La terapia genica
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Per terapia genica si intende il trasferimento di materiale genetico
allo scopo di prevenire o curare una malattia.
Nel caso delle malattie genetiche, in cui un gene
è difettoso o assente, la terapia genica consiste essenzialmente nel
trasferire la versione funzionante del gene
nell'organismo dell'ospite, in modo da rimediare al difetto.
Si tratta di un idea molto semplice, ma come vedremo la sua realizzazione
pratica è un vero e proprio percorso ad ostacoli.
La terapia genica è una scienza giovane: il primo tentativo fu effettuato
negli Stati Uniti da Michael Blaese nel 1990 su una bambina affetta da SCID,
una grave immunodeficienza ereditaria. Da allora, nonostante gli indubbi progressi
raggiunti, sono ancora pochissimi i tentativi di terapia genica per i quali
si possa parlare di un successo dal punto di vista clinico. Il successo della
terapia genica rimane una prospettiva - sicuramente fondata - per il prossimo
futuro. Ad oggi, le numerose sperimentazioni in corso in tutto il mondo hanno
soprattutto lo scopo di migliorare le conoscenze biologiche di base e le metodiche
di terapia genica perché possa finalmente diventare uno strumento efficace
nelle mani dei medici.
Non necessariamente. Anche se tutti i protocolli di terapia genica si basano
essenzialmente sugli stessi principi ed utilizzano metodiche simili, ogni
malattia - oltre che l'isolamento del gene o dei geni specifici- richiede
spesso anche la messa a punto di una metodica differente. Molto spesso
è il bersaglio ad essere differente: ad esempio, i tentativi di terapia
genica per curare la fibrosi cistica hanno come principale bersaglio le cellule
delle vie aeree, mentre quelli per le immunodeficienze mirano a trasferire
il gene nelle cellule del sangue. E' evidente che ognuna di queste malattie,
oltre che i problemi comuni a tutte le tecniche di terapia genica, pone delle
sfide tecniche peculiari.
Questi termini indicano qual è il bersaglio del trasferimento genico.
La procedure di terapia genica in vivo mirano a trasferire il DNA
direttamente nelle cellule o nei tessuti del paziente.
Nelle procedure ex-vivo, invece, il DNA
viene dapprima trasferito in cellule isolate dall'organismo e cresciute in
laboratorio. Le cellule così modificate possono essere introdotte nel
paziente. Questa procedura indiretta, anche se più lunga, offre il
vantaggio di una migliore efficienza di trasferimento e la possibilità
di selezionare e amplificare le cellule modificate
prima della reitroduzione.
Trasferire un gene
significa trasferire un pezzo particolare di DNA. Prima però è
necessario "avere in mano" il pezzo giusto.
Le malattie genetiche conosciute sono circa 5000, ognuna causata da una diversa
alterazione genetica. La prima tappa verso la terapia genica è quindi
quella di identificare il gene
responsabile della malattia. In seguito, tramite le tecniche di biologia molecolare
è possibile ottenere un pezzo di DNA che contiene questo gene. Questa
prima tappa si chiama isolamento o clonazione del gene.
Nessuna malattia è candidata alla terapia genica fino a che non sia
stato isolato il gene
(o i geni) da trasferire.
Grazie ai progressi della biologia molecolare e della genetica questa prima
tappa è oggi relativamente più semplice rispetto a qualche anno
fa. E' stato possibile isolare numerosi geni
responsabili di malattie genetiche, ed altri se ne scoprono quasi ogni settimana.
Che si tratti di procedure in-vivo o ex-vivo lo scopo è
lo stesso: il gene
deve essere trasferito all'interno delle cellule bersaglio, e una volta inserito
deve "resistere" per un tempo sufficiente. In questo tempo il gene
deve poter produrre sufficienti quantità di proteina, rimediando così
al difetto genetico.
Si possono riassumere tutte queste caratteristiche in un solo concetto: il
gene estraneo si deve esprimere in modo efficace nell'organismo ospite.
Il sistema più semplice sarebbe naturalmente quello di iniettare direttamente
il DNA
(DNA "nudo") nelle cellule o nei tessuti da curare. Nella pratica
questo sistema risulta estremamente inefficace: il DNA
nudo viene captato molto difficilmente dalle cellule. Inoltre questo processo
richiede l'iniezione di ogni singola cellula o gruppo di cellule del paziente.
Per questo quasi tutte le tecniche correnti per il trasferimento del materiale
genetico implicano l'uso di vettori, in grado di trasportare il DNA
all'interno delle cellule "bersaglio" dell'ospite.
I vettori virali sono virus manipolati geneticamente in modo da non risultare
pericolosi, ma ancora in grado di infettare le cellule dell'ospite. Con le
tecniche di ingegneria genetica è possibile aggiungere al DNA del virus
il gene che si vuole trasferire. Così il virus, infettando la cellula
bersaglio, porterà con sé una o più copie del gene desiderato.
I retrovirus hanno per loro natura la capacità di integrare il loro
DNA all'interno dei cromosomi delle cellule bersaglio. Quindi, il gene verrà
inserito stabilmente nei cromosomi della cellule infettata e potrà
essere trasmesso a tutte le cellule figlie. Infettano solo cellule che stanno
proliferando.
I lentivirus, come l'HIV, permettono di trasferire materiale genetico anche
in cellule che non proliferano, come le cellule "mature" (es. neuroni,
cellule del fegato ) o in cellule particolarmente refrattarie ai retrovirus
(es.cellule staminali prelevate del midollo osseo).
I virus adenoassociati integrano anch'essi il loro DNA nei cromosomi della
cellula ospite. Hanno il vantaggio di essere per natura innocui rispetto ai
retrovirus, ma difficilmente trasportano geni di grandi dimensioni.
Gli adenovirus non si integrano nei cromosomi della cellula ospite. Possono
trasportare geni di grosse dimensioni, ma la loro espressione non dura nel
tempo.
I liposomi sono essenzialmente gli unici vettori non virali correntemente utilizzati. Si tratta di sferette lipidiche che possono racchiudere il DNA da trasferire. Rispetto ai virus, hanno il vantaggio di non presentare alcun rischio in termini di sicurezza, ma tendono ad avere un efficienza minore e ad essere poco selettivi.
Ecco i principali "guai" di fronte ai quali si trovano oggi i ricercatori che si occupano di terapia genica:
La situazione attuale
In tutto il mondo, i protocolli di sperimentazione sull'uomo (trials clinici)
riguardanti la terapia genica sono circa 400.
E' importante notare che più del 90% di questi trials sono in fasi
molto precoci ( fase I o II) della sperimentazione (Vedi la figura1). Anche
se, naturalmente, in ogni fase della sperimentazione la speranza è
quella di osservare un miglioramento clinico del malato, le prime fasi hanno
un obbiettivo molto più modesto, anche se necessario. Le fasi I e II
servono infatti a valutare l'eventuale tossicità del trattamento, l'efficacia
del trasferimento genico e l'espressione a breve/medio termine.
E' nelle fasi successive (dalla III) che si valuta invece in modo più
approfondito la reale efficacia del trattamento.
Possiamo dire, quindi, che per quanto riguarda le applicazioni cliniche la
terapia genica muove i primi passi. La speranza è che un numero sempre
maggiore di questi trials possa raggiungere con successo le fasi successive
della sperimentazione.
Quali malattie sono il bersaglio della terapia genica?
Anche se all'inizio la terapia genica fu pensata come rimedio alle malattie
ereditarie, oggi si può notare che oggi le malattie monogeniche costituiscono
solo una parte delle patologie oggetto di sperimentazione clinica (Vedi la
figura 2). La maggior parte dei trial clinici riguardano infatti i tumori
e l'AIDS. Anche in queste malattie, infatti, sebbene per ragioni diverse a
quelle viste finora, il trasferimento genico costituisce una via terapeutica
promettente.
Di tutti i trial clinici in corso, le malattie monogeniche sono rappresentate
per il 15% circa.
Quali sono i risultati concreti della terapia genica?
A dispetto dell'entusiasmo per la terapia genica e ferme restando le indubbie
potenzialità di questa tecniche, si può affermare che, ad eccezione
della SCID (vedi sotto) nessun malato affetto da malattie genetiche è
stato finora guarito grazie alla terapia genica. Gli unici indubitabili successi
della terapia genica riguardano la SCID , una grave immunodeficienza ereditaria,
in cui gli esperimenti effettuati in diversi laboratori (fra cui quello di
Alain Fisher a Parigi e di Claudio Bordignon, del TIGET), hanno permesso di
guarire un ristretto numero di bambini affetti.
Può sembrare una constatazione deludente, soprattutto se si pensa agli
enormi sforzi di ricerca nel campo della terapia genica, ma come si è
visto queste nuovissime tecniche pongono delle sfide tecniche eccezionali.
E' verosimile che le numerose ricerche e sperimentazioni in corso porteranno
nei prossimi anni ai risultati terapeutici sperati.