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La Rivoluzione Informatica
di Antonino Saggio
Era il 1961, credo, quando nelle costruzioni della Lego arrivò il mattone-lampadina. Si metteva dentro il soggiorno e, la sera, illuminava il modellino della casa. Era fantastico, il massimo che ci si poteva aspettare. È di ieri la notizia che, dopo anni di ricerca dei laboratori del MIT di Boston, la Lego ha cominciato a commercializzare un nuovo tipo di mattoncino. Si tratta di un chip-brick cioè di un blocchetto di plastica che è anche un circuito integrato e programmabile. E che permette alle costruzioni di fare cose nuove: muoversi, reagire con l'ambiente a seconda di quello che succede all'esterno, quasi pensare.
In realtà un avvenimento del genere era stato già anticipato dal futurologo Alvin Toffler nel 1980. Nel suo La terza ondata spiegava che all'era agricola, durata parecchie migliaia di anni, e all'epoca industriale e elettrica, circa centocinquanta, si era ormai sostituita ufficialmente l'età dell'elettronica, il cui centro era l'informazione e il suo trattamento. Toffler non è un architetto e quindi non può sviluppare sino in fondo un ragionamento che a noi sta a cuore.
Tutti ricordano l'abusatissima dizione "La rivoluzione industriale". Successe tra Settecento e Ottocento quando la forza lavoro per la prima volta venne prodotta artificialmente. L'invenzione della macchina a vapore determinò un cambiamento di portata epocale: spostamenti di popolazione, accumulo di capitali, nascita di città completamente diverse dal passato eccetera.
Ora facciamo un altro ragionamento. Cosa è la modernità per un artista, per un architetto?. La definizione migliore è del sociologo francese Jean Baudrillard "modernità è ciò che trasforma la crisi in valore".
L'industrialismo è stato per architetti e artisti una crisi durata più di un secolo. Guardiamo alle ricerche eclettiche, revivaliste e pasticciate di buona parte dell'Ottocento. Vedremo l'incapacità di rispondere ai mutamenti imposti al mondo dall'industria. Ma tra il 1907 delle Demoiselles d'Avignon di Picasso e il 1926 ultimazione del Bauhaus finalmente prende corpo la risposta. Accade cioè che l'arte risolve problemi che prima di essere risolti non potevano neanche essere formulati con chiarezza. La crisi si trasforma in valore e crea un'estetica di rottura. Chi aveva capito che all'industria e al suo mondo si potesse rispondere con una architettura che non aveva più schemi tipologici prefissati, ma una libera e funzionale disposizione dei corpi, non più strutture lapidee ma punti, non più opacità ma trasparenza, non più temi aulici ma case, fabbriche, scuole, quartieri per tutti?.
La novità fu talmente forte, e giusta, e l'edificio del Bauhaus un simbolo talmente pregnante, che la risposta divenne globale, internazionale, vincente. Torniamo a noi. L'unica parola per pensare veramente a quello che sta succedendo sotto i nostri occhi è rivoluzione e con più esattezza "Rivoluzione Informatica".
Il problema su cui gli architetti d'avanguardia stanno lavorando è quindi di peso storico paragonabile a quello di Gropius. Come possiamo trovare -cioè- un'estetica adeguata alle modifiche che investono questa nuova era? Per iniziare a rispondere dobbiamo aggredire il problema da due punti di vista.
Il primo riguarda le modalità del nostro lavoro di progettisti, e per questo abbiamo bisogno delle parole simulazione e modello Il secondo riguarda la ricerca di una nuova spazialità , e parleremo di metafora e più in generale di figure retoriche.
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Torniamo al mattoncino della Lego. Anche il mondo informatico è fatto da mattoni, chiamiamoli per intenderci, atomi informativi. Ora, caratteristica di base dell'elettronica è che il supporto che contiene l'informazione (numerica, alfabetica, pittorica, vettoriale, tridimensionale eccetera) non è rigido (pietra, papiro, pergamena, carta) ma può mutare con la velocità della luce. I vantaggi sono noti. L'informazione varia continuamente, la parola essere continuamente affinata, il numero sostituito sempre con un altro, i pilastri ispessirsi, le piante allungarsi. Tutto può essere archiviato con facilità, e poi richiamato e di nuovo trasformato. Inoltre per lavorare si possono utilizzare spazi minuscoli. Possiamo fare a meno di una sala modelli, di un laboratorio di materiali, di un archivio di brochure tecniche anche di una segretaria e perfino, se vogliamo esagerare, di una saletta riunioni. Possiamo fare un tele-conferencing stando alla scrivania con il computer che assolve mirabilmente a tutto o quasi. E siamo con Internet nel mondo.
Ma questa serie di vantaggi pratici derivano, a ben guardare, solo dalla differenza tra un supporto elettrico e immateriale e uno rigido. Nella realtà questi vantaggi non hanno quasi niente a che vedere con l'aspetto veramente centrale dell'informatica.
Fritjof Capra, tra i grandi divulgatori delle moderna scienza, scrive: "Nella teoria dei quanti non si termina mai con 'cose' ma sempre con interconnessioni. [...] Quando penetriamo dentro la materia, la natura non ci mostra alcun isolato mattone da costruzione, ma piuttosto una complicata ragnatela di relazioni esistenti tra le varie parti di un unificato intero".
Quindi, tanto per cominciare, non illudiamoci. Il problema non è inserire nelle nostre costruzioni un mattoncino informatizzato come può fare la Lego con i bambini. Solo attraverso dei gadget tecnologici (schermi interattivi, robotica che apre e chiude automaticamente gli impianti, cablaggi e altro) non si scioglie il nodo perché sfugge che il vero centro dell'informatica, come della materia, sono le interconnessioni.
Il mondo informatico è infatti essenzialmente una ragnatela mobile. Possiamo riaggregare nuclei informativi l'uno all'altro, gerarchizzarli in una miriade di relazioni e creare dei modelli. E al variare di un atomo verificare il cambiamento dell'intero sistema oppure, cambiando il senso, l'ordine o l'intreccio delle connessioni, formare mondi diversi.
La parola modello, diventa chiave in questo modo di ragionare. Un modello informatico di un edificio è in potenza non solo una costruzione tridimensionale che, come in uno reale, ci permette infiniti punti di vista ma proprio un modello nell'accezione scientifica, (modello matematico, finanziario fisico, statistico). I dati sono interrelati e al mutare di uno variano gli altri.
Ormai tutti i programmi Caad consentono la possibilità di avere una struttura gerarchica (di volta in volta chiamata simbolo, tipo, oggetto eccetera) che rappresenta esattamente la possibilità di creare nella progettazione quella ragnatela dinamica che è il centro della progettazione elettronica
Dentro l'organizzazione di un progetto informatizzato è possibile avere delle relazione dinamiche tra i dati che descrivono un progetto per cui, al variare di alcuni, ne variano di conseguenza altri a loro connessi. Le possibilità della simulazione in questi ambienti affronta contemporaneamente l'organizzazione spaziale e costruttiva, funzionale e formale, quantitativa e economica. Un progetto rappresentato elettronicamente è non solo completamente diverso da un plastico (dato che la visualizzazione tridimensionale è solo una, e in fondo relativamente trascurabile, componente) per essere appunto un "modello" : consente di avere una struttura dinamica e aperta per la simulazione di un reale che nel nostro caso è una possibilità da inseguire e progettare.
Possiamo così costantemente simulare progettando e progettare simulando. E questo si spinge dalla fase di progettazione a quella della costruzione (sempre più avremo frese, come quelle di Gehry a Bilbao, che tagliano i pezzi in accordo al nostro disegno e sempre più avremo robot direttamente guidati dal calcolatore per la costruzione e sempre più questo patrimonio informativo, questo modello, si muoverà oltre la fase della costruzione, nei catasti, negli atti notarili, nella gestione dell'edificio e della città).
Ma veniamo ora al secondo aspetto della questione.
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I messaggi fondamentali dell'epoca industriale sono stati messaggi assertivi. Pensiamo alla pubblicità. Questo sapone lava più bianco, questo jeans è più resistente, questo dentifricio contiene fluoro. Sappiamo che la pubblicità oggi manda sempre più messaggi traslati. Induce a una associazione tra una serie di elementi e il prodotto. Spesso senza neanche farlo vedere, il prodotto, e spesso senza neanche descriverlo. Si compra prima la narrazione, l'utopia di vita, che il prodotto promette, poi la sua forma e si dà assolutamente per scontato che esso funzioni. Il contenitore stravince sul contenuto.
Il fatto è che proprio in rapporto all'enorme mole di informazioni contenute nel prodotto, e quindi al know-how che in si esso condensa, non è più possibile trasmettere razionalmente e tecnicamente tutti i contenuti . Si devono perciò eliminare messaggi statici e assertivi (causa ed effetto, prima e dopo, sopra e sotto) e lanciare messaggi sostanzialmente metaforici, traslati, dinamici come l'elettronica stessa. Rientrano così in gioco le "figure retoriche" (straniamento, metonimia e molte altre ancora ma fermiamoci, per semplicità, solo sulla metafora).
Questo processo di metaforizzazione, indotto da un sentire che supera i meccanicismi industriali per aprirsi ad una sfera più libera, e polidirezionata di messaggi, questo processo basato sulle interconnessioni dinamiche della metafora, investe tutto ai nostri giorni. Basti vedere il design e la stessa sfera per altro più resistente ai cambiamenti dell'architettura.
Un edificio non è più buono solo se funziona, è solido, spazialmente ricco, vivibile eccetera ma perché rimanda ad altro da sé. Libeskind fa una Z drammatica per raccontare il dramma dell'olocausto, Eisenman un ballo di zolle telluriche per la sua chiesa, Gehry un fiore di loto nel suo auditorium, Domenig crepacci che si scontrano nella sua casa. Sappiamo che questo processo di metaforizzazione investe buona parte dell'architettura di oggi e che il suo campo fondamentale è una nuova interiorizzazione del paesaggio e del rapporto tra uomo e natura.
Questo è acquisito, o quasi. Per andare ancora avanti dobbiamo tornare all'elettronica e soprattutto al suo centro: le interconnessioni.
Molti architetti cercano specificatamente sul tema della pelle. La pelle dell'edificio si fa membrana trasparente ricettiva, non solo attrezzata tecnologicamente, ma simbolicamente. Pensiamo per esempio a Herzog & de Meuron o a Jean Nouvel. Altri perseguono la visione della grande macchina, cablata, informatizzata, concettuale. Vedi Rem Koolhaas o Franco Purini. Altri si muovono sulla vibrazione e su nuove accezioni del movimento. Eisenman fa un padiglione video seguendo i movimenti del pennello elettronico sullo schermo oppure le forme dei cristalli liquidi. Altri ancora come Frank Gehry, per esempio nel suo progetto per Times Square, su una metafora della rete (e cosa ci si poteva spettare da lui che le ha usate per primo in architettura) come nuvole informativa che tutto accolgono e avvolgono. Altri in un rapporto tra informatica e paesaggio come Toyo Ito o Zaha Hadid. Altri ancora nel caos del labirinto informatico come Arakawa o su un nuovo organicismo come Greg Lynn.
Io penso che la chiave sia in una spazialità liquida,
già esistente nella pittura di questo secolo, e che si lega a una
parola chiave dell'informatica "Hyper" che collega l'informatica alla metafora
e alle interconnessioni dinamiche per condurre alla ricerca in cui crediamo
di più, quella sull'interattività che è anche quella
dei Nox o di Kas Oosterhuis o di Reiser e Umemoto o di Diller e Scofidio
o di Marcos Novak o di Mark Goulthrope. Ma il discorso si aprirebbe di
nuovo e rimando ai libri di una collana che si chiama, naturalmente la
Rivoluzione Informatica.