Il
nostro gruppo è formato da otto componenti, non ci conoscevamo tutte fra di
noi, ma è sicuro che ora ci conosciamo meglio! Ci siamo incontrate in occasione
di altri esami e ci siamo riviste all’incontro, in preparazione a questo corso,
del 05 Febbraio ed è stato in quell’occasione che abbiamo deciso di formare “un
gruppo”.
Non è sempre facile mettere d’accordo più persone, ma fortunatamente nel nostro gruppo non ci sono stati grossi problemi, il difficile era riuscire ad incontrarsi perché ognuno aveva i suoi impegni, le sue priorità. Difficile era anche trovare un luogo tranquillo dove potessimo parlare liberamente, per poter svolgere tutti i nostri lavori e preparare le nostre relazioni. Più di una volta siamo state costrette ad incontrarci nei bagni dell’università, quelli posti al piano superiore, più tranquilli e meno frequentati: probabilmente sono state anche queste strane situazioni a rendere il lavoro più divertente!
Abbiamo deciso di chiamarci “ gruppo sole” non sappiamo bene il perché, ma ci sembrava simpatico. Il gruppo è composto da:
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Bonelli Liduina
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Sonzogni Michela
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Gullo Francesca
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Donei Michela
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Gaudio Maria Ersilia
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Fattori Laura
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Coltro Roberta
Terapia ed educazione
La domanda principale emersa durante il seminario del 2 marzo, tenuto da Claude Mesmin, riguarda l’importanza o meno della scolarizzazione dei bambini immigrati. Io (Marta) e Roberta abbiamo sentito l’esigenza di partecipare a questo incontro per conoscere modelli diversi di interpretazione del rapporto tra educazione e terapia.
Relazione
Scolarizzare o non scolarizzare i bambini immigrati?
C’è chi dice che l’educazione informale (a casa) ci insegna tutto quello che non impariamo a scuola; altri invece sostengono che non sia sufficiente la scuola di strada o della famiglia.
La scuola in Francia. Nella scuola materna i bambini immigrati si trovano in difficoltà fin dal loro arrivo. Alcuni (2-3 anni) arrivano ad una forma di mutismo la cui causa è dovuta al fatto che non conoscono la nuova lingua e a casa non apprendano nemmeno la loro lingua materna. Nella maggioranza dei casi le cose vanno abbastanza bene, ad una condizione: i due mondi devono essere ben separati! Infatti quello che i bambini capiscono velocemente è il separare i due mondi (scissione culturale).
Finché i bambini frequentano la scuola materna ed elementare è possibile mantenere questa scissione (11-12 anni). Tutto questo non è detto non crei dei problemi; allora occorre intervenire nelle scuole con un’equìpe, richiesta sia dagli insegnanti che dagli psicologi scolastici, in modo che funzioni tale scissione. Questo doppio comportamento è difficile da capire dai genitori e dagli insegnanti stessi. Per questo si crea un gruppo di mediatori per dire quello che altrimenti resterebbe inconoscibile.
Non tutti i ragazzi reagiscono bene: alcuni diventano delinquenti e vengono a cadere nelle mani della giustizia. E’ da un caso giudiziario che parte la nostra analisi.
Il lavoro di solito (ma non sempre) si svolge in gruppo; non è un metodo diffuso, ma attuato solo in due strutture esistenti in Francia. In ogni giorno della settimana si riunisce sempre un solo gruppo, uguale di volta in volta. Nel gruppo c’è un terapeuta (psicologo o psichiatra) e i ragazzi. Gli studenti parlano più lingue, così come i terapeuti. A volte lo psicologo diventa egli stesso il mediatore; di conseguenza non sarà lui a condurre la seduta. L’altro gruppo di consultazione è la famiglia, che non verrà da sola, ma accompagnata da operatori che la conoscono (sono essi stessi che hanno chiesto consultazione al centro).
Descrizione di un caso.
Prima consultazione. Si è svolta con due ragazzi adolescenti e la madre.
Seconda consultazione. I due adolescenti sono accompagnati dal padre.
Il più giovane ha 14 anni, il più vecchio 16. Sono il terzo e il quarto di 11 fratelli.
Perché alla prima seduta ha partecipato la madre? Perché il padre per motivi di lavoro si è dovuto trasferire e torna a casa ogni 15 giorni.
La presenza della madre è importante per tre motivi:
q ridare posto e autorità al padre che non sa quello che succede (lei non dice tutto quello che accade);
q aiutare l’educatrice, che non sa più cosa fare con i ragazzi, non ha più strumenti con cui lavorare con questa famiglia;
q contenere le collere violente del sedicenne (perdita di controllo), cercando di permettere un controllo stesso.
Nel filmato visionato in aula è importante notare le posizioni, i gesti , la mimica dei ragazzi. C’è sempre nel gruppo un responsabile della consultazione, altri stagisti e la mediatrice, la quale traduce. Ci sono momenti in cui si interrogano altri personaggi e momenti di svago per distendere un po’ la situazione. La mediatrice si è recata a casa della famiglia per conoscerla, cosicché il loro rapporto crea una rete più fitta di informazioni.
I ragazzi, nella seconda consultazione riconoscono le persone presenti nella prima.
- “Che cosa ricordi della prima consultazione?”
- “Niente.”
- “Tu avevi un compito: scrivere i tuoi sogni e informarti sui diversi mestieri.”
- “Siete andati a vedere l’educatrice?”
- “Sì, il giovedì una volta al mese.”
- “Perché tu non sei andato?”
- “Mi son dimenticato.”
- “Perché ti sei dimenticato?”
- “ … “
- “A che cosa pensi?”
- “A niente.”
- “A niente del tutto? E’ possibile non pensare a nulla?”
- “No.”
- “Tu pensavi a qualcosa, ma non hai voglia di dire cosa.”
- “Ma perché non sei andato dall’educatrice?”
- “Non mi sono svegliato.”
- “Perché? Lavori di notte?”
- “No, guardo la TV, leggo un libro (Il re Leone).”
- “E ti piace?”
- “Si molto.”
- “E chi c’è nella storia?”
- “Si vendica (il leone).”
- “Come?”
- “Picchiando.”
- “E tu litighi?”
- “Sì.”
- “E cosa succede quando litighi?”
- “Quando parlano male di me.”
- “Chi parla male di te?”
- “Le persone grandi.”
- “E chi sono le persone grandi? Genitori, parenti … ?”
- “Non lo so.”
- “Cos’è che ti fa diventare nervoso, come comincia, come arriva? Comincia a girarti la testa?”
- “Non lo so.”
- “Allora io ti dico ‘arabo’. Tu cosa pensi? Non ti piace?”
- “No. Quando sono in collera, mi riscaldo, mi arriva alla testa e là tutto si blocca, non capisco più niente.”
- “Allora cosa fai?”
- “Picchio con i pugni.”
- “Allora se ti parte dallo stomaco hai tempo di pensare, se ti parte dalla testa agisci subito, pensando dopo a quello che hai fatto!”
- “Sì.”
La psicologa ad un certo punto inizia a raccontare fatti di vita del ragazzo. Essa dice: - “Non capisco perché la violenza che ti prende si scarica anche sui più piccoli!” Il ragazzo si scalda, si arrabbia, piange ma il fatto più importante è che non parla più in francese ma in arabo.
- “Succedono delle cose dentro di te che non riescono ad uscire e si trasformano in violenza. Rilassati e cerca di capire che cos’è accaduto in te in questo momento.”
Il padre ora si rivela la figura chiave. Nel futuro si impegnerà a trovare un apprendistato per il figlio, come panettiere. Da questo momento non ci sono più state reazioni violente; questa è stata una seduta di cambiamento.
Il gruppo ha tre funzioni:
1. di contenitore; il padre, fino a quel momento immobile, trattiene il figlio permettendo la chiusura del gruppo stesso;
2. di supporto (sostegno);
3. di moltiplicare gli sguardi.
Ma ha anche funzione di interrogazione. Perché non sono state interrogate anche le donne? Perché non è possibile l’identificazione di un ragazzo con una donna.
In tale gruppo plurietnico, qual è la parola che fa sorgere la collera? Ognuno avrebbe esprimerla dal proprio punto di vista, dalla propria cultura di appartenenza. Che cosa significa picchiare uno più piccolo? Che cosa, in un maghrebino, fa sorgere la collera?
Ci sono tre movimenti all’interno del gruppo:
1. terapeuta-famiglia; passa attraverso un mediatore; qui no, perché nella disposizione a cerchio il mediatore è fra la famiglia e il terapeuta;
2. gruppo-famiglia;
il gruppo parla con il terapeuta, esso al mediatore e questi alla famiglia;
3. terapeuta-gruppo;
escludendo quasi la famiglia e il mediatore.
Nel mondo maghrebino ci sono due cose importanti:
- specificità del posto della madre;
- specificità del posto del padre.
Lo spazio della casa è femminile, è la madre che dà le regole della casa; chi porta il ragazzo fuori è il padre che, attraverso più rituali (iscrivere il figlio in una scuola cranica, portarlo in altre famiglie) costruisce degli spazi altri rispetto alla casa, creando altre e diverse regole. Se il padre non riesce a condurre fuori il figlio, spesso è perché la madre non lo permette (fra i maghrebini le donne sono più forti).
Quello che si è capito nella consultazione è che i problemi del ragazzo non sono i suoi, bensì i problemi tra il padre e la madre. Se la madre non dà informazioni al padre nascono i problemi. E’ la madre che spesso si occupa dei figli anche fuori casa. Ma eccone i risultati nell’esempio precedente. Le madri hanno uno spazio e non sanno andare al di là di questo; quando tentano di farlo si verificano delle fratture.
Se il problema è tra madre e padre quali potrebbero essere le ipotesi di lavoro?
Nella consultazione ci sono due forme di pensiero: la rabbia parte dal ventre o dalla testa. Se parte dalla pancia la prepariamo, se parte dalla testa allora è qualcosa di esterno a noi.
Verona, 14-III-02
Rappresentazione
Manifesto per una psicopatologia
scientifica
MARTA. L’essere umano è solo! La follia è una sorta di malattia, e come tutte le malattie essa risiede nel soggetto: nella sua psiche, nella sua biologia, nelle sedimentazioni della sua storia individuale, nelle ripercussioni della sua educazione.
ROBY. Non capisco nulla di quanto sta dicendo. Forse che tutti quanti noi non siamo soli? Soli di fronte a noi stessi, al nostro destino, alla morte? Di quale solitudine sta parlando? Si spieghi!
MARTA. Faccio un esempio: una donna sviene. Nella società a universo unico l’atteggiamento del terapeuta verso la donna è umanitario; si occupa della donna, la compatisce, le fa la predica, la sostiene, l’aiuta; in una società a universi multipli il terapeuta non si occupa della donna, ma dello spirito. Distoglie lo sguardo per interrogare ciò che è nascosto.
ROBY. Secondo me lei non sta esponendo i fatti in modo imparziale perché la sua simpatia per le culture africane la porta fuori strada. Cosa mi vuol raccontare con il suo concetto di società a universi multipli. Questa malattia detta isteria non può essere considerata una tappa nello sviluppo di ogni essere umano?
MARTA. Dio, come è ingenuo!! Credo che le pretese scoperte scientifiche dei professori Charcot e Freud, condannando streghe, sibille e pitonesse alla miseria della malattia isterica, non siano che la registrazione ufficiale, l’atto di morte che sancisce la scomparsa della molteplicità degli universi, in un certo senso una constatazione di fallimento.
ROBY. No!!! Non crederà alle cartomanti e alle veggenti spero?
MARTA. Dunque nessuno crede in niente. Queste interrogazioni spostano l’interesse verso l’invisibile. Per fare tutto questo deve esistere un mondo nascosto che solo i “signori del segreto” possono conoscere. Per questo motivo tutti i mondi a universi multipli ricorrono alla divinazione, mentre i mondi a universo unico solo alla diagnosi.
ROBY. Questa è un’osservazione interessante, perché fa pensare. Può dirmi di più?
MARTA. Certo. Quando il detentore del sapere nascosto procede a una divinazione il suo obiettivo implicito è di rivelare ai malati delle appartenenze insospettate e dunque di assegnarli ad un gruppo; lo scopo dello scienziato invece, è sempre quello di separare il soggetto dai suoi universi sottomettendo anche lui, come individuo isolato, all’implacabile e cieca legge della natura.
ROBY. Ah! Lei mi irrita con questo discorso militante e terzomondista corrompendo il mondo della medicina con delle critiche che possono apparire perlomeno sospette! Risponda con franchezza! Lei, una intellettuale ufficiale, sa bene che gli spiriti invocati dai guaritori non esistono.
MARTA. Caro amico, lei sta delirando!!! Mi permetto di dirle che la sento parlare come una divinità e non come essere umano. In primo luogo gli spiriti possono essere evocati solo in un mondo a universi multipli perché evocarli costituisce di per sé il decreto di esistenza dell’universo secondo; inoltre se è necessario ricorrere agli spiriti per mettere in moto questo sistema allora gli spiriti esistono, almeno in quanto anime invisibili del dispositivo.
ROBY. E sia! Non difenderà comunque un ritorno al passato, ai ciarlatani, agli aggiustaossa, ai giocolieri, ai saltimbanchi?
MARTA. Amico mio, io auspico una psicopatologia che si assuma dei rischi, che si cimenti nella descrizione più raffinata possibile dei terapeuti e delle tecniche terapeutiche, non dei malati.
ROBY. Secondo lei allora uno psicoterapeuta dovrebbe conoscere tutte le lingue, tutte le culture, tutte le modalità per entrare in relazione con gli spiriti? Sia ragionevole!!! La sua posizione può essere intellettualmente seducente ma, mi dispiace dirlo, è del tutto irrealistica.
MARTA. La sua volontà di semplificazione mi sorprende. La psicopatologia deve anzitutto dedicarsi, in ogni cultura, alla descrizione sistematica delle attività di una determinata categoria di persone incaricate dal loro gruppo culturale di modificare il funzionamento interno degli altri. Questi guaritori sono di fatto dei colleghi, depositari di conoscenze che noi dobbiamo innanzitutto acquisire, prima di aspirare ad un po’ di scientificità.
ROBY. Ah!!! Qui la riconosco! Secondo lei,allora, i guaritori possiedono le conoscenze vere, mentre gli psicopatologi si dibattono in un pensiero ideologico. Giusto?
MARTA. Giusto!! Comunque per oggi mi sembra di aver detto abbastanza, continuerò una prossima volta….forse!!!!!!
Marta Benali, Roberta Coltro
Verona, 14-III-02
Rappresentazione
Il medico e il ciarlatano
(Isabelle
Stengers)
PERSONAGGI:
Isabelle; Narratrice; Mesmer; Prima commissione; Seconda commissione; Pazienti; Jussieu.
ISABELLE: La nostra medicina è diventata moderna ma io vorrei metterla in discussione per cogliere ciò che è cambiato per il medico; capire cosa significa avere a che fare con un “corpo sofferente”. E’ a partire dalla questione del ciarlatano che vorrei costruire il mio approccio alla medica cosiddetta moderna.
NARRATRICE: Il riferimento al ciarlatano resta centrale, incessantemente richiamato e rispiegato al pubblico, alla stampa, ai poteri pubblici, organizzando anche implicitamente la ricerca moderna e farmaceutica. Ricordiamo una “scena originaria” accaduta a Parigi nel 1784: due commissioni vengono nominate per indagare sulle pratiche del medico viennese Mesmer, il quale cura i pazienti con un fluido.
MESMER: Il baquet intorno al quale si riuniscono gli ammalati, concentrerebbe un fluido magnetico che, attraverso le crisi che suscita, ha il potere di causare le guarigioni.
NARRATORE: Il baquet di Mesmer avrebbe potuto essere riconosciuto come un dispositivo insieme terapeutico e dimostrativo, dal momento che il suo potere curativo costituisce al tempo stesso la dimostrazione dell’esistenza del fluido che ne spiega gli effetti. Ma le commissioni non sono d’accordo. Sentiamo il perché.
I COMMISSIONE: Noi siamo convinti che il fluido senza immaginazione è impotente, mentre l’immaginazione senza il fluido può produrre gli effetti che si attribuiscono al fluido stesso. Il fluido quindi non esiste!
PAZIENTI: Concordiamo col fatto che il fluido nella misura in cui gli effetti ne dimostrerebbero l’esistenza non esiste.
II COMMISSIONE: La speranza concepita dalle pazienti, l’esercizio al quale si sono dedicate ogni giorno, la cessazione dei rimedi di cui potevano fare uso in precedenza e la cui quantità è tanto spesso nociva, sono risultati che si dice di aver osservato anche in altre circostanze. Quindi, la guarigione non prova nulla.
NARRATRICE: In
sostanza il ciarlatano è ormai definito come colui che rivendica come prova le
guarigioni. Utilizzando le guarigioni per dimostrare, egli si riferisce ad un
modello di verità scientifica. Proprio perché il fluido si è presentato come un
referente moderno, è caduto vittima del contro esame critico dei membri della
commissione.
Sceneggiatura
Gruppo
SOLE
Le ragazze sono sedute in mezzo al palco: è buio.
Ad un tratto si accendono le luci le ragazze sono in
pigiama, sedute su dei cuscini, e mangiando patatine sono pronte ad iniziare
una pigiama party. Si spengono le luci.
L’occhio di
bue si accende sulla ragazza in piedi alla sinistra del palco, ella pronuncia
queste parole:
“il mondo
degli adulti non riesce ad affrontare la tematica della morte, i bambini
vengono allontanati dalle veglie e spesso non vengono informati della morte dei
parenti, questo perché l’adulto vuole allontanare la morte dai bambini, non sa
come spiegare alcuni eventi, preferisce “proteggerli” da qualcosa che egli
considera crudele, anche se è al sola certezza che abbiamo dalla nascita ed è
quindi la cosa più naturale della
vita.”
LAURA: Oh ragazze sapete chi ho visto oggi? Ti ricordi Roby quel
ragazzo con la maglietta rossa dell’Università? Quello che vedevamo sempre nel
prato?
ROBY: Dai, sei la migliore! Dove l’hai visto?
LAURA: in centro
MARTA: io invece oggi ho visto una scena…
MIKY S: Cosa? Racconta cosa hai visto?
MARTA: ieri
sera stavo tornando a casa e quando sono arrivata sul portone ho sentito un
botto in strada, allora sono tornata indietro per vedere cosa era successo.
Incredibile: c’era una macchina accartocciata sulla cancellata mi sono avvicinata e ho visto che dentro
c’era una persona imprigionata tra le lamiere. I pompieri hanno lavorato più di
un ora per estrarla e poi i medici hanno cercato di rianimarla per trenta
minuti. Era un ragazzo di trent’ anni.
LAURA: ma era solo in macchina?
MARTA: No, la sua ragazza si è salvata.
MIKY D: non sono belle cose
da vedere!.. a me è successo un brutto incidente in famiglia. Un po’ di anni fa
una mattina molto presto è entrata mia madre in camera mi ha svegliata e mi ha
detto che la zia Alberta ha fatto un incidente. La mattina io sono andata a
scuola normalmente. Per pranzo sono andata da mia zia che abita vicino a me e
ho chiesto se sapeva qualcosa lei mi ha detto che non sapeva niente di più di
quello che già sapevo io. Per tutta la giornata non ho saputo niente di nuovo,
ero preoccupata ma non mi restava altro che aspettare notizie dai miei.
Il giorno dopo finalmente sono tornati i miei. Mia madre non sapeva come affrontare
l’argomento e mentre mi ha detto che la zia era morta mi ha fatto leggere
l’articolo di giornale con la brutta notizia.
ERSILIA: invece io ho vissuto in prima persona la morte di mia nonna
anche se i miei genitori hanno fatto di tutto per proteggermi da questo brutto
evento, ma io anche se ero piccola avevo capito tutto.
LAURA: perché cosa è successo?
ERSILIA: mia nonna che era come una madre, che viveva con noi è morta
di tumore al fegato quando hanno fatto la veglia mi hanno allontanata da casa
ma io prima di andare via sono riuscita a vederla da lontano nella bara. Questo
mio grande coraggio però si è ritorto contro di me perché per qualche anno non
volevo entrare in quella stanza da sola o restare a casa da sola.
LAURA: a me poco tempo fa sono morti due nipotini neonati.
GULLO: perché cosa gli è successo?
LAURA: mia cognata era incinta di due gemelli tutto è andato bene
fino al sesto mese e poi per varie problematiche hanno dovuto farli nascere.
Sono vissuti un giorno però non me li hanno fatti vedere volevano allontanarmi
da questa sofferenza. Il giorno del funerale però gli ho voluti vedere e ci
sono riuscita.
LIDU: tutti in famiglia hanno avuto un lutto…. Quando ero piccola
mi è morto il papà. I miei non mi hanno
detto come stavano veramente le cose, ma io sospettavo che c’era qualcosa di
non molto bello che non andava. Ovviamente ho sofferto di questa cosa ma da
quando è morto non l’ho mai “incontrato” in nessun caso, anche perché se fosse
successo mi avrebbe fatto paura.
MIKY S: ragazze basta con queste cose tristi, vi racconto io un
sogno, ma un sogno veramente divertente. Mi trovavo in una stanza da bagno,
tutta ricoperta di piastrelle bianche, ed era abbastanza grande ma c’era
solamente un WC e il pulsante dello sciacquone, vicino ad quale, in piedi,
c’era mia zia Laura: indossava un vestito color turchese e delle scarpette con
il tacco di colore rosso ed era pettinata con cura. Ad un certo punto si siede
sul Wc scivolando dentro esso, poi, immersa per tre quarti nel water alza
lentamente e con molta sicurezza la mano destra, schiaccia il bottone dello
sciacquone scivolando insieme all’acqua nello scarico.
LIDU: ma non è che visto che non ti sta molto simpatica tua zia
il sogno del bagno è una metafora con qualcos’atro…. Uno stronzo
MARTA: ma cos’è Roby non ti ha divertita questa storia… sembri
pensierosa,,
ROBY: no niente è che stavo pensando a quello che mi è successo
un po’ di anni fa.
MARTA: ma è la storia che mi hai raccontato al Cambridge?
ROBY: sì…
LIDU: adesso siamo curiose, ce la devi troppo raccontare!
ROBY: Sì, però se piango fate finta di niente.
MIKY S: tranqui, puoi fidarti di noi!
ROBY: Mio nonno è morto otto anni fa; io avevo 17 anni. Andavamo
molto d’accordo, parlavamo un casino, anche perché viveva in casa con noi.
Stava male da un bel tot di tempo, ma nessuno mi aveva detto che cosa aveva.
Dopo che era fermo a letto da qualche giorno, e non parlava
neanche più, è venuto il dottore a casa mia, e ha detto a mia mamma da mandarmi
per un po’ a casa di qualche parente. La mattina dopo è venuta a prendermi
Daniela, l’amica di mia mamma, io ovviamente non volevo mica andarci. Comunque,
alla sera, la mamma ha telefonato alla Daniela dicendo che potevo anche tornare
a casa. Quando sono arrivata, sulla porta c’era mia mamma; mi ha abbracciata e
mi ha detto: - “Basta, adesso non ci vado più in chiesa, a Dio non ci credo
più” e cose del genere. In realtà, non mi ha mai detto nessuno cos’aveva mio
nonno, perché era morto. L’ho scoperto solo due anni fa, quando Baby mi ha
portato da una signora che parla con gli Spiriti. Io non la conoscevo, e lei
ovviamente non sapeva neanche chi ero, chi era la mia famiglia. Quando sono
entrata nella stanza mi sono bloccata, non riuscivo a spiaccicare una parola.
Ha parlato la Baby per me. Questa ha cominciato a scrivere su un foglio quello
che diceva mio nonno. Raccontava cose che sapevamo solo io e lui. Mi ha chiesto
di mio papà perché lo vedeva un po’ stanco. Sottovoce sono riuscita a
chiedergli che malattia aveva avuto, e lui mi ha risposto che aveva avuto un
tumore all’intestino. Ho pianto come una fontana, e gli ho detto che finalmente
lo sapevo anch’io.
Ah poi gli ho detto. –Nonno, una notte, finchè ero a letto,
avevo un freddocane, e non riuscivo a dormire. Ho sentito di colpo qualcuno che
mi sistemava le coperte, mi ha toccato la testa e mi ha dato un bacio sulla
guancia. – E lui mi ha risposto: -Ero io.
FRANCY: incredibile! Un po’ di tempo fa ho sognato una mia amica
morta di leucemia a dicembre vi ricordate, Ale?
TUTTE: si si ci ricordiamo…
FRANCY: ero con gli amici di sempre in una stanza e lei era seduta
su una sedia vicino a me. Era il giorno del suo funerale perciò non doveva
essere lì, le ho chiesto spiegazioni e lei mi ha risposto che voleva rimanere
lì e farmi compagnia.
Le ho detto come potevano seppellirla se lei era lì, e lei
non mi ha risposto. Allora le ho detto che prima del suo funerale dovevo
sistemarmi ma lei non voleva che me ne andassi. Poi mi sono svegliata. Si
spengono le luci.
La serata è giunta al termine le ragazze si alzano, si
dispongono in semicerchio,e nel chiacchierio generale le luci pian piano
illuminano tutte. Le luci poi si
affievoliscono. L’occhio di bue è puntato su una ragazza che dice:
i morti possono continuare a essere con noi!
fine
Considerazioni finali:
All’inizio non riuscivamo a capire cosa
il corso ci proponeva, eravamo dubbiose sui compiti che ci venivano richiesti,
il Proff. cercava in tutti i modi di spiegarci ma non riuscivamo a cogliere
l’essenza del corso, forse anche perché egli stesso non era molto preciso e
deciso. L’unica cosa sicura era che voleva che noi ci mettessimo in gioco e che
non considerassimo solo il libro; ma quando delle persone non sono abituate la
cosa diventa molto difficile anche perché non ci conoscevamo ancora molto.
Solamente
dopo alcuni incontri lo scopo ci è sembrato più chiaro: analizzare le radici
sottese alle nostre esperienze personali, nelle prime rappresentazioni ci siamo
infatti solamente limitate a riprendere i libri poi grazie ai consigli del
Proff. dei nostri compagni e vedendo anche i lavori degli altri gruppi siamo
riuscite a mettere in discussione e nudo le nostre esperienze passate, o meglio
a cercare dentro di noi la nostra scena primaria!!
Inizialmente
noi eravamo anche un po’ spaventate in quanto credevamo che in qualche modo
saremmo state psicanalizzate, però alla fine le nostre aspettative sono rimaste
deluse, forse anche per il poco tempo visto che il Proff. arrivava
sistematicamente in ritardo e quindi alla fine rimaneva sempre poco tempo,
questo è anche stato ammesso da lui.
Per
quanto riguarda la rappresentazione finale la difficoltà maggiore è stata
trovarsi, ognuno di noi aveva ed ha i suoi impegni quindi avendo saputo la
settimana prima che la consegna della sceneggiatura era per il 3 di giugno (
termine che poi è stato prorogato) abbiamo avuto parecchie difficoltà
nell’incontrarci, per questo la prima sceneggiatura è stata fatta in modo
affrettato e senza tenere in considerazione le nostre esperienze personali,
però era molto ben strutturata e divertente, successivamente ci siamo ritrovate
con più calma e ci siamo rese conto dell’errore quindi parlando tra di noi
delle nostre storie Roberta ha deciso di togliersi un peso raccontandoci la
storia di suo nonno quindi visto che lei se la sentiva abbiamo deciso di
costruire la sceneggiatura su questa storia.
Giunte
alle prove poco prima dell’esibizione abbiamo avuto l’occasione di parlare con
i componenti di un altro gruppo che ci hanno illuminate sul fatto che la
sceneggiatura non poteva basarsi esclusivamente su un’unica storia personale;
disperate abbiamo aggiunto le esperienze di altre componenti del gruppo, quindi
in fretta e furia abbiamo risistemato il copione e provato.
Dopo la prova ufficiale con il Proff.
siamo passate nel suo sgabuzzino per ascoltare i suggerimenti e critiche; egli
ci ha fatto notare che alcune persone del gruppo avevano dei ruoli secondari
che non implicavano un coinvolgimento personale, ha chiesto loro il motivo e se
non avessero niente d’attinente con la morte, ovviamente sono uscite delle
nuove storie, che noi abbiamo poi reinserito nella sceneggiatura, così eravamo
tutte felici e contente di poter partecipare attivamente alla recita anche
perché noi avevamo limitato le storie per paura di appesantire il tutto.
Giorno della prova finale 10 luglio
2002
Questa mattina tutte insieme allegramente ci siamo recate al Teatro Filippini per la prova finale, ovviamente il Proff. immancabilmente è arrivato in ritardo con la sua bella bicicletta argento e il telefono attaccato all’orecchio!!
Noi avevamo già preso posto e aspettavamo ansiose l’inizio, dopo alcuni problemi con il tecnico delle luci, finalmente si comincia: la prima esibizione è stata quella che più ci ha coinvolte emotivamente, le compenenti di questo gruppo ci si sono sembrate particolarmente brave e naturali nell’esibizioni. Però dobbiamo anche dire che alla fine tutte le rappresentazioni avevano lo stesso filo conduttore e poi il caldo e la stanchezza ci ha fatto distrarre un po’ durante il pomeriggio.
Ovviamente nel gruppo ci sono stati pareri discordanti alcune hanno preferito le sceneggiature con uno sfondo comico, che erano in minoranza infatti solo due hanno ripreso il lato comico.
Alcune rappresentazioni sono state dal nostro punto di vista poco ben strutturate perché non siamo riuscite a coglierne il messaggio, non abbiamo nemmeno apprezzato coloro che leggevano le loro parti in quanto rendeva la scena poco realista diminuendone lo spessore. Una delle sceneggiature ci è sembrata troppo lunga e per questo motivo è risultata noiosa come sono risultati noiosi i monologhi troppo lunghi, in alcuni casi abbiamo considerato fuori luogo lo studio mnemonico di parti che riprendevano delle storie reali personali e tragiche in quanto davano l’impressione della “soap opera”.
Abbiamo notato che l’elemento emergente di gran parte dei gruppi era il conflitto con la figura familiare maschile, forse anche perché la maggior parte di noi è donna.
Al momento della nostra entrata in scena eravamo tutte molto ansiose ed emozionate Laura era la più ansiosa di tutti continuava a chiedere cosa doveva fare, ancora un po’ e Michela le tirava il collo questo per dimostrare l’armonia di gruppo!
La tensione era forte il lucista ha capito poco o niente ha acceso le luci in ritardo e alla fine si è pure dimenticato di accendere la luce i nostri 40 € non se li è sicuramente meritati, altro guasto tecnico il lettore cd che non è partito al momento giusto anzi non è proprio partito, eravamo tutte molto emozionate però siamo riuscite a raccontare molto spontaneamente le nostre storie di vita, finite la nostra rappresentazione abbiamo guardato gli ultimi gruppi della mattinata poi affamate e sudate siamo andate a mangiare, al bar abbiamo incontrato il Proff. con cui abbiamo mangiato e parlato.
Dopo un breve relax siamo tornate in teatro per seguire le ultime rappresentazioni. Alla fine eravamo stremate ma felici, andando verso la mensa ci siamo bagnate con le bottiglie d’acqua come le bambine, siamo andate tutte insieme a mangiare una pizza e poi ci siamo riunite a casa di Michela S. per stilare queste considerazioni però adesso ci salutiamo e andiamo a dormire che domani forse si registra!!!
Anche questa esperienza è finita anche se resterà per sempre
nei nostri ricordi nel bene e nel male in ricchezza e povertà in salute e in
malattia nella buona e nella cattiva sorte.