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Cinquantasei anni (dal 1946 ad
oggi) di "lavoro" per rendere estranea la Dinastia |
Il Risorgimento e Casa Savoia |
Torneranno, ma Emanuele Filiberto pensa in francese, sua lingua
madre |
di Giuseppe Di
Principe |
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La decisione, sebbene
ancora bisognosa di conferme giuridico-formali, di autorizzare il
ritorno in Italia dei discendenti maschi di Casa Savoia suggerisce
qualche riflessione sopra la nostra storia nazionale. Dopo il
crollo dell'Impero Romano, i secoli di divisione, la penisola
ridotta a bivacco di manipoli stranieri, il sogno di un'Italia
Unita, già presente nei versi del Petrarca o nei discorsi politici
di Machiavelli, prese forma e contorni nel diciannovesimo secolo.
Prima, ambizione d'una casta di iniziati, pensatori illuminati ed
aristocratici annoiati, combattenti valorosi e donne ardite come
solo nei libretti d'opera, ma pure spostati, ribaldi, avventurieri
d'ogni risma.
Il nemico era la Restaurazione, quella vistosa recrudescenza del
potere assoluto dei sovrani della vecchia Europa dopo gli eccessi
della rivoluzione francese, dopo il sangue sparso da Napoleone.
Erano liberali i rivoluzionari del tempo. E sognavano un'Italia
liberata dal giogo austriaco, una Costituzione d'ispirazione
moderata, liberi traffici, libera moneta. Ma, restavano isolati,
non uscivano dal ghetto della cospirazione. Riunioni segrete,
consumate nottetempo, corrieri imboscati, qualche foglio
clandestino ad indicare la strada. Tradimenti, congiure, Silvio
Pellico condannato ai rigori dello Spielberg, nelle foreste della
Moravia.
Poi, venne Giuseppe Mazzini. Le insurrezioni, sempre fallite, da
lui promosse. E niente sarebbe cambiato. Fu, si deve ammettere, il
Regno Sabaudo, quello della dinastia Savoia, a dare concretezza
alle aspirazioni patriottiche italiane. Senza quella forza, senza
quei giochi di alleanze, che Camillo Benso Conte di Cavour ispirò,
che Vittorio Emanuele II accolse, oggi l'Italia non sarebbe unita.
E' così, niente da dire. Le guerre d'indipendenza, i martiri di
Custoza, i bersaglieri a Roma prima, Trento e Trieste dopo. Tutto
questo avvenne con le note della Marcia Reale e al grido di
"Avanti Savoia". Eppure, i Savoia non lo volevano. Non al
principio, almeno.
Vittorio Emanuele II, il Re galantuomo, conosceva soltanto il
francese, aveva gusti rustici e passioni gagliarde, ma gli mancava
lo sguardo dello stratega. Per lui, pensava Cavour.
E Cavour si sarebbe contentato di Milano e di Venezia. Conosceva a
menadito Londra e Parigi, Amsterdam e Bruxelles, ma non visitò mai
Roma o Napoli o Firenze. Nella residenza del Qui-rinale, i Savoia
si sentirono sempre fuori posto. Fino a quando la lasciarono nel
giugno del 1946.
Non si sentirono mai davvero italiani. Regnarono sull'Italia,
senza capirne l'indole, il temperamento, la vocazione. Da qui, gli
errori della loro politica. Torneranno, stranieri in Patria... |
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