a Edicola Ciociara

 

al Sito di Cassino 2000

Numero 6 - gennaio 2002 

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Nei secoli passati si sono difesi da angherie, soprusi e ingiustizie
Le lotte e le battaglie legali dei pastori aurunci   
Una tradizione di uomini orgogliosi e coriacei dinanzi ai Signori
 
Le angherie, le ingiustizie e i soprusi subiti dai pastori aurunci sono state veramente tante nel corso dei secoli. I signori (principi, marchesi, conti e baroni) conquistavano con la spada o si vedevano assegnare dai re, per "benemerenze", feudi, villaggi e montagne e su essi dominavano dettando leggi dure per sudditi umili, poveri ed indifesi. La proprietà era del signore e chi la coltivava o vi pascolava il bestiame doveva pagarla a caro prezzo. Nel corso di mie recenti ricerche storiche ho trovato documenti con i quali, sin dal 1300, per antichi diritti di proprietà, alcuni villici "ebbero l'ardire" di rivendicare i loro beni al cospetto dei padroni. Alcuni casi, ad esempio, si registrarono sui Monti Aurunci, compresi nella Contea di Fondi, allorché una commissione nominata da Onorato II ebbe l'incarico di compilare l'inventario dei suoi beni. Nella migliore delle ipotesi, il conte aveva concesso ad alcune famiglie di coltivare piccoli appezzamenti di terreno, pagando tasse, fida, balzelli vari, nonché fornendo prodotti in natura: legna da ardere, frutti della terra e almeno un cappone o un capretto per le feste ricorrenti. Pochi contadini e pastori potettero dimostrare che la terra coltivata era di loro proprietà. Ad esempio nell'inventario del 1491 sul "Castello di Campodimele" la commissione attestò: "In verità, i sopraccitati (cittadini) dicono che anticamente i detti monti (Aurunci) e altri luoghi boscosi del circondario di detta terra erano di
proprietà privata, come si vede che ci sono, attualmente, alberi di ulivi, peri ed altri alberi fruttiferi e resti di macere (muri a secco) e forni e da poco tempo l'illustre signor conte di Fondi ci ha fat-to usare dette cose, e dove c'erano le ghiande ha posto i suoi porci con grande pregiudizio per gli stessi cittadini di detta terra: però si riservano su questo ogni loro diritto ed uso e quando
vogliono li possono cacciare e ridurre a cultura a loro arbitrio e volontà".

Tra quei pochi sudditi che tentarono di ribellarsi e rivendicare la proprie-tà vi fu tal mastro Nardo di Cicca Barosa, il quale - come riporta lo stesso inventario - "mostra un testamento redatto al tempo del Papa Gregorio nel 1378, dove si attestano alcuni possedimenti, tra i quali una terra...". Anche un arciprete rivendicò il diritto di proprietà su dieci tomoli di terra esibendo un "inventario pubblico in carta di cuoio fatto al tempo di Carlo II, nell'anno del Signore 1307". Per secoli lo strapotere dei signori tenne in grave soggezione e miseria contadini e pastori, sino a quando, ai primi dell'Ottocento questi, aggregandosi, non trovarono la forza di ribellarsi e - grazie allo spirito nuovo indotto dalla rivoluzione francese - chiamarono in giudizio i padroni. Nel "Bullettino delle sentenze emanate dalla Suprema Commissione per le liti fra i già Ba-roni ed i Comuni" istituiti dal Regno delle Due Sicilie ho rinvenuto provvedimenti molto interessanti degli anni 1809 e seguenti, nei quali il feudatario principe di Fondi Vincenzo di Sangro fu richiamato al rispetto di alcuni diritti di pastori e contadini: "Si servano i cittadini di Lenola e Campodimele de' loro diritti di pascere, acquare e pernottare ne' demani di Fondi dichiarati comunali". Con altra sentenza il principe fu condannato ad astenersi dall'esigere la fida e di restituire le somme indebitamente esatte ai predetti allevatori e coltivatori. Di questo ed altro riferisce il mio recente libro "Re, Briganti e Streghe nella Terra dei Longevi (ed. Alges, Gaeta, 2001). Ho raccolto anche aneddoti, racconti e leggende che forniscono uno spaccato significativo dei tempi andati nel Lazio Meridionale, quando con un "pollastro" offerto al signore si ottenevano privilegi e favori o quando bastava una "scudella di grano" per lo sfruttamento di un appezzamento di terreno ad Ambrifi, a Valle Bernarda, a Campello o ad Appiolo.

 

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