmente interloquiscono con lo Stato.
Una società fondata sul tutti contro tutti, dove tutti saremo più
deboli perché nessuno è tutelato, dove ci si batterà la
concessione di privilegi e non per il riconoscimento dei diritti e
delle libertà. Esattamente il contrario di ciò per cui la Sinistra
giovanile, e il centrosinistra si sono battuti in questi anni: più
diritti per tutti, a partire dalle nuove generazioni. Per questo è
importante tornare in piazza. Per opporsi alla riforma Moratti sì,
ma soprattutto per opporsi al tentativo di trasformarci da
cittadini liberi di questa Repubblica a uomini "che come lupi si
battono contro altri uomini", come diceva Hobbes. E sarà un dovere
esserci, non per chi si sente di sinistra ma per tutti quelli che
vogliono vivere in una società democratica e civile e che vogliono
un futuro di opportunità per i propri figli. |